ESTETICA DEL CODICE SORGENTE, PER DIRE by Flaminio Gualdoni
"Oggi non esiste più la possibilità di
scioccare"
Marcel Duchamp, 1966
Leggo su un giornale politicamente corretto Krivoj
Rog, quello di Vierika: "Se per hacker si intende chi sa
armeggiare con il software a fini di studio e di sfida con se stessi,
ebbene sì, sono un hacker". E questo ricorda, a me che faccio il
mestiere di interrogarmi sui segni dell'arte, la storia degli artigiani
meravigliosi possedenti e poi posseduti dalla techne, essoterici
nelle cose utili ed esoterici nei colpi di bravura fatti per se stessi e
per la propria cerchia, di colleghi adepti eccetera, sino a diventare
setta (fino a qui lo racconta Paolo Galloni in Il sacro artefice) e
poi, aggiungo io, diventare il mondo dell'arte, con il suo repertorio
strepitoso di simulazioni di reato e di pochi reati veri.
Domande ne vengono tante da fare. Non se studio i manuali del bon ton
informatico; un po' di più se leggo De Kerkhove, che mi pare sogni degli
artisti così scintillanti da poter rendersi utili al mondo con il loro
artigianato; altre se leggo Valvola, che ci mette tensione politica e il
sogno di Debord: a proposito, nel web c'è chi mette nel copyright (!)
anche il divieto di leggere il file ad alta voce: il vero problema del
dadaismo è il genio involontario di questi qui.
Le mie sono domande di paradosso, magari, quelle che faccio a Luca da
anni. Dall'invenzione della modernità, ogni novità tecnica produce
un'avanguardia (compreso il prototipo della globalizzazione, la guerra
mondiale con dadaismo annesso: quello vero, intendo). L'avanguardia che è
stata prodotta dall'informatica, dove ce la siamo persa?
Chi l'ha cercata nel compound dell'avanguardia artistica sbagliava,
come al solito, bersaglio: là le cose arrivano dopo mediazione, già, e
metabolismo. Gli artisti con il computer ci hanno giocato, en amateur,
come hanno fatto per decenni con altre cose, dalla fotografia al cinema al
video: giochi facili e griffe. Capire? Un'altra volta, magari; cito
Pazienza & Scozzari & compagni: prima pagare, poi - forse -
capire. Hanno lavorato, quando ci hanno provato, con le immagini, cioè
con un modo ulteriore di fare quello che già si sapeva. Ovvero: dopo un
secolo di ragionamenti su codice, linguaggio, logos, struttura, la
questione era ancora quella dell'immagine. Ma va là.
Ma non è possibile che non ci fosse, che non ci sia. Ancora più
dentro il mezzo, magari. D'altronde, abbiamo passato un po' di decenni a
raccontarci cosa serviva la fotografia a Monet, che faceva il pittore,
dimenticandoci di guardare anche cosa era già servita a Le Gray, che
faceva il fotografo. Per dire.
[ Top ]
Vediamo di non sbagliare la domanda. La questione, di paradosso finché
vogliamo, non è dove sia e come sia una eventuale, supposta, sperata o
no, artisticità informatica. Non potremmo rispondere perché le unità di
misura, i termini di riferimento che adottiamo non ce lo consentono.
Servono poco, pochissimo nell'arte, figuriamoci qui.
Ma quanto sia riferibile a una attitudine artistica - travailler en
artiste - il meccanismo concettuale e comportamentale di chi opera in
questo campo, e quanto tutto ciò, in un rapporto di causa/effetto affinità/difformità,
abbia o possa avere a che fare con il codice dell'avanguardia, è
sicuramente una domanda legittima, fattibile; e forse nemmeno sciocca. E
quanto, ancora, il virus possa essere assunto come il rivelatore, il focus
di crisi e di snodo problematico e concettuale, è un fatto sotto gli
occhi di tutti.
Il virus è il monstrum, questo è sicuro. È l'anomalia
rispetto alla norma, ma allo stesso tempo della norma, della sua
esistenza, è conferma e amplificazione, come tutti i meccanismi che
simbolizziamo nell'aspetto dell'ombra, del doppio altro.
È il punto in cui il metodo, trovando la propria falsificazione, trova
la propria stessa ratifica. È barare al gioco, ma perché la partita è
in corso, e la règle du jeu è accettata con la massima serietà:
in qualche modo, essa ne viene santificata.
