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ARTIVISM
INTERVISTA A TOMMASO TOZZI
by Tatiana Bazzichelli
1. Nel testo "Cotropia: Lifeware e coevoluzione mutuale" tu proponi una radicale trasformazione del concetto di opera d’arte, facendo interagire tra loro campi di studio come la fisica, la biologia, l’arte. Perchè secondo te si è arrivati ad un punto in cui il concetto di opera d’Arte con la A maiuscola non dà più risposte nel panorama artistico, e si sente l’esigenza di andare al di là dell’oggettualità e dell’unicità del prodotto artistico?

Io non credo in una ineluttabile tendenza verso il progresso della ricerca artistica; attraverso il mio operato cerco comunque di portare avanti un discorso di continuità con il passato e con esperienze precedenti che non considero superate, bensì una componente essenziale del lavoro che porto attualmente avanti. Non voglio pensare che quello che faccio sia completamente separabile da alcuni percorsi precedenti, ma lo vedo inserito in una cornice di esperienze collettive, che unisce il mio operato a quello di altri.

Io penso che le divisioni appartengano più al mondo linguistico che a quello reale.

Se proprio si vuole operare uno spartiacque fra diverse esperienze artistiche, inizierei il discorso sottolineando che, attraverso determinate forme operative dell'arte, vengono proposti esempi di come si possa utilizzare il linguaggio in modo liberato. Durante il periodo della Modernità, si svolge una ricerca che sperimenta nuove forme possibili del linguaggio artistico e si tenta di approdare a nuovi traguardi espressivi, ma queste tracce innovative vengono concretizzate in oggetti artistici proposti come modelli da seguire, limitanti e univoci. Da tracce possibili dell’opera tali oggetti vengono interpretati come l’opera stessa; vengono caricati di un grosso valore e offuscano tutto quello che può essere realizzato in altri modi e secondo altri punti di vista. Lo sguardo diventa parziale e separato.

A questa tipologia operativa di intervento nel campo dell'arte secondo me se ne affianca un'altra, che invece di fare proposte tramite oggetti, cerca di lavorare per costruire o garantire l'esistenza di spazi dove sia possibile la sperimentazione e la produzione di modelli linguistici innovativi e liberi.

Ad una ricerca della verità assoluta che attraversa il progetto moderno, si contrappone una ricerca della libertà, che tende a non porsi in un unico campo disciplinare. Tutto un filone di esperienze artistiche di questo secolo tenta di evadere la costrizione all’interno di un ambito prettamente artistico; non si vuole collocare univocamente nel circuito dell'arte, ma vuole introdurre pratiche e produrre nuove tipologie culturali, costruire strutture e relazioni che determinino delle conseguenze non solo nel sistema dell'arte, ma anche in quello più in generale sociale, culturale, economico, politico, giuridico, etc.. Attraverso tali pratiche tutti questi ambiti possono essere intaccati e il loro evolversi può a sua volta determinare conseguenze nel campo dell'arte.

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2. In che senso sostieni che l’opera d’arte è diventata la capacità di creare un sistema, un lifeware in grado di far emergere un ordine stabile all’interno di una molteciplità complessa e caotica di unità organiche e concettuali che coevolvono mutualisticamente? Che rapporti ci sono fra le tue idee e la teoria del Caos e cosa intendi per coevoluzione mutuale dell’opera d’arte?

Lifeware è una parola composta da "life" e "ware", dove "ware" è quella parte che viene aggiunta ad "hard" e "soft" per formare le parole "hardware" e "software". In questo senso la parola "lifeware" vuole ricondurre ad una nuova tipologia di macchine. Una macchina che, attraverso il contributo dell'organico, superi tutta una serie di limiti che sono insiti nei principi matematici ed informatici attuali e nell'odierno funzionamento del computer. Nelle macchine di Turing, ovvero il modello di base di funzionamento dell’attuale personal computer, vi sono dei limiti (dimostrati da teoremi logici come quello di Godel) per il fatto che in certe situazioni la macchina non può essere in grado di decidere in modo certo. Uno scienziato di nome Penrose cita alcuni studi in cui si mette in risalto questo limite delle macchine. Nell'ambito della fisica si considera il principio di indeterminazione quantistica per dimostrare l’esistenza di stati che non possono essere descritti come veri o falsi. Nel campo informatico questo viene esemplificato da situazioni di indecidibilità della macchina in cui non è possibile scegliere fra uno o zero oppure fra sì e no (la logica su cui si basano le macchine Turing, cioè i computer).

Ciò che avviene in questi casi è che la macchina si blocca, non potendo accettare di fornire una risposta che prevede la simultaneità del sì e del no, cosa che invece è prevista dalle leggi della fisica quantistica e dal principio di indeterminazione.

