ALLA SCOPERTA DELLA NET.ART by Valentina Lapolla
E' qualche giorno che
hai un'idea che ti ronza nella testa, un piccolo pensiero, un dubbio, più
che altro... esiste nel mondo della comunicazione globale, qualcosa che ti
dia una capacità vera di capire quello che ti gira intorno, che ti
dia un'intuizione immediata e complessiva, il dentro e il fuori del guanto
nello stesso tempo?
Quando hai la sensazione di non riuscire a rimettere insieme i milioni di
frammenti di parole, commenti, notizie raccolte a destra e a sinistra nelle
reti dei grandi canali comunicativi che sanno "dirci cos'è successo
negli ultimi cinque minuti ma hanno una totale amnesia degli ultimi cinque
secoli" (Peter Sellars a proposito della CNN), forse l'unica strada da
tentare è quella dell'arte.
Comincia la ricerca in rete...
Inizio con l'escludere tutti quei siti (pur interessanti) che mostrano alla
platea dei navigatori arte del mondo reale, fatta con pennelli, tele e di
quant'altro si è servito l'uomo negli ultimi due millenni di storia
dell'arte (gallerie virtuali, raccolte di immagini, riviste di critica, mostre
fotografiche). Scopro così che c'è differenza fra 'arte in rete'
e 'net.art', tra chi informa sull'arte e quelli che progettano le loro opere
non solo nel linguaggio proprio dell'informatica ma con un codice estetico
e una mappa di significati legati visceralmente al web. Non è facile
trovarli perché i siti di net.art sfuggono volentieri alle definizioni
e ai codici dei browsers.
Quest'anno però il padiglione sloveno della Biennale di Venezia è
dedicato alla net.art: parto di lì, dal progetto Absolute One (www.absoluteone.ljudmila.org).
Nel sito non c'è traccia di immagini, solo testi di presentazione ai
lavori. Superando la fatica di leggere un inglese piuttosto ostico, con caratteri
minimali da far male agli occhi, riesco a capire che il progetto, partito
con l'intenzione di raccontare i percorsi artistici di paesi "non occidentali"
che descrivono la fatica di accettare un modello economico e sociale totalmente
estraneo, è finito con il tirare fuori i veri nodi problematici del
'frullatore culturale' che macera le differenze per assimilarle all'UnoAssoluto
e con queste le persone che ne sono portatrici. E mentre da una parte si percepisce
lo sviluppo tecnologico come enorme potenzialità di connessione e arricchimento
delle idee dell'uomo e dell'arte, è palpabile dall'altra la diffidenza
verso l'omologazione, l'impoverimento del linguaggio e delle forme di comunicazione
(linguistiche, artistiche, concettuali).
E allora ti trovi davanti all'opera di Tadej Pogacar (direttore del Parasite
Museum) che, aprendosi ai modelli economici e culturali dei "socially
isolated and excluded groups and communities", porta prostitute e migranti
del sesso come testimoni di un mondo parallelo, protagonisti loro malgrado
di un'economia internazionale non riconosciuta, ma che genera flussi di persone,
di denaro e di modi di percezione della realtà. I senza casa, i vagabondi
sono vita che l'arte deve saper capire e difendere, schierandosi totalmente
a difesa dei loro diritti. Altro nodo cruciale è il contrasto tra un'esplosione
quantitativa di messaggi e stimoli da cui siamo circondati e la loro assoluta
identità di forme, la loro ripetitività; la sorte che nella
rivoluzione industriale era toccata agli oggetti, adesso è destinata
alle informazioni.
In risposta a questo e rivolto ai meccanismi interni al mondo della comunicazione
globale è il progetto 0011010010101.ORG, che tenta di svelare, riproducendolo,
il trucco che rende possibili la speculazione sulle informazioni e lo strapotere
(eccessivo perché usato male) dei mezzi di comunicazione. Attraverso
la clonazione di siti celebri, le farse ai danni di qualunque tipo di copyright,
l'invenzione di un artista fasullo come Darko Maver (con una storia di vita
sfigatissima che gli ha reso quotazioni altissime nel mercato dell'arte),
gli 01 creano un buco nel cervello della rete ("l'anello che non tiene"
di una poesia di Montale). Quando entri nel loro sito un messaggio ti avverte:
"you're in my computer now". Ti appaiono le directories e i files
come nell'hard disk di un qualsiasi computer, e ciascun documento ha un nome
di cui solo l'autore sa il significato, mentre tu invece sei costretto a cliccare
a caso. E così ci si imbatte in pezzi di codice sorgente o nell'opera
d'arte presentata alla biennale... un virus, in carne e bit!
