LA STORIA DI KIM SCHMITZ di Alessio Balbi
La parabola di un giovane hacker tedesco, arricchitosi con le consulenze informatiche e con le speculazioni, che poteva permettersi di mettere una taglia sulla testa di Bin Laden. Ora è stato arrestato.
Nel settembre del 1996, Kim Schmitz, un ventiduenne tedesco appassionato di computer, terminò di scontare una condanna
a tre mesi per essere penetrato nei sistemi informatici del governo di
Bonn. Cinque anni dopo, lo stesso Schmitz poteva permettersi di offrire
una taglia di 10 milioni di dollari a chi fornisse informazioni
utili alla cattura di Bin Laden. Quattro mesi dopo, nel gennaio del
2002, lo stesso Schmitz veniva arrestato dalle autorità
thailandesi, su richiesta della magistratura tedesca, mentre lasciava
la suite presidenziale del Grand Hyatt Erawan di Bangkok; l'accusa era
quella di frode. Dalle stalle alle stelle e ritorno. Come era potuto
accadere?
Le fortune di Kim "Kimble" Schmitz iniziano quando il colosso delle telecomunicazioni Deutsche Telekom decide di quotarsi
in borsa. Schmitz è stato appena accusato di essere entrato nella D1, la
rete di telefonia mobile di Telekom, e di aver fatto telefonate a sbafo
a scapito degli altri clienti. È il settembre del 1996. A novembre,
Deutsche Telekom deve entrare in borsa; l'intrusione di Schmitz è un
colpo mortale per la sua immagine internazionale. I suoi dirigenti
provano a negare l'attacco; ma ci sono le prove.
Per rimediare, quelli di Telekom fanno di necessità virtù: se
Schmitz è riuscito a trovare una falla di sicurezza della quale loro
non sospettavano l'esistenza, faranno in modo che sia lo stesso Schmitz
a rendere sicura la loro rete: lo assumeranno. Telekom convoca Schmitz a Monaco e gli chiede di rivelare quello che sa, in cambio di un contratto da consulente.
Kim fiuta l'aria e capisce che quella è la sua grande occasione. Si ripromette che entro dieci anni entrerà nella top-ten degli uomini più ricchi
del mondo. Prima offre le sue abilità di hacker ad aziende di mezzo
mondo. Poi comincia ad avventurarsi nelle speculazioni borsistiche.
Dopo qualche anno arriva a dichiarare un patrimonio di 200 milioni di dollari. In un'intervista a Business Week, profetizza che il suo fondo, Kimvestor, avrà entrate per 553 milioni di dollari entro il 2004. Nel frattempo, sul suo sito Kimble.org,
fa sfoggio di lusso sfrenato, esponendo foto che lo ritraggono a bordo
yacht miliardari, al volante di auto iper tecnologiche, oppure in
piscina, mentre avvinghia i suoi quasi 150 chili di stazza intorno a
modelle discinte.
Ma Kim Schmitz non è un egoista: tanta smoderata ricchezza la vuole
mettere al servizio degli altri. Così, all'indomani dell'11 settembre,
fonda il gruppo YIHAT
(Young Intelligent Hackers Against Terrorism) e annuncia di essere
entrato nei sistemi di due banche del medioriente e di aver scoperto
informazioni riservate sui fondi di Al-Qaida.
Poi, tutto ad un tratto, la sicumera di Schmitz inizia a vacillare.
Da Kimble.org, comincia a lanciare strali contro la Germania: "Una
favola high-tech tedesca è finita," annuncia. Che cosa è successo? È
successo che una corte tedesca gli ha intimato di vendere le sue azioni nel fondo Kimvestor per pagare i creditori.
Ma come: "l'uomo da 500 milioni di marchi", come ama definirsi, ha dei
creditori? Pare di sì. O meglio, sono tutti i suoi invidiosi detrattori
che vogliono metterlo nei guai. Ma la misura è colma: "Adesso basta,"
tuona Schmitz, annunciando che il 21 gennaio 2001, giorno del suo
ventottesimo compleanno, porrà fine alla sua vita in diretta online.
"Kim Schmitz, nato il 21.01.1974, morto il 21.01.2002," era scritto su
una lapide che campeggiava in homepage: "Le leggende possono dormire, ma non muoiono mai".
Ma la Germania era troppo affezionata a questo suo diletto figliolo
per permettergli di porre termine alla sua esistenza. Così il 20
gennaio, il giorno prima del minacciato suicidio, si è deciso di arrestarlo.
Inspiegabilmente, gli agenti non l'hanno trovato mentre perfezionava il
cappio che l'avrebbe strangolato, o mentre lucidava la pistola che gli
avrebbe fatto saltare le cervella. Macché: sono dovuti andare a
prenderlo in Thailandia, pensate un po' che suicidio esotico voleva
organizzare il corpulento affarista.
"Non volevo mica fuggire," ha dichiarato Schmitz al
momento dell'arresto, come se qualcuno potesse essere stato anche
soltanto attraversato da questo tremendo sospetto: "La mafia mi dà la
caccia," ha spiegato. Ci penserà la magistratura tedesca a tenerlo al
riparo dai sicari. Per rinchiuderlo in un luogo ben appartato, i
giudici hanno inventato anche un singolare capo d'accusa: che si sia
arricchito tramite informazioni riservate interne alla società olandese Letsbuyit.com, comprando azioni per 375 mila euro e rivendendole a 1 milione e mezzo. I giudici lo chiamano "insider trading". Cosa non si inventa per salvare un cittadino modello dalle mani degli assassini!
Il suicidio in diretta è stato così sventato. Ora, collegandosi a
Kimble.org si legge che "Il vero Kim Schmitz non esiste più. Ora è noto
come Sua Altezza Reale Kimble il Primo, Signore del Kimpire". Cosa sia
questo Kimpire, questo impero di Kim,
non è chiaro: lui la spiega così: "Se uniamo le nostre forze,
conquisteremo il mondo. Ma prima facciamo un po' di soldi". Per
costruire questo impero, Schmitz cerca un po' di tutto: tecnici,
sponsor, intellettuali, scrittori. E siccome Kim non sa cosa sia il
maschilismo, da questo mondo di cuccagna non saranno escluse le ragazze:
"Se sei una ragazza giovane (maggiorenne), divertente, sexy e
desiderosa di partecipare ai miei eventi, inviami una foto, e potrai
condividere il mio humor, il mio charm, il mio stile di vita e la mia
amicizia. Se la tua foto mi attrarrà, ti contatterò è combinerò il
nostro primo appuntamento". Su allora, cosa aspettate? Ah, certo: che
esca dal carcere…
Alessio Balbi
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