A parte ogni altra considerazione, leggiamo la cosa dal punto di vista
della vulgata massmediale. Tale è la sacralizzazione in corso, la
beatificazione - dalle implicazioni animistiche irrisolte - del web, che
manca solo che qualcuno cominci a vedere virus con gli zoccoli di capra e
le corna rosse, odorosi di zolfo. Leggere gli esperti informatici nelle
cronache su I love you, vederli e sentirli in televisione, fa
venire in mente l'indignazione del maestro Pfuehl dei Buddenbroock
a proposito di Tristano e Isotta: "Questa non è musica...
creda a me... Ho sempre creduto di intendermene un pochino, di musica.
Questo è il caos. Questa è demagogia, bestemmia, pazzia! Questo è un
fumo profumato attraversato da lampi. Questa è la fine di ogni morale
nell'arte". Anche la morale del web, così sanamente moderna e
utilitaria, si ritrae inorridita, di fronte allo scandalo,
all'iconoclastia: al Male.
Ecco un caso perfetto di intreccio tra scandalo e ricerca. Ecco una
nascita possibile dell'avanguardia. Il Masscult si è finalmente convinto
che il pc non è il Male (fase 1: accoglimento del medium nuovo e della
nozione di modernità), che non ucciderà la penna del signor Biro (la
quale a sua volta era una invenzione volgare e scandalosa che voleva
uccidere la stilografica, eccetera...), e qualcuno, in genere esponente
del Midcult, ha persino capito che, anzi, si può trarre vantaggio da
tutto ciò, inventando il collezionismo delle stilografiche e delle biro.
Il Masscult si accorge però che dentro la pancia del suo pc possono
succedere cose non previste dal codice di approvazione faticosamente
imparato (fase 2: wave on wave del flusso successivo, che scatena la
contraddizione entro il codice) e qualcuno, in genere esponente del
Midcult, trasferisce l'attributo maligno alla contraddizione, ergendosi a
difensore dei valori che due giri fa lo scandalizzavano. Eccetera. Non è
chi non veda quanto prezioso sia a vario livello, da questo punto di
vista, il meccanismo dello scandalo e della ricerca, che è quello con cui
leggiamo l'arte dei secoli.
[ Top ]
Tale intreccio produce una serie di corollari interessanti, che vale la
pena almeno di tratteggiare. L'elemento maligno e di contraddizione, il
virus, non è una diminutio del codice, ma un'estensione e
intensificazione. Ovvero, come per i sacri artefici, l'operazione avviene
aggiungendo un plus di bravura, abilità, lucidità concettuale, rispetto
ai meccanismi funzionali, e soprattutto una forte plusvalenza di
consapevolezza: ovvero, la capacità astrattiva di pensare al codice in
essenza: si potrebbe dire, come eidòs. Quando l'arte -
l'avanguardia - comincia a sentirsi davvero dotata di verità intrinseca?
Quando comincia a pensare di sé, e a dire di sé, in termini di
autonomia: da Gautier in poi, per dire, da quando diciamo di art pour
l'art: e la vera grande tappa successiva sarà l'art sur l'art,
e poi Duchamp e il codice di garanzia stesso dell'arte.
Dunque, abbiamo un codice, il quale serve a qualcosa, che inizia a
divenire consapevole di essere bello in sé, che può giocare
con se stesso; questo gioco, per esistere, assume come matter la
messa in crisi del proprio ordinario, cerca i propri bordi, spinge sulle rules
and regulations sino al baro, sino a espandere o far trascolorare
il codice stesso. Ciò è possibile a patto di una consapevolezza totale e
ultimativa del codice stesso, di una abilità che è sostanziale, non
modale, alla quale importa, più ancora che farsi ammirare, di applicarsi,
anche a costo di dispiacere a coloro che del codice sono fruitori
ordinari. Nasce il monstrum, che chiamiamo arte - avanguardia - o
virus.
Il virus è fatto da un signore che non solo sa il codice, perché
ha maestria, ma diventa parte stessa del codice, sostanza capace di
generare: in altro campo chiamasi creatività. La sua demiurgia è quella
stessa del dio che sì, può anche giocare a dadi (n'abolira jamais le
hasard). Non lo fa per noi. Il suo dialogo è con il codice stesso,
con se stesso nel codice. Il dio che il settimo giorno non riposa, ma
gioca: e per giocare si racconta che quel congegno così perfetto, solo
volendo, può deragliare dalle proprie leggi. Tra l'altro gli dei greci
queste cose le facevano: queste e altre.