Seguendo questa linea si finisce in EPIDEMIC, raccolta dei sostenitori della
valenza estetica del codice sorgente, convinti che "un'epidemia in rete
potrebbe assicurare un ridimensionamento economico del modello istituzionale
americano, contro la logica di dominio delle multinazionali".
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Artisti, informatici, intellettuali costituiscono una "comunità
del rifiuto" per smontare le convenzioni della rete attraverso, per esempio,
l'invenzione di 'alternative browsers' come The Web Stalker (www.bak.spc.org/iod).
Con lo Stalker si visualizza la struttura interna dei siti con un diagramma
(i cerchi sono i documenti e le linee i links) da cui si sceglie di vedere
le informazioni testuali o il codice sorgente. E il collage di immagini, testi
e pezzi di codice che generano i browsers Shredder e Riot (www.potatoland.org,
sito dalle strane costruzioni, vedi "door" o "heroes").
E ancora il fantastico starrynight (www.rhizome.org):
la prima volta che un testo di questo sito (modello di compartecipazione e
spazio comune d'arte) viene letto nasce sullo schermo un stellina poco luminosa,
che aumenta d'intensità tutte le volte che il brano viene scoperto
da qualcuno nel mondo; facendo scorrere il mouse sulle stelle appare una lista
di parole chiave del testo, cliccando sulle quali appare la costellazione
corrispondente di tutte le 'stelle' che condividono quella keyword.
A questo punto mi viene il dubbio che queste forme espressive siano troppo
autoreferenziali per dire qualcosa: tutto sembra centrato sulla rete e sul
suo linguaggio. Perchè i netartisti hanno questo estremo bisogno di
esplorare le potenzialità del mezzo su cui lavorano? La stessa necessità
che avevano nel '400 gli artisti che indagavano la prospettiva, o gli impressionisti
che analizzavano il colore, mi rispondo. Il mezzo diventa messaggio e rivoluzione
nel rovesciamento del modo di vedere comune, della percezione di un'epoca
nei confronti dei concetti, delle risposte che un periodo storico dà
al mondo e ai suoi paradossi. E poi questa è un'arte che per la sua
stessa struttura non può fare a meno di essere una battaglia per la
libertà d'informazione e di espressione e di mescolarsi nei temi e
nei messaggi con la lotta per i diritti civili.
Un discorso a parte lo meritano le 'personalità' della net.art: quegli
artisti-ingegneri, che con uno stile riconoscibilissimo e efficace esprimono
lo loro percezione del mondo. La prima cosa che si è costretti brutalmente
a capire quando si va in giro per i luoghi creati da questi geni è
che non hanno niente a che vedere con l'"user friendly" nè
con l'"utilità" tipica dei siti comuni, il cui scopo principale
è far individuare immediatamente all'utente che cosa può trovare
e perchè. Qui non siamo utenti, ma osservatori, incuriositi o inorriditi,
viaggiatori coinvolti in un gioco intellettuale di cui ci sfuggono le regole,
i fini, ma non i messaggi se solo si abbandonano gli schemi rassicuranti delle
icone e dei percorsi guidati. Si sceglie di entrare in un sito di net.art
e di continuare a percorrere binari che spesso si rivelano morti, nonostante
la sottile angoscia di perdere il filo e di ricorrere all'alt+F4 perchè
siamo caduti in trappola e dobbiamo ricominciare il percorso. C'è anche
la continua sensazione di perdere tempo in qualcosa di incomprensibile, fino
a che non appare un particolare o un insieme inspiegabilmente affascinante
e coinvolgente.
Queste le sensazioni a percorrere i fili tracciati da un pazzo dall'identità
sconosciuta che cambia sigla ogni volta (m9ndfukc, cw4t7abs, a9ff, f1f0, Netoschka
Nezvanova di dostojevskijana memoria) e che con una lingua assurda si infila
dovunque con messaggi provocatori; che chiama la net.art MASCHINE3NKUNST (arte
della macchina) e definisce se stesso una compagnia produttrice di software
(www.m9ndfukc.org).