Tornando al discorso su "lifeware", rispetto alla divisione che viene fatta attualmente fra "hardware" e "software", c'è la volontà di aggiungere un altro livello che è quello della presenza dell'organico nella macchina, per garantire uno stato di indeterminazione nel suo funzionamento. Penrose individua tali stati di indeterminazione quantististica nel modo in cui è costituita la cellula del sistema neurale. In certe parti del citoscheletro avverrebbe la trasmissione delle informazioni attraverso stati quantistici. Questa modalità di trasmissione di informazioni non si realizzerebbe quindi secondo il modello di risposta binario altamente deterministico tipico della macchina di Turing e in ciò si distinguerebbe l'individuo per l’avere un comportamento che non potrebbe mai essere assimilabile a quello della macchina di Turing.

Utilizzando tutti questi concetti metaforicamente, il "lifeware" vuole concretizzare nell'ambito artistico l'ipotesi che possa esistere un sistema di relazioni sociali e in ciò una forma di estensione dell'opera d'arte, che non sia determinabile in modo certo, ma che si verifichi in base all'evolversi spontaneo delle relazioni fra soggetti.

Il rapporto con la teoria del Caos sta nel concetto di proprietà emergenti e cioè riguarda il processo secondo cui l'evolversi delle forme che assumono progressivamente determinati sistemi non appare determinato e programmato dall'alto verso il basso in modo simbolico, ma appare la conseguenza diretta di un'azione spontanea che parte dal basso. Questa teoria prende in considerazione fenomeni ordinati che emergono dal Caos in modo non prevedibile.

Quando io parlo di coevoluzione mutuale mi riferisco ad un sistema auto-organizzato in espansione, in cui vi sia un equilibrio per cui tutte le parti che appartengono al sistema traggano beneficio senza essere in alcun modo sussunte dalle altre parti.

Tutti questi discorsi vogliono intendere una forma d'arte che possa coevolvere mutualisticamente conseguentemente all'azione spontanea e totalmente libera proveniente dal basso e possa svilupparsi in maniera autogestita in base alle relazioni orizzontali instaurate dagli individui stessi che la originano.

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3. Nello stesso testo sostieni che con il termine Cotropia si intende un’evoluzione cooperativa, mentre Lifeware vuole rappresentare un elemento di consapevolezza e libero arbitrio: in che senso la forma di arte che utilizza le tecnologie digitali, può valorizzare il libero arbitrio individuale (e collettivo), contrariamente al passato?

Può essere obiettato all'ipotesi che la macchina abbia una coscienza, l'esempio di Searle della scatola cinese. Tale esempio si può ricollegare alla modalità di trasmissione dell’informazione con il primo telegrafo elettrico, che presupponeva un operatore costretto a trasmettere segnali ad altri operatori senza comprenderne il senso, in quanto questi segnali dovevano essere codificati per garantire la sicurezza dell'informazione. Già in quel periodo ci si rende conto della distinzione fra semantica e segnaletica e appare chiaro che l'operatore può trasmettere segnali, pur non essendo consapevole del loro contenuto. Lo stesso principio viene considerato da Searle facendo l'esempio di una stanza in cui si trova un individuo che non parla il cinese, il quale attraverso uno sportello riceve da alcune persone delle domande in cinese a cui lui deve dare delle risposte nella stessa lingua. Questo individuo possiede un libro scritto in cinese in cui si trova la corrispondenza fra tutte le forme possibili di domanda e le possibili risposte. Lui per rispondere alle domande che gli giungono guarda la domanda e vi attribuisce meccanicamente la risposta, senza capire nulla del suo significato, senza averne coscienza.

In questo modo può sembrare che la persona parli il cinese e che comprenda il significato dei quesiti: in realtà lui si comporta come se padroneggiasse la lingua, ma non ne è affatto a conoscenza e non agisce quindi in modo consapevole.

Questa è una metafora per far capire come funzionano le macchine.

Se si vuole portare questo discorso nel piano dei rapporti sociali, si può far riferimento a comportamenti a cui siamo indotti senza esserne affatto consapevoli e che non corrispondono alla nostra volontà cosciente. Lo stesso avviene nell'uso inconsapevole di determinati segni linguistici. Il libero arbitrio presuppone invece una consapevolezza sul modello comunicativo utilizzato e quindi porta ad una sostanziale differenza rispetto alle modalità di trasmissione delle informazioni proprie delle macchine e di quei sistemi sociali che impongono dei rigidi modelli attraverso cui veicolare la comunicazione.

