Biografia - Links - "The Joy of Hacker Sex" |
da "il manifesto" del 26 Luglio 2003
sito web del quotidiano: www.ilmanifesto.it
La ragazza con il modem. E' morta l'hacker St.Jude
ARTURO DI CORINTO
Gli hackers hanno perduto
la loro santa
protettrice: così titolava qualche giorno fa il sito
internet della rivista
«Wired» (www.wired.com) per annunciare la morte di Jude
Milhon, hacker,
femminista e attivista dei diritti della consolle. Non ce l'ha fatta a
sconfiggere il cancro Jude, ma il suo pseudonimo in rete, Saint Jude,
rimarrà a
lungo nei meandri della rete. Rara figura femminile in un ambiente
dominato da
maschi, Saint Jude, programmatrice informatica e esponente dei
«Computer
Professional for Social Responsability», credeva nel potenziale
di
emancipazione di modem e tastiera. Diceva: «quando sei nel
cyberspace nessuno
sa di che sesso sei». Con questo, non intendeva dire che la rete
è un luogo
adatto alla donne perchè anonimo, libero dal fardello del corpo
e dell'identità
sessuata. Non pensava neppure che fosse una zona franca sgombra da
reazionari e
bulli machisti. Piuttosto lo ha sempre affrontato come un luogo di
sperimentazione e di scoperta del sé.
Il suo messaggio era innanzitutto rivolto alle
donne come
lei: «Dovremmo pensare ad Internet come a una scuola che molte di
noi ragazze
non hanno mai avuto l'opportunità di frequentare e usarla
proprio per superare
la paura di non essere carine abbastanza, educate abbastanza, forti
abbastanza,
belle abbastanza, sveglie abbastanza o abbastanza qualcos'altro»,
e poi,
proseguiva: «Le donne possono non essere brave nella lotta, ma di
sicuro sono bravissime
a digitare a raffica». Di qui il suo famoso slogan: «Grrls
need modems», le
ragazze hanno diritto a un modem.
Per Jude, l'hacking è stato «il
superamento dei limiti
imposti, vuoi dal tuo governo, dalle tue abilità o dalle leggi
della fisica».
Una tesi che rientra a pieno titolo nella definizione che la
«comunità hacker»
mondiale usa per definire la sua attività.
Come icona di un'epoca che la vide protagonista,
quella degli
anni del «Community Memory Project» (la prima agorà
virtuale creata a Berkley
da Lipkim e Felsenstein tra il 1972 e il 1974), le sono state
attribuite, di
volta in volta, invenzioni di termini e pratiche che sono patrimonio
collettivo
di chi ha partecipato agli esordi (di massa) della rete. Ciò che
rimane è
quindi la sua partecipazione all'elaborazione della «filosofia
hacker» come
attitudine quotidiana, ma da un punto di vista sessuato. In uno dei
suoi libri,
Hacking the Wetware: the NerdGirl's pillow book, scritto nel `94
e
pubblicato in seguito con il titolo The joy of hacker sex
(titolo che
riprende un famoso libro della comunità gay americana, The
Joy Of Gay Sex),
si rivolgeva a tutte le donne che volevano intraprendere
l'attività di hacking:
«nell'hacking - amava ripetere -, come nel sesso, c'è
l'attività di un io
desiderante. E laddove termina il conflitto mente-corpo inizia la
liberazione».
Hacking quindi come voglia di scoprire, curiosare,
mettersi
alla prova ma anche come conflitto: «l'hacking è un'arte
maziale per per
difendersi dal politicamente corretto, da leggi invadenti, da bigotti e
gente
ottusa di ogni risma». Una metafora, questa delle arti marziali,
usata per
suggerire l'importanza di sfruttare la forza dell'avversario ma, come
nell'aikido, avendo lo scopo non di vincere ma di con-vincere,
intendendo con
ciò non l'esercizio della persuasione ma il fatto che non si
è mai
completamente vinti o vincitori e che ogni vittoria ha senso solo se
produce un
comune miglioramento. Troppo filosofico? Non proprio. Jude era una
donna con la
testa nella tecnologia e i piedi nella strada. In una intervista a
«Wired» Jude
disse: «Pietre e bastoni possono rompermi le ossa, le parole su
di uno schermo
mi possono colpire solo se, e fino a che, io glielo permetto».