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H. Pekka, L'ETICA HACKER E LO SPIRITO DELL'INFORMAZIONE. Milano, Feltrinelli, prologo di Linus Torvalds, epilogo di Manuel Castells, tr. it. di Fabio Zucchella, 2001, pp. 172, Euro 12,91, ISBN 88-07-17059-0 Recensione by Sergio Dagradi

Indice   -   L'autore

Il libro di Pekka Himanen, che un così vasto dibattito ha suscitato negli Stati Uniti, approda nelle librerie italiane a distanza di pochi mesi dalla sua apparizione per i tipi della Random House, grazie all’eccellente traduzione di Fabio Zucchetta per Feltrinelli. Fin dal titolo, che vuole ricalcare quello dell’opera forse più fortunata di Max Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1904-1905), l’autore si propone di istituire un raffronto tra l’etica che ha incarnato i valori di una certa struttura economico-produttiva e un nuovo modello di etica che starebbe emergendo in connessione all’affermarsi di una serie di mutamenti significativi nel medesimo quadro produttivo e che vengono sinteticamente presentati dal sociologo statunitense Manuel Castells nell’epilogo del libro. Detto altrimenti, all’etica del lavoro e del denaro propri del pensiero protestante, che secondo lo studio di Weber avrebbe rappresentato un contributo decisivo alla nascita ed all’affermarsi del capitalismo, si andrebbero sostituendo secondo Himanen altri valori che, nati dal mondo dell’hacking, si starebbero diffondendo in ambiti sempre più estesi della nostra società, in relazione al passaggio ad un nuovo paradigma tecnologico che ne starebbe plasmando l’intera struttura materiale.

Accogliendo le tesi di Castells, infatti, secondo Himanen ogni transizione storica è legata allo sviluppo ed al diffondersi di un nuovo tipo di tecnologia, che comporterebbe, all’interno di una determinata società, la riorganizzazione attorno a quest’ultima innovazione dell’intera gamma delle tecnologie disponibili, accrescendo al contempo le performance di ciascuna di esse. Il paradigma tecnologico attuale sarebbe quindi quello dell’informazionalismo, che si caratterizza non tanto per la centralità giocata dall’informazione nella generazione della ricchezza e del potere (in tutte le società storiche infatti è possibile, sempre secondo Castells, riscontrare questa centralità), bensì per l’accresciuta capacità umana nell’elaborazione di questa informazione a seguito, in particolare, delle innovazioni introdotte nella microelettronica e nella ingegneria genetica.

Ora, questo mutamento di paradigma, come nota Himanen, non si è automaticamente tradotto in un mutamento anche nei valori espressi dalla società nata da questa transizione: la network society, ovvero quella struttura sociale flessibile, senza centro, fatta di realtà interconnesse tra di loro in modo rizomatico e che rappresenta la forma di organizzazione sviluppatasi sulla base della nuova tecnologia produttiva, in verità ha continuato a funzionare secondo la logica dell’etica precedente. Anzi, la società dell’informazionalismo ha rappresentato per molti versi il compimento più puro ed essenziale dei principi dell’etica capitalista del lavoro e del denaro (il lavoro come dovere connesso alla massimizzazione del proprio reddito). La new economy non raffigurerebbe che una nuova fase di sviluppo del modello capitalistico di produzione, nella quale la realizzazione di plus-valenze è e rimane l’obiettivo ultimo, il fine ultimo della creazione. Non solo, ma nella società contemporanea si è assistito all’estensione del modello di ottimizzazione e compressione del tempo, propri dell’organizzazione sociale del lavoro dell’economia capitalistica, anche nella sfera privata: la colonizzazione del tempo libero, del tempo non lavorativo è risultata totale e, come ipotizzato da Marx nei Grundrisse (ma a questi Himanen non fa riferimento), funzionale proprio al mantenimento del processo di realizzazione del plus-valore. Lungi dall’essere scomparso il taylorismo, nella sua versione aggiornata ed ottimizzata dall’automazione, è diventato per Himanen l’architrave dell’organizzazione di ogni aspetto esistenziale nella network society. L’idea stessa di flessibilità — così cara anche a taluni "intellettuali" di casa nostra — rappresenta bene questa idea di un tempo nel quale il lavoro è pensato in una valenza centrale così forte per la vita delle persone (ed il senso della loro stessa esistenza), che il tempo di non lavoro è a sua volta concettualizzabile solamente in termini di disponibilità per brevi intervalli di lavoro.

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Ma questo quadro, ricostruito con buona lucidità da Himanen, anche attraverso il riferimento all’opera più organica di Castells sull’argomento (The Information Age, Blackwell, Oxford 1996), potrebbe aprire anche ad opzioni diverse di organizzazione sociale. Il discorso dell’autore diviene allora, e credo proprio in questo senso, etico, nel senso più forte del termine. La proposta che viene discussa è infatti quella di un diverso atteggiamento nei confronti tanto del lavoro che del denaro, ed implicante una diversa concettualizzazione della collettività, come è emersa anzitutto proprio nella cerchia dei protagonisti della prima delle due innovazioni tecnologiche sopra menzionate: gli hackers. I sei capitoli, suddivisi in tre parti, del libro si articolano infatti ad illustrare — uno per capitolo - i valori alternativi di cui questi ultimi si sarebbero fatti portavoce in alternativa a quelli affermatisi nella società dell’informazionalismo.