Secondo me l'opera d'arte si ha quando si costruiscono dei sistemi in cui gli individui possono creare i loro modelli sociali, culturali, espressivi e comunicativi in modo spontaneo e consapevole, senza che essi siano indotti dall'alto. Le nuove tecnologie non rappresentano l'unico mezzo attraverso cui questo può avvenire, pur possedendo delle caratteristiche che favoriscono lo scambio libero e orizzontale. Il motivo per cui parlo di lifeware e collego "life" al suffisso "ware" che riguarda una forma tecnologica, è perchè io considero tecnologia anche la parola, così come molti altri aspetti considerati "naturali" della vita. Secondo me i termini linguistici sono forme non naturali apprese per permettere la costruzione del senso. Per me è assurdo continuare a dividere a tutti i costi il naturale dall'artificiale, poichè fin da quando si nasce siamo in qualche modo educati a tecniche e tecnologie non solo attraverso l'uso di certi strumenti, ma anche attraverso l'uso di determinati comportamenti comunicativi. Il "lifeware" si innesta in questo ambito tecnologico con la sostanziale differenza di cercare un apprendimento fondato sullo scambio interattivo e paritario. Il ritenere necessario che gli standard della comunicazione siano il risultato di una cooperazione e coevoluzione collettiva e non la decisione verticale di un’elité di addetti ai lavori o di potentati economici.

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4. In che senso VIRTUAL TOWN TV BBS è un lifeware, mentre non è un patrimonio genetico di istruzioni da seguire (genoma) nè un concetto (meme)? Potresti spiegarmi bene la differenza fra lifeware, genoma e meme? Come si inseriscono poi in un discorso artistico?

La parola "genoma" definisce il patrimonio genetico di ogni individuo, è la mappatura del sistema genetico di ogni individuo. Sia il "gene" che il "meme" si rapportano da una parte ad un'idea di trasmissione di informazione, dall'altra al concetto che questa informazione venga scritta, sia conservata e sia identificabile in un luogo ben preciso, in modo deterministico e che sia dunque fissata secondo determinate regole e istruzioni rigide da seguire.

Queste regole già scritte determinerebbero nell'individuo particolari comportamenti, modi di essere, modalità di sviluppo. Il "meme" sarebbe l'equivalente del gene per quello che riguarda le idee. Richard Dawkins considera la possibilità che esista una forma di trasmissione delle idee attraverso delle forme genetiche del sapere che sarebbero in grado di fissare le regole combinatorie del senso. I memi sono per lui quindi unit‡ minime che rappresentano i codici genetici della cultura e sono la definizione di una tipologia riproduttiva di una parte dell'individuo attuata attraverso modelli culturali (idee) che si propagano all'interno del cervello delle persone. Dawkins sostiene che dentro la mente si troverebbe una sorta di codice genetico che verrebbe trasmesso producendo determinate tipologie di senso e costruendo determinati tipi di forme mentali e apparati di idee.

Come il gene produce una struttura corporea, il meme dovrebbe produrre una struttura ideologica. In entrambi i casi trova riscontro l'idea che avvenga una trasmissione di unità minimali che preesistono deterministicamente.

Il lifeware pur accettando l’esistenza di forme ricorrenti e di analogie, vuole rifiutare l’idea di assoluto e di ineluttabile. Il lifeware è per me una forma di trasmissione secondo cui la stessa entità che evolve muta adattandosi progressivamente alle diverse condizioni in cui si viene a trovare. Non esiste un rapporto causale rigido, per cui se si ha A si avrà necessariamente B, ma la presenza di A, B, C, e D darà luogo a qualcosa di diverso sia da A, che da B, che da C, che da D. Prenderà forma un'entità impredicibile attraverso un processo indeterminato. Soprattutto il lifeware non è un motore operativo che determina conseguenze necessarie, ma è un luogo in cui partecipano diversi motori operativi in modo libero. Il fatto che possa esistere un luogo in cui possano agire diverse entità in modo spontaneo, produrrà determinate conseguenze e darà origine a determinati saperi che non saranno fissi e immutabili, ma apparterranno alla contingenza del momento. Le ricorrenze saranno il risultato di un riconoscimento e di un accordo non scritto in una legge della natura quanto nelle forme della reciprocità.

