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I CAVALIERI DEL CYBERSPAZIO: INTERVISTA A MARIA MOLINARI
di Carola Frediani (VisionBlog)

Pubblichiamo qui di seguito l'intervista a Maria Molinari (DaMe), che cura il sito di cultura hacker HK.

M.M. Una premessa. Non mi sento e non sono un'autorità in materia. Sono semplicemente un'umanista che anni fa si è lasciata enormemente affascinare dal mondo hacker e che ha voluto sfruttare le proprie capacità per mettere un pò di ordine nell'infinito materiale hacker reperibile in rete. La mia conoscenza del mondo hacker passa, inizialmente, attraverso i motori di ricerca, le chat, i siti. Solo dopo aver dato vita al mio archivio, HK su dvara.net, anzi, forse proprio grazie ad esso, il mio rapporto col mondo hacker è diventato un pò più stretto, l'incontro più ravvicinato. Sono aumentati i contatti, i confronti e persino gli scontri..


D’accordo. Mi puoi accennare brevamente alla tua biografia, specie quella lavorativa?


M.M. La mia passione per la cultura hacker non ha mai preso la forma di un lavoro (quello retribuito) o di una professione....Io con l'hacking non ci lavoro perchè come ti accennavo nasco e, in realtà, resto un'umanista. Grazie alla passione per gli hacker e tutto ciò che li riguarda, da autodidatta, ho imparato a fare molte cose e questo mi ha dato la possibilità di lavorare come programmatirce web e amministratrice di server. Sono, però, lavori occasionali e soprattutto nulla hanno a che vedere con il vero hacking.
Ora tieniti forte. Sono un'orientalista, per giunta archeologa. Specializzata in cose indiane e afghane. Il mio antico destino era fare ricerca, ma poi questa ricerca, per strani ed anche tristi casi della vita che non sto qui a ripercorrere, l'ho proiettata altrove. Primo modem e attrazione fatale per questo mondo hacker quasi immediata. L'archivio HK è il risultato di anni di scavi virtuali e ricerca passionale...I risultati li ho poi resi pubblici, condivisi come nel vero spirito hacker al quale sento intimamente di aderire sempre e in ogni contesto, dentro e fuori la rete. Grazie ad HK, oggi mi chiedono di scrivere degli articoli sugli hacker, l'hacking e l'hacktivism... Questo non vuol dire sentirsi hacker, affermare di esserlo e neanche lavorare con l'hacking. Attualmente collaboro, quando posso, con Digimag. Un pò di articoli miei li trovi nell'archivio di HK.

Com’è il mestiere di hacker? Che cosa cercano le aziende che assumono hacker?

M.M. Il mestiere di hacker non esiste, l'hacking non è un mestiere. L'hacking è un approccio, una predisposizione, un'attitudine, un modo di vedere le cose, un modo di manipolarle, un modo di pensare. Non tutti quelli che sono hacker lavoreranno con l'hacking e non sempre l'hacking ha a che fare col mondo informatico. Capita però che un hacker che ha dedicato gran parte della propria giovinezza al continuo smanettamento con l'hardware, il software e il codice poi quel che sa fare e sa dargli da campare da grande sono proprio quelle conoscenze acquisite da piccolo. Ma lavorare con un computer o con il codice, occuparsi di sicurezza non significa essere hacker. Queste cose e queste competenze non fanno di te un hacker soprattutto oggi che tutti possono accedere a certe informazioni, tutti sanno o possono più o meno fare certe cose...

Quello che fa di te un hacker, chiunque tu sia e qualsiasi cosa tu faccia, è l'adesione a una serie di prinicìpi etici. Tali principi - tanto per essere ancora più chiari - non vengono condivisi da tutti coloro che lavorano nel campo informatico o si occupano di sicurezza. E questa è la vera differenza che c'è tra un hacker dei computer e un geek o un semplice informatico.
Un hacker informatico è tale per le conoscenze che ha e per il modo in cui le acquisisce, le gestisce e le condivide. Lo è soprattutto se tutta la comunità hacker lo considererà degno di essere definito hacker...Questo vuol dire che quel che egli fa deve avere valore all'interno di quella comunità e non all'interno di quella determinata azienda, seppur di un certo prestigio, per la quale lavora...


