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LINUX, LA GPL E LE VIRTU' DIMENTICATE DEI BENI PUBBLICI di Maria Chiara Pievatolo
Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista "Linux Magazine"
13-11-2004 21:31:12


Noi italiani facciamo fatica a capire che cosa sono i beni pubblici. Spesso, infatti, tendiamo a pensare che un bene pubblico sia qualcosa che non appartiene a nessuno, di cui chiunque può impadronirsi. Corrispondentemente, tendiamo anche a credere che non esistano interessi collettivi, ma solo interessi particolari e privati, in tutti i campi, dall'economia, alla politica, alla scienza. Non sorprende che, per quanto la nostra economia possa essere inefficiente e oligopolistica, la teologia dell'azienda, con il suo gergo anglofono, abbia in Italia un così grande successo - per lo meno a parole.

C'è, tuttavia, una parola inglese che varrebbe la pena imparare: commons. I commons, spiega il giurista americano Lawrence Lessig nel suo libro The future of ideas. The fate of the commons in a connected world, sono beni detenuti in comune, che possono essere goduti da una moltitudine di persone. Tutte possono liberamente accedervi, nel senso che ciascuna se ne può valere senza dover chiedere il permesso ad altri. Sono commons, per esempio, le strade pubbliche, le idee e le teorie scientifiche, i testi divenuti di pubblico dominio dopo la scadenza dei diritti d'autore, il software sotto licenza GPL. In tutti questi casi non c'è nessuno in particolare che possa esercitare una componente fondamentale del diritto di proprietà privata, cioè stabilire se e come farvi accedere altri. Questo, tuttavia, non significa che il commons sia esposto ad essere arraffato da chiunque - che chiunque, per esempio, possa recintare un pezzo di strada pubblica per costruircisi sopra una villetta. Ciò avverrebbe se il commons non fosse di nessuno - fosse, cioè, come amano dire i giuristi in latino, una res nullius. Ma un commons non è una cosa di nessuno: è una cosa di tutti.

I commons hanno una storia sanguinosa: erano commons i prati inglesi comuni che, alle soglie dell'epoca moderna, furono recintati e privatizzati per allevarci le pecore e ridurre alla fame i molti contadini poveri che, fino ad allora, avevano potuto sfruttarli. Gli allevatori, si racconta, diedero inizio all'accumulazione capitalistica che condusse alla rivoluzione industriale. “Le nostre pecore” - scriveva il cancelliere di Enrico VIII Thomas More nella sua Utopia - “che di solito sono così dolci e si nutrono di così poco [...] ora cominciano ad essere così voraci e indomabili da mangiarsi finanche gli uomini, da davastare, facendone strage, campi, case e città.”

Gli economisti, sui commons, sono riusciti a comporre una tragedia. Nel 1968 Garret Hardin scrisse che una risorsa che può essere usata liberamente da tutti ha come effetto collaterale che i costi derivanti dall'uso di ciascuno si scaricheranno su tutti gli altri. Se posso portare le mie bestie al pascolo sul prato comune, rispetto alla mia utilità individuale è per me razionale cercare di sfruttarlo il più possibile, perché è gratis; ma in questo modo esaurisco il pascolo stesso, a danno di tutti gli altri. A chi viaggia piace trovare la strada libera; ma se tutti la usano contemporaneamente, perché è gratis, viaggiare diventa impossibile. Ecco la tragedia dei commons: i beni comuni, in quanto vengono usati in comune, tendono a venir sfruttati fino all'esaurimento. Tendono, cioè, se rimangono comuni, a cessare di essere beni. Solo gli autori di utopie possono rimpiangere i commons, immaginandoli come verdeggianti. Per gli economisti, le recinzioni sono una necessità inevitabile.