Nel panorama artistico esiste un'idea di arte che vuole fissare dei valori universali, che vuole ricercare delle qualità innate in determinate opere, che secondo tale ipotesi evocherebbero determinate sensazioni nello spettatore e produrrebbero in lui particolari conseguenze esemplificando dei concetti universali. Tale concezione di opera d'arte può essere paragonata all'idea del codice genetico. Io non credo all'esistenza di questo tipo di opere, o meglio, credo che vi sia un equivoco nell’approccio. Credo innanzitutto che le opere intese come oggetto siano il risultato di una serie di relazioni e considero opera il sistema di relazioni che porta a produrre tali oggetti, non gli oggetti stessi. Una volta che questo sistema di relazioni muta per fattori contingenti (l'evoluzione nel tempo delle persone, le diverse modalità di produzione e trasmissione della cultura, la differente costruzione della memoria collettiva), le tracce oggettuali non rappresenteranno più quel determinato sistema di relazioni, ma si creerà un meccanismo di scambio con nuovi sistemi di relazioni propri della nuova situazione biologica e culturale. Non credo che gli oggetti possano continuare a trasmettere gli stessi valori immutati nel tempo. A questo concetto di opera d'arte oggettuale che pretende di veicolare dei valori assoluti nel tempo, si sostituisce quello di "lifeware" che vuole valorizzare i sistemi di relazioni contingenti, considerando il sistema di relazioni come assoluto rispetto a se stesso.

VIRTUAL TOWN TV BBS è quindi un "lifeware" perchè è un sistema orizzontale di relazioni messe in atto dal 1990 che funge da una parte da bacino di attrazione di forze diverse e dall'altra garantisce a ognuna di queste forze, attraverso la loro autonoma forma di libero arbitrio, di interagire fra loro mutandosi e coevolvendo reciprocamente in base alla contingenza del momento. Attualmente il computer di Virtual Town TV è stato spento, ma il suo lifeware continua a coevolvere attraverso altre forme digitali, organiche e mentali.

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5. E’ possibile secondo te effettuare delle pratiche reali di trasformazione sociale e culturale attraverso l’uso del nostro corpo nell’arte, ricordando il percorso che dagli happening delle neoavanguardie degli anni ‘60 arriva alle pratiche performative collettive in Rete? E secondo quali modalità questo avviene?

Io sono d'accordo con questa idea, dato che secondo me esiste una continuità con le esperienze artistiche del passato. Quello che di queste esperienze ci giunge è un qualcosa di vivo, non un semplice oggetto statico attraverso cui prendere atto del passato. E' un elemento vivo che noi elaboriamo nel modo in cui ci confrontiamo con l'attualità.

Una delle caratteristiche che si può individuare in questo filo rosso che lega gli happening degli anni '60 alle pratiche performative collettive attuate in Rete, è il concetto di autogestione.

Per me il corpo è un’unità corpo-mente in cui le azioni corporee non sono distinguibili da quelle mentali, bensì parte integrante. Credo che ciò che accomuna le pratiche che si stanno sperimentando oggi con quelle attuate in passato, sia il tentativo di costruire delle strategie di liberazione e il concetto di autogestione. Quest'ultimo concetto appartiene alle modalità di presentazione degli eventi, degli happening e delle pratiche artistiche performative in Rete che cercano di costruire nuovi percorsi sociali secondo modalità autodeterminate.

6. Sempre nel testo Cotropia tu scrivi: La linea artistica che ha permeato e resa significativa l’arte del 900 è quella che si può riassumere nell’indistinguibilità tra arte e pratiche comunitarie. E’ l’arte dei movimenti. Secondo te qual è il filo rosso che lega le pratiche performative delle opere/evento con l’azione dei movimenti controculturali come il fenomeno degli scrittori sui muri, il cyberpunk e tutte le TAZ attuali?

Innanzi vorrei sottolineare che la mia affermazione non voleva distinguere tra pratiche artistiche (e definire in tal senso le opere/evento) e non artistiche (le TAZ), bensì affermare che le due cose sono indistinguibili, o meglio che l’artisticità è una qualità di entrambe le pratiche. Puntualizzato ciò sicuramente c'è un rifiuto del sistema di scambio comunicativo basato sulla merce. Questo significa che chi va a fare i graffiti sui muri, lo fa di solito scollegato da ambizioni personali riguardo ad una possibile carriera artistica e galleristica. Sto parlando del fenomeno del graffitismo che nasce alla fine degli anni '60 e raggiunge il suo apice nella metà degli anni '70 con ventimila graffiti a New York e che non ha nulla a che fare con il fenomeno delle gallerie (che ancora non esistono in quegli anni).

La volontà che si riscontra è quella di costruire segni che non vengono solamente visti. Segni che si situani nei luoghi topici della città, ovvero nei luoghi in cui quasi tutte le persone sicuramente li vedranno. C'è il desiderio di far veicolare determinati segni e di crearli in luoghi in cui vi sia la possibilità per altri di rispondervi. Quindi gli angoli dei muri e i vagoni dei treni diventano grandi pagine in cui non scriverà un solo individuo, bensì tante persone che si risponderanno fra di loro. La necessità di avere una risposta diventa la qualità importante, che lega il graffitismo agli happening, agli eventi, dove c'è il bisogno del pubblico proprio per conferire all'evento un forte grado di spontaneità che non presenti una performance preprogrammata, ma la costruisca principalmente attraverso lo scambio con gli spettatori.