Detto ciò, provo a rispondere alle tue domande per quel che posso...Io credo che l'aspirazione di un'azienda sia di avere al proprio servizio il suo peggior nemico: l'hacker, almeno così come viene descritto dalla maggior parte dei media. I giornali, ad esempio, descrivono l'hacker, erroneamente, come colui che s'introduce nei sistemi informatici per danneggiarli o, se si avvicinano solo minimamente alla realtà, come colui che individua le falle del tuo sistema per poi comunicartele. Nel primo caso è ritenuto un criminale e nel secondo un hacker etico. L'espressione "hacker etico" oggi è assolutamente abusata. Le aziende che si occupano di sicurezza, o meglio, che vendono la "sicurezza" come servizio o prodotto si servono del termine "hacker" e del termine "etica" per fare affari. Nella nostra azienda - dicono - lavorano degli hacker geniali (il tuo peggior nemico ha un prezzo e puoi comprartelo) ed etici (hanno scelto di stare dalla parte del bene, dalla tua parte) ...

Questo è marketing e nulla ha che fare con i veri hacker, e con la vera etica hacker. L'etica hacker è applicabile senza dubbio al mondo del lavoro, ma ha le sue radici in una riflessione più ampia che riguarda ogni sfera della società e gli individui nel rapporto con altri individui.
A tal riguardo ho scritto qualcosa per Hacker Journal. Puoi trovarlo sempre qui: http://www.dvara.net/HK/HK-Writes/archive.asp. Ti consiglio in particolare questo mio articolo sugli hacker etici: http://www.dvara.net/HK/HK-Writes/hackereretico.pdf

Dunque un hacker che lavori per un’azienda è ancora considerato tale? E d’altra parte come ottiene fiducia da parte dei suoi committenti, specie se ha un passato, diciamo, borderline?

M.M. Ogni hacker è prima di tutto un uomo, un uomo che cerca di vivere e sopravvivere.Quindi se lavori per mantenerti con le conoscenze informatiche che hai acquisito negli anni, non per questo smetti di essere hacker o di essere considerato tale dalla comunità degli hacker. Non sono quelle conoscenze a renderti hacker, ripeto, ma una serie di prinicipi etici che ami applicare in ogni settore della vita: la quotidianità, il lavoro, i tuoi rapporti con la gente, i tuoi hobbies e le tue passioni. Gli unici a non essere ben visti dalla comunità hacker, per altro molto ma molto variegata, che io sappia, sono quegli hacker che hanno scelto di vendere informazioni e le informazioni si sa, secondo l'etica hacker, andrebbero condivise e diffuse, specie se di importanza per tutti. Non sono ben visti anche gli hacker sbirri, gli hacker spia, gli hacker terroristi, gli hacker che sono al servizio di certi governi o multinazionali. Gli hacker sono liberi, entrano ed escono dai sistemi informatici, ma si sentono al di fuori e al di sopra di qualsiasi sistema non informatico. Gli hacker che in qualche modo vengono meno o contraddicono i principi dell'etica hacker, non sono più hacker.

Cosa ne pensi di quelle società che organizzano campi di addestramento hacker?

M.M. Già il fatto che esistano società specializzate in hacker camps e training mi fa rabbrividire...Ovviamente è la mia opinione personale. Che vuoi farci!Tutto diventa affare, tutto diventa moda, tutto diventa pubblicità e consumo. Anche alcuni raduni hacker di fama storica sono ormai diventati eventi business dove si vendono magliette, che pullulano di polizia e giornalisti. E una certa fetta della comunità hacker non li ama più questi eventi. Ma come ti dicevo il mondo hacker è per fortuna molto variegato. Ci sono hacker che si incontrano solo per parlare di tecnologia e hacker che non sanno parlare di tecnologia senza riflettere sul loro impiego sociale, politico, sulle libertà fondamentali degli individui e il nostro futuro.

Ci sono hacker che non amano incontrarsi in strutture in qualche modo controllate o che non possono completamente autogestire. Hacker che non amano avere gli occhi puntati su di sé o il proprio evento e raduni hacker dove è possibile partecipare condividendo praticamente tutto, dalle macchine e alle informazioni in esse contenute, dal vitto all'alloggio. Così sono gli hacker italiani e l'evento che meglio li rappresenta è l'hackmeeting che si tiene ogni anno in una città diversa. L'hacking in Italia è molto più sociale che altrove. Mi piace proprio per questo. Basta partecipare a un hackmeeting o visitare, per esempio, un qualsiasi hacklab per capire che gli hacker italiani non considerano l'hacking una tecnica fine a se stessa, ma uno strumento e un metodo per modificare e migliorare tutta realtà. E per me questo è vero hacking.



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