In questi ultimi anni, tuttavia, è successo qualcosa che sembra dare, almeno in parte, ragione al vecchio cancelliere di Enrico VIIIi: GNU/Linux non è andato incontro al tragico destino dei commons. Al contrario: si è trasformato in una cornucopia. La cornucopia è un attributo mitico delle divinità dell'abbondanza: Linux, fuori di metafora, non si è esaurito come un pascolo comune, ma, scritto per essere usato, ha prodotto nuove possibilità e nuovo valore, per il solo fatto di essere usato. Ad esempio, nel mio lavoro devo leggere e tradurre testi in più di una lingua. Ho bisogno di molti dizionari a portata di mano, meglio se digitalizzati. Quando sono passata a Linux, ne ho trovati una infinità: Ding, Kthesaurus, Ksteak, Jdictionary, tutti gratuiti. In questo modo, ho potuto fare meglio il mio lavoro e ho potuto spendere per altre cose i miei fondi di ricerca - che sono denaro pubblico, pagato dalle tasse degli studenti e dei cittadini -; nessuno è stato danneggiato.

Come scrive Paul Nowak in The Powerful Economic Underpinnings of OSS, il software a sorgente aperto non è esposto, come i pascoli, ad essere rovinato da un uso eccessivo. Piuttosto, se aumenta il numero degli utenti, aumenta anche il numero degli sviluppatori, la possiblità di trovare driver o, più semplicemente, di imbattersi, in rete, in qualcuno che ha avuto il nostro stesso problema e l'ha risolto. Mentre il software a sorgente chiuso può contare solo sull'azienda che lo ha prodotto, e quindi su un ambito di conoscenze e di competenze inevitabilmente limitato, chi lavora a un programma a sorgente aperto - sostiene Nowak - è come un nano sulle spalle di giganti. Questo paragone, che fu usato anche da Isaac Newton per far capire che le sue scoperte fisiche erano solo l'ultimo atto di un lavoro cominciato da altri, sembra essere stato proposto per la prima volta dal platonista medioevale Bernando da Chartres, per indicare quanto poco ciascuno di noi potrebbe sapere e vedere contando solo su se stesso, senza un precedente patrimonio di conoscenza collettivo. Chi produce un codice proprietario è condannato a rimanere un nano, perché non ha giganti che lo prendano sulle spalle. E chi usa un codice proprietario è condannato a qualcosa di peggiore: a dipendere esclusivamente dallo sguardo - e dagli interessi - di un nano.

Come è possibile che una tragedia si trasformi in una cornucopia? Ancora una volta Lessig ci aiuta a trovare una risposta: la tradizione ha riconosciuto come commons sia risorse il cui uso non è competitivo, sia risorse soggette a un uso competitivo. Una teoria scientifica è un commons non competitivo, perché chiunque può apprenderla senza che nessun altro sia depauperato nel suo patrimonio di conoscenze. Una strada o un pascolo sono commons competitivi, perché un loro uso incontrollato li deteriora e li impoverisce. Non bisogna fare l'errore di confondere i pascoli di erba con i pascoli delle idee: le idee, a differenza dell'erba, crescono se vengono condivise, e il loro valore aumenta, perché la condivisione dà loro la possibilità di svilupparsi e di migliorarsi. Infine, niente ci autorizza a credere, in generale, che se un bene è pubblico sia impossibile vincolarlo a regole d'uso.

Il presidente americano Thomas Jefferson aveva capito benissimo il carattere peculiare delle idee, quando scrisse, in una sua famosa lettera sui brevetti, questa frase altrettanto famosa: “Chi riceve un'idea da me, riceve egli stesso istruzione senza diminuire la mia; come chi accende il suo lume al mio riceve luce senza oscurare me.” Ho poi scoperto che Jefferson non è stato il primo a valersi di questa immagine così illuministica. L'aveva usata anche un antichissimo padre della chiesa, Giustino, filosofo platonico e martire, per illustrare il rapporto fra Dio e la sua parola. Non me sono stupita.

Link rilevanti

[The future of ideas. The fate of the commons in a connected world] Lawrence Lessig. The future of ideas. The fate of the commons in a connected world. Randon House. New York. 2001.

[The Powerful Economic Underpinnings of OSS] Paul Nowak. The Powerful Economic Underpinnings of OSS.

Lettera di Jefferson a Isaac MacPherson del 13 agosto 1813 sui brevetti.

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