La stessa cosa avviene nel cyberpunk e nelle pratiche artistiche collaborative.

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7. Quali sono le relazioni tra il lavoro artistico che portavi avanti con Giuseppe Chiari e quello attuale in Rete?

Gli happening a cui ho partecipato creati da Giuseppe erano tutti eventi in cui non si davano delle istruzioni da seguire, ma si rendeva possibile una interpretazione libera tra soggetti. Egli costruiva degli eventi in cui veniva data la libertà alle persone di esprimere con svariati mezzi le proprie autonomie. Nella Rete si ritrova decisamente questo aspetto nel momento in cui si presenta la possibilità di creare, lasciare le proprie tracce in Internet, scrivere messaggi in modo autogestito e spontaneo.

8. Ti cito delle tue parole scritte sempre in Cotropia: Il corpo umano definisce i suoi limiti in base alle sue capacità sensoriali. Se si definisce la mente come un organo sensoriale, allora anche il concetto di corpo può espandersi fino ai confini spazio-temporali della cultura. In che senso il corpo si espande fino ai confini spazio-temporali della cultura, e come può farlo attraverso l’arte?

In un'ipotesi di mente come organo sensoriale, l'immaginazione diventa la percezione di un reale dove l'immaginario collettivo è un dato sensibile in grado di produrre sensazioni e alterazioni del corpo-mente. La cultura in questo senso è la sedimentazione stratificata di montagne e valli immaginarie che impongono percorsi.

Questo significa che se noi osserviamo il modo in cui le società evolvono anche rispetto al territorio geografico e quindi le loro modalità di sviluppo conseguentemente agli ostacoli che trovano nella costituzione geografica del territorio in cui agiscono (fiumi, montagne, ecc.), possiamo fare un paragone con la mente e intendere metaforicamente la cultura come la costruzione di analoghe montagne e valli che impongono dei percorsi e che modellano i rapporti sociali, producendo dei fenomeni che io definisco di deriva memetica.

Cavalli Sforza, uno scienziato che si occupa dei rapporti fra la genetica e la lingua, parla di deriva genetica quando conseguentamente a certe ricerche, si rende conto che l'esistenza di determinate forme del territorio geografico ha influenzato la composizione del patrimonio genetico dei gruppi ivi formatisi e ha avuto un riflesso anche sulla loro lingua. Esiste un grosso legame fra le lingue che si sono formate in determinati luoghi e il patrimonio genetico che si riscontra nelle persone che vi vivono. Ci sono dei fenomeni di deriva genetica nelle situazioni in cui la composizione del territorio impone una differenziazione del patrimonio genetico e della lingua all'interno delle popolazioni. In questo senso la cultura può essere vista come un fenomeno di deriva memetica e la mente può essere l'organo sensoriale che vive all'interno di questo territorio e che percepisce questo territorio.

L'opera d'arte vista come espressione attraverso certe forme libere di immaginazione può essere paragonata alle modalità di costruzione dello Stato nel 1700, in cui per creare un determinato tipo di sistema sociale, bisognava abbattere determinati ostacoli che si presentavano nel territorio, operare una canalizzazione dove i fiumi non permettevano la circolazione delle navi: allo stesso modo l'immaginazione può abbattere le montagne immaginarie della cultura per creare un sistema di circolazione del senso. Tutto ciò però garantendo l’esistenza e la protezione di spazi autonomi la cui interconnessione con altri territori mentali non ne sussuma le caratteristiche essenziali.

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9. A me interessano particolarmente gli happening multimediali collettivi in Rete e quindi quegli eventi che permettono al fruitore di interagire e costruire l’opera d’arte in tempo reale tramite l’ausilio del corpo. Potresti descrivermene qualcuno che avete organizzato ultimamente in Rete (Come per esempio virtual body) ?

VIRTUAL BODY è un mio progetto che ho realizzato insieme a STRANO NETWORK. Era costituito da un insieme di monitor in cui appariva l'immagine di un corpo i cui organi non dovevano essere necessariamente di una sola persona (la testa, le braccia, i piedi, le gambe, potevano essere posti in Rete da utenti collegati da tutto il mondo nel modo più libero possibile, magari sostituendo il braccio alla testa) e non dovevano essere necessariamente umani, ma potevano essere protesi culturali fatte di immagini artistiche o altro. Durante il periodo iniziale della modernità e cioè intorno al '600-'700, vengono portati avanti degli studi in cui si paragona al sistema sanguigno quello circolatorio. Paragonando il sistema organico a quello del trasporto sociale (studi di Malpighi), si elaborano delle metafore dell'organismo sociale che portano a rappresentare il governo con la testa, la classe operaia con le braccia, ecc., secondo una costruzione verticistica della società (riprendendo anche l’idea di Platone nella "Repubblica"). Con VIRTUAL BODY c'è un ribaltamento della metafora dell'organismo sociale in cui non esiste una testa fissa con un rigido stato di collocazione. Lo stesso vale per le braccia e le altre parti del corpo: qualsiasi persona e qualsiasi elemento possono essere testa, braccia, ecc.