È cruciale che questo atteggiamento, questo atto, tenga del gioco, del
gratuito (nel web, in tutti i sensi: per la nostra mediocrità, la vera
cosa da capire è il massimo di sforzo intellettuale per produrre qualcosa
che non si può trasformare in denaro: con l'arte ci siamo riusciti, a far
denaro con il gratuito, qui non so proprio come). È cruciale anche perché
configura che il godimento, la bellezza possibile, si genera e viene
fruita, nell'atto necessario, dall'autore e basta. La sua misura
narcisistica, demiurgica appunto, è tale - qui in un modo che l'arte non
ha mai saggiato - che non solo tale bellezza non si estrinseca, godendo
della propria perfetta solitudine, ma anche si dà anonima, in spregio
alle convenzioni residue in virtù delle quali l'artista è un signore del
quale non abbiamo nessuna stima - è pazzo, inutile, eccetera - ma al
quale offriamo in cambio un visibile rispetto sociale.
Parentesi a proposito dell'artista pazzo, inutile, eccetera. Le
agiografie di Allen, Gates e compagni che inventano il pc in garage, a
parte la cornice ambientale americana dalla Rivincita dei Nerds,
sembrano proprio l'ultimo capitolo, quello che gli autori non sapevano
ancora di poter scrivere, della Leggenda dell'artista di Kris e
Kurz. Dalla "O" di Giotto al silicio, finisce sempre che diventi
rispettato e ricco sfondato: gli unici ricchi che la gente ammira perché
hanno fatto i soldi in un modo da pazzi, che non sembra neanche che
lavorino, e possono pure vestirsi male che nessuno dice niente.
"Pensavo a cosa bisogna fare oggi per aver successo in America. Un
tempo dovevi essere affidabile e portare dei buoni vestiti. Guardandomi in
giro, direi che oggi bisogna fare la stesse identiche cose, ma non portare
buoni vestiti" (Warhol).
[ Top ]
Caso esemplare di narcisismo è il protovirus, una sorta di estetica
negativa così introversa che neppure lo vedi, è un rapporto di codice
agonistico e agonico tra l'anima del pc e se stessa. Casi di
volgarizzazione tutto sommato già corrotti rispetto a questa sorta di
concettualismo sono i macrovirus, quelli che agiscono sulla visione, sulle
aspettative di normalità visiva e funzionale: quelli sono fatti per farsi
vedere, almeno: i primi, erano una sorta di flash sorgivo e definitivo.
Mi pare meno interessante, anche se è più macroscopicamente evidente,
l'implicazione politica di tutta la faccenda. C'è, beninteso, dal livello
elementare e volontaristico della scena demo e dei radicalismi connessi
(classico caso, peraltro, di situazione d'avanguardia: esclusiva,
autoreferente, vagamente alchemica: tra la congregazione e quello che i
Goncourt chiamavano pubblico d'atelier, lavoro di esperti per altri
esperti che si riconoscono per identità escludente) sino a Linux e alla
guerriglia sulla proprietà intellettuale e dintorni, che si è fatta
ambiziosa e altamente motivata, concettualmente e per qualità. È il
sogno della democrazia del mezzo, del cervello che conta più della
macchina (che è anch'essa un cervello: infatti chi ne ha poco ha bisogno
di raccontarsi di essere il Pentium più grosso che c'è: come
disegnarsi il pisello lunghissimo: mentre ho conosciuto gente che fa roba
da matti con il 386, ancora oggi), del consumo senza acquisto, del fatto
che non devi per forza stare a New York ma va bene anche la periferia di
Manila, del possesso attualistico di tutta la memoria che c'è perché è
tutta lì, senza gerarchie, come un oceano che è meglio del labirinto di
Borges (anche se altri labirinti non li vedi: ma questa è un'altra
storia).
Mi pare più intimamente politica la possibilità che hai, come dice
Luca, di fare Arthur Cravan che sfida davvero il campione del mondo
di pugliato; e ancor più, quella di dimostrare infine l'antica equazione
del Manifesto dada 1918: "La novità somiglia alla vita tanto quanto
l'ultima apparizione di una cocotte dimostra l'essenza di Dio".
[ Top ]
|