E forse é ancora maggiore lo spaesamento quando si incontra Jodi, sigla
sotto cui si celano Joan Heemskerk e Dirk Paesmase e i percorsi dai caratteri
verdi su sfondo nero del progetto www.jodi.org;
su questi paesaggi evocatori dei primi computer e del senso dell'avventuroso
che si portano dietro, sembra sempre di aver sbagliato strada, che il computer
tanto docile ai nostri click si sia ribellato, che il desktop mostri le sue
viscere di numeri e cavi.
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Non ci sono
solo riferimenti a simboli informatici, in questo universo parallelo, ma compaiono
quasi per caso anche temi scottanti come la pena di morte (Project Grey da
www.passiopea.net), la guerra e l'intuizione
della violenza e dei suoi mezzi. "Questo aereo ha compiuto un'azione
illegale e sarà abbattuto. Se il problema persiste contattare il venditore
dell'aereo": questo messaggio era contenuto nel document source dell'home
page di Jodi durante la prima settimana di combattimenti in Serbia. Impossibile
non pensare all'11 settembre.
E lo stesso quando ti trovi davanti l'Art for the Airport di Vuk Cosic (http://remote.aec.at/history/).
La Pietà, San Sebastiano trafitto, lo stile di Warhol e il gesto di
King Kong: una storia dell'arte che ripercorre le immagini di un millennio
attraverso simboli aeroportuali e che si conclude con un aereo che implode
su se stesso e con un "international cannibalism sign" (un omino
stilizzato con una forchetta e un coltello stile autogrill sulla testa). Presagi?
O solo la naturale conclusione di quello che lo stesso artista aveva visto
una sera di bombardamento sul Kosovo attraverso gli schermi della tv (www.ljudmila.org/~woelle/lajka/war/)?
Colpisce poi la riflessione intorno a 'my boyfriend came back from the war':
più artisti dal '96 a oggi hanno aggiornato periodicamente (per ogni
nuova guerra verrebbe da dire) queste poche parole (www.teleportacia.org/war
e in particolare http://art.teleportacia.org/masha/mbcbftw.jpg
http://audio.msk.ru/mike/olialia/war.gif).
E poi fa uno strano effetto vedere oggi le armi vestite a festa di Antonio
Riello che prende una mina antiuomo, una beretta, un kalashinikov, li veste
come per una passerella di alta moda senza dimenticare di battezzarli con
nome sensuale (www.time.com/time/europe/photoessays/riallo/2.html;
http://web.tiscali.it/ladiesweapons/weapons.html).
Tragica ironia?
Tragica sembra anche l'opera del russo Shutov per la Biennale: donne e uomini
inginocchiati e velati da un manto nero che recitano (www.geocities.com/SoHo/8070/abacus.htm)
litanie e preghiere di tolleranza e rispetto per le culture, ma che con gli
occhi del dopo 11 settembre, annebbiati dalle continue immagini dei terroristi
e delle donne con il burqa, evocano suoni di guerra. Un veggente? No: è
che "troppe volte sottovalutiamo il ruolo fondamentale dell'arte nella
gestione dei conflitti, prima e dopo la loro insorgenza. L'artista si posiziona
frontalmente rispetto alla storia, alla cronaca e al suo linguaggio, si pone
fra lo spettatore la realtà. La forza espressiva dell'arte credo non
debba essere messa più ai margini della discussione politica o delle
strategie culturali utili a confrontarsi ed a risolvere le complessità
del nostro tempo" (Risaliti).
Gli artisti avevano visto e mostrato, con la capacità destabilizzante
di critica della realtà che solo l'arte può avere; e avevano
fatto il loro mestiere creando segnali tanto improbabili quanto vicini alla
verità.
Siti che raccolgono opere d'arte ispirate all'11 settembre non mancano (http://911-groundzero.org/wow/welcome.html,
per citarne uno), e nemmeno belle opere di arte in rete ispirate alla tragedia
(www.brainwhisper.com/nogoodnoevil/
e www.giulyars.net/guernica_newyork.htm),
ma quello che l'arte aveva detto e intuito 'prima' rivela la sua straordinaria
capacità di trovare il senso alle cose, creando connessioni tra idee
e persone. E dopo questo viaggio posso dire che non è affatto morta
- perché non siamo ancora morti noi: ha solo cambiato mezzo insieme
al mondo che la crea.
Per chi vuole farsi un giro:
http://www.absoluteone.ljudmila.org
http://www.potatoland.org
http://www.rhizome.org
http://www.jodi.org
http://www.passiopea.net
http://remote.aec.at/history
http://www.ljudmila.org
http://www.teleportacia.org
http://www.giulyars.net
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