10. Nel pensiero cyberpunk si dava molto rilievo alla possibilità di smaterializzare il corpo nel cyberspazio e si immaginavano esperienze immersive vissute in mondi virtuali con cybercorpi (Timothy Leary parla di nuovi anfibi) per dare vita a rapporti comunicativi orizzontali e democratici. Come rapporti il tuo pensiero alle pratiche di RV? Secondo te possono essere un veicolo di maggior consapevolezza critica o possono provocarne l’annullamento di fronte ad una sovrastante spettacolarità tecnologica?

Sicuramente le tecnologie, e non solo quelle, si scontrano con i processi economici e quindi appaiono spesso sussunte a determinate necessità economiche e spesso rischiano di essere da queste dirette. E' quindi molto difficile fare affermazioni sul futuro e sulle qualità positive e negative della tecnologia. Sicuramente posso avere fiducia negli individui e nella loro capacità collettiva di trasformare e rendere naturali le tecnologie senza esserne alienati. Cercando di essere il più possibile distaccati dalla realtà delle cose, secondo me un discorso interessante dell'ipotesi del cyberspazio (per cyberspazio intendo la realtà simulata in cui una o più persone possono entrare attraverso l'uso di tecnologie come il casco, la Rete, ecc.) Ë quello che riguarda l'identità simulata e autogestita nella simulazione. Il soggetto che naviga e che vive nel cyberspazio riesce ad autodeterminarsi un'identità corrispondente ad una forma narrativa e quindi a vivere la possibilità di costruire storie non solo sulla carta, ma anche riguardanti la propria vita all'interno del cyberspazio stesso. Quindi si evidenzia un comportamento del soggetto che si confronta con degli stilemi narrativi e qui si ritorna al discorso che vede l'azione della mente nel suo mondo immaginifico come risultante di un confronto con degli ostacoli che possono esistere nel territorio dell'immaginario collettivo. Ne consegue una riflessione sulla possibilità dell'utente di costruire i propri canali immaginari attraverso l'interfaccia tecnologica che permette la vita nel cyberspazio. Si può quindi evidenziare quanto questo territorio immaginario sia rigido e quanto potrà essere negativa la vita nel cyberspazio, oppure quanto questo territorio sia fluttuante e gestibile dalle persone.

A questo dato se ne affianca un altro che io considero importante nel panorama degli studi sul virtuale e che concerne lo sviluppo delle reti neurali o di sistemi tecnologici analoghi in cui si riscontra l'ipotesi di lavoro di creare forme di vita artificale attraverso un'interfaccia che non rappresenti un'icona che presupponga collegamenti deterministici e a senso unico per garantire l'attivazione di nessi causali rigidi, ma che dia vita ad organismi artificiali attraverso una particolare programmazione della macchina. Tale programmazione sviluppa algoritmi che permettono alla macchina di imparare a comportarsi in un certo modo secondo modalità autoapprese e nasce quindi la possibilità di costruire icone che siano organismi artificiali che presentano un certo comportamento all'interno dello spazio simulato non determinato in modo certo dal programmatore. Le regole di un movimento di un pesce simulato nel cyberspazio non saranno predeterminate da un programmatore che decide il movimento del pesce in modo deterministico (per esempio: se il pesce A incontrerà l'ostacolo B, si muoverà in un certo modo e in una certa direzione secondo particolari leggi della meccanica Newtoniana), ma le modalità attraverso cui funzionano le reti neurali nei sistemi di apprendimento dovrebbe dare al pesce la possibilità di sviluppare propri modelli di comportamento che emergono da sistemi di calcolo interni e che possono evolvere attraverso la pratica.

Nel 1987 C.Langton tiene una conferenza a Santa Fè in USA chiamata "Artificial Life" che può essere considerata la presentazione di questo modello teorico e che nasce dal desiderio di creare un nuovo paradigma sulla base di ricerche preesistenti attuate in vari campi. Dalla cibernetica proviene l'idea delle forme autoreferenziali e delle macchine che si auto-organizzano. L'idea dell'autogoverno è tipica della cibernetica: la parola "cyber", tra l'altro, significa "pilota" in greco e quindi riguarda una macchina che si autopilota, che è in grado di generare se stessa.

Negli anni '80 con il Connessionismo che si basa sull'idea di connessione attraverso rete e nodi scardinando le modalità simboliche e verticistiche di costruzione delle regole, si approda all'idea che le regole siano determinate in base alle modalità con cui le unità si relazionano tra di loro. Attraverso il Connessionismo, gli studi sull'intelligenza artificiale e le reti neurali, si porta avanti l'ipotesi di poter costruire un modello che presenta forme algoritmiche autogenerantesi che spostino la figura del programmatore in secondo piano, o meglio trasformandolo da programmatore in educatore (il programmatore persegue una strategia per far apprendere la rete neurale). Questo si riscontra anche nel panorama artistico, attraverso le creazioni di arte evolutiva.

Nel cyberspazio la presenza di ipotetici organismi di questo tipo, che sono portatori di comportamenti nuovi, potrebbero dar luogo ad una nuova specie di organismi non organici, che agirebbero attraverso modalità comportamentali diverse da quelle possibili nel modo reale. Il fatto di vivere nel cyberspazio circondati da questi organismi, costringerebbe i soggetti a confrontarsi con un mondo possibile e sicuramente diverso da quello popolato da persone reali. Questo confronto potrebbe dar luogo alla consapevolezza da parte dei soggetti di nuove possibili forme di comunicazione e di rapporto nel mondo.

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11. Con quali finalità è nato Strano Network e cosa vuole comunicare nel panorama artistico attuale?

STRANO NETWORK nasce per definizione come gruppo di lavoro sulla comunicazione e nel panorama attuale secondo me vuole essere un esempio di arte totale. Infatti STRANO NETWORK lavora negli ambiti più differenziati e cerca di intervenire nel settore artistico così come nel settore giuridico, in quello economico, etc., attraverso la creazione di prodotti culturali e cerca di agire in qualsiasi ambito del sociale portando avanti un discorso che si rifletta nel campo della creatività individuale e collettiva.

12. Che cosa intendi per HACKER ART e che forme di hacker art avete presentato con Strano Network?

Il convegno al museo Pecci di Prato del 1995 è stata una delle forme di HACKER ART che abbiamo presentato, lo stesso per quanto riguarda l' HACK-IT del Giugno 1998.

Io ho utilizzato per la prima volta il termine HACKER ART nel 1989, quando stavo portando avanti delle esperienze nel campo artistico che definisco ARTE SUBLIMINALE. Questo mio tipo di ricerca artistica nasceva dalla riflessione sulle forme della comunicazione proprie della società dello spettacolo e di conseguenza sulla ricerca di forme comunicative che non fossero assimilabili alla merce e che quindi non dessero origine ad un'arte mercificata. Al contrario tali forme artistiche dovevano apparire come un VIRUS e come tale essere in grado di propagarsi ovunque secondo modalità trasversali ai sistemi mediali.

Possono anche trovare terreno fertile nei sistemi mediali, ma devono presentarvisi in forme differenti rispetto a quelle che normalmente sono riconoscibili come mediali.

L'esistenza di persone in grado di produrre e scrivere VIRUS su un dischetto informatico, mi sembrava un'ottima metafora per definire il modello operativo che io portavo avanti nell'arte, e cioè quello di produrre azioni in grado di essere trasmesse, comunicate e contaminate nel modo più diffuso possibile senza dover essere riconoscibili necessariamente come azioni artistiche, ma capaci di agire in ambiti trasversali.

Tali forme artistiche si chiamavano SUBLIMINALI perchè consistevano in messaggi subliminali che io facevo agire all'interno di alcune mostre facendo finta di essere non l’artista ma il curatore della mostra stessa che di solito conteneva oggetti artistici di altri. Era dunque anche una riflessione sul ruolo dell’artista. Evitavo in tutti i modi di essere presentato come artista e come colui che produce un oggetto da vedere e pensavo che fosse molto più utile agire all'iterno del contesto della mostra piuttosto che attraverso la produzione di un oggetto artistico. Presentavo un monitor all'entrata della mostra in cui inserivo tutti i nomi degli artisti partecipanti oppure la piantina della mostra in cui si illustrava il percorso da effettuere per visionare le opere. All'interno di questo monitor apparivano dei messaggi subliminali come RIBELLATI, L'ARTE TI CONDIZIONA, ecc. che venivano fruiti a livello inconscio.

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13. Quindi l’arte oggi non ha confini? Tutto è arte?

Io risponderei dicendo che tutto può potenzialmente partecipare o mettere in moto processi. Chiaramente la mia risposta presuppone la mia soggettività, ciò che io posso percepire e il modo in cui lo percepisco soggettivamente. Secondo me l'arte per essere tale deve presentare dei caratteri mutuali che permetteranno di mettere in moto dei processi. Quindi non tutto è arte nel senso che io riconosco come tale solo ciò che percepisco come positivo per la comunità.

Ma l’opera d'arte si realizza anche senza la necessità di un mio pregiudizio che la definisce: si può partecipare alla costruzione dell'evento artistico ma non è possibile dire "l'arte è questa" oppure "l'arte è tutto" dando dei giudizi limitanti, bisogna solo prendere atto che esiste la possibilità di costruire spontaneamente e collettivamente un processo.

Ognuno vive l'arte in modo personale e questo modo personale di costruire arte può essere riconosciuto anche come qualcosa di condiviso dagli altri (questo secondo me è l'elemento fondamentale), al fine di costruire qualcosa collettivamente.

I giudizi su cosa è arte invece rimangono personali e individuali, fine a se stessi perchè non costruiscono nulla e non sono un atto di partecipazione concreta nè sono realmente verificabili. Mi viene in mente un aneddoto che mi raccontava un mio amico su come noi possiamo arrivare a capire come funziona la nostra mente: se noi siamo così intelligenti da poterlo capire la mente sarebbe così complessa che non potrebbe essere comprensibile, se invece la mente fosse semplice e quindi fosse comprensibile noi saremmo talmente stupidi da non poterla comunque comprendere.

Cito questo aneddoto perchè secondo me non è possibile rispondere a delle affermazioni di carattere totale: noi facciamo parte di un mondo che appartiene ad un livello superiore rispetto alla nostra capacità di percepire le cose e quindi poter percepire il tutto è un'ansia che noi non possiamo lenire.

14. Perchè il termine interattività secondo te non ha più molto senso? Come definiresti le pratiche artistiche che stai portando avanti?

Critico il termine "interattività" perchè secondo me è stato strumentalizzato, non perchè il termine sia negativo. Sarebbe un termine positivo se per "interattività" si intendesse una reale partecipazione. Siccome purtroppo il concetto è stato invaso da forme che sono entrate a far parte del nostro immaginario commentate come interattive, allora tendo a spostare la definizione sul discorso della coevoluzione qualificando l'arte come "coevolutiva". In questo modo cerco di usare termini non contaminati dalle merci e che presentino delle qualità che rendano più chiara l'idea di interattività come partecipazione, come consapevolezza dell'agire individuale e collettivo. E' solo un problema del contesto in cui si usano i termini e non della natura dei termini stessi. Chiaramente io, come è vizio di tutti gli artisti, sono diffidente rispetto al fatto che il proprio lavoro venga circoscritto con delle definizioni, dato che di fatto ogni affermazione diventa un limite. D'altra parte per comunicare si è costretti a creare dei limiti, altrimenti non si dice nulla. Il vero compito sta nel rendere evidente che certi limiti non esistono o sono amplificati.

Attualmente sto cercando di individuare un concetto di "trasferimento di risorse", quindi io intendo l'interattività come trasferimento di risorse, non solo fra soggetti ma fra istituzioni e forme soggettive. Cerco di individuare una funzione di filtro nell'opera, che agisca attraverso uno spostamento di risorse da un ambito istituzionale a un ambito non istituzionale. Negli ambiti non istituzionali si stanno costruendo le nuove forme di linguaggi sociali in modo spontaneo. Penso che sia fondamentale per la società l'esistenza di luoghi non istituzionali che presentino cantieri di sperimentazione di nuove possibili forme di comunicazione ed è necessario che venga garantita questa possibilità di ridistribuzione delle forze sociali, che di solito vengono gestite dalle istituzioni. Attraverso la ridistribuzione delle forze sociali da parte delle istituzioni in modo che siano coinvolti anche gli ambiti dell'autogestione, si dovrebbe ipotizzare un trasferimento di risorse che non presupponga il vincolo di contraccambiare da parte delle forze non istituzionali nei termini del dono di Mauss e cioè che non veda le forze dell'autogestione vincolate a rispondere validificando e legittimando alcuni valori istituzionali a cui magari al momento si stanno ribellando e a cui ne stanno sostituendo dei nuovi. Quindi se il ricevere delle risorse dalle istituzioni dovesse implicare per un modello autogestito la restituzione del dono attraverso il riconoscimento di un valore al momento criticato, tale meccanismo non funzionerebbe. Allora l'opera deve essere il sistema di filtro che permette il trasferimento delle risorse da parte dell'istituzione verso i sistemi autogestiti in modo che questi ultimi non siano obbligati a rispondere secondo determinati canoni rigidi, ma possano prendere parte al processo semplicemente ricevendo queste risorse. E' chiaro che i sistemi non istituzionali, come i centri sociali e le associazioni no profit, essendo parte della società, parteciperanno comunque alla costruzione di determinati tessuti sociali e porranno in questo modo il loro contributo.

Tommaso Tozzi

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