Chiarita la distinzione tra hacker e cracker, intendendo — contrariamente alla pubblica opinione — soltanto con questi ultimi i responsabili dei più frequenti crimini informatici, Himanen passa dunque in rassegna quei valori dell’etica hacker che dovrebbero sostituire le sette virtù cardinali, come lui stesso le chiama, della nuova professionalità della network society (determinazione verso un obiettivo, ottimizzazione del tempo, flessibilità nell’approccio all’obiettivo, stabilità nel perseguirlo, laboriosità, denaro, misurabilità del risultato). Il concetto centrale, attorno al quale ruotano gli altri sei valori, risulta allora essere quello della creatività, ovvero "[…] l’uso immaginativo delle proprie capacità, il continuo sorprendente superarsi e il donare al mondo un nuovo contributo che abbia un reale valore" (p. 108), che si estrinseca anzitutto nella passione, come quell’atteggiamento di dedizione ad un progetto che caratterizza la disposizione hacker verso il lavoro. Questa passione porta ad un superamento della dicotomizzazione tra tempo lavorativo e tempo libero, in un’ottica di flessibilità che tuttavia si presenta con caratteri di radicale diversità rispetto a quelli costitutivi del precedente modello: per l’hacker significa la capacità di autorganizzare la propria vita sulla base di personali esigenze, sfuggendo ad una organizzazione ripetitiva e cadenzata della giornata. Significa, ancora, combinare in modo meno rigido dell’attuale i momenti del lavoro con quelli dedicati alla famiglia o agli amici o al divertimento. Il consacrarsi ad un progetto può allora portare un hacker a lavorare nel cuore della notte o per giorni interi, ma per libera scelta. La libertà viene quindi a presentarsi come l’altro pilastro dell’etica hacker del lavoro. Nella seconda parte è invece la centralità del denaro che viene posta in discussione. La scelta di un lavoro, di un progetto, il dedicarsi al suo sviluppo non sono immediatamente legati ad una esigenza di fatturato, di plus-valenza: ciò che attira l’hacker è invece il valore sociale di ciò che sta compiendo, la possibilità di compiere qualcosa di creativo che abbia un valore per la comunità, che possa essere riconosciuto come tale e che possa quindi essere condiviso, sulla base del valore dell’apertura che caratterizza il lavoro di ricerca nella comunità scientifica. L’ultima parte è dedicata, conseguentemente, a quella che Himanen chiama netica (nethic). Da non confondere con la netiquette, ossia i principi di comportamento adottati per la comunicazione in rete, la netica si sviluppa dalla riflessione attorno ai diritti fondamentali del cyberspazio: libertà di parola, censura, privacy, accesso al net. Tradotti in valori questi diritti corrisponderebbero all’attività, ossia la fattiva e completa libertà di espressione di ognuno al fine di porsi come soggetto attivo all’interno della comunità, ed alla caring, alla responsabilità verso la possibilità di accesso di tutti al network, in opposizione tanto alla passività quanto al principio di esclusione che, secondo l’autore, caratterizzerebbero il funzionamento della nostra società.

Come detto, tuttavia, questa visione etica che Himanen ci sottopone è tuttavia da intendersi come dimensione del possibile, ed in questo credo risieda la debolezza della sua analisi. I fenomeni che lui stesso sottopone al lettore dicono che lo spirito che presiede alla società attuale non ha mutato i propri dispositivi di funzionamento: lungi dall’aver sostituito quell’etica protestante del lavoro e del denaro che Weber aveva per primo colto come elemento centrale nell’affermarsi del capitalismo, l’etica hacker si presenta più come una sfida lanciata alla società dell’informazionalismo che come suo spirito. Ed una sfida che non raccoglie, per ammissione dello stesso autore, neppure l’accordo di tutti gli hacker sulla totalità dei suoi capisaldi. E’ quindi un etica di nicchia, se è concesso l’utilizzo di questo termine, un’etica confinata ad un gruppo di persone delle quali il capitale — dall’alto della sua potenza — può permettersi l’esistenza (e delle quali peraltro si è anche giovato per l’implementazione dello sfruttamento). E’ un’etica, tuttavia, che può essere forse utile come parametro per valutare da una prospettiva diversa quei mutamenti in atto sotto i nostri occhi e verso i quali sembriamo poco meno che ciechi: l’esempio relativo alle letture possibili del concetto di flessibilità va in questa direzione. In conclusione, il libro di Himanen è un documento senz’altro importante sul dibattito in atto attorno alle trasformazioni prodotte dalla cosiddetta terza rivoluzione industriale, sui meccanismi che presiedono la nostra società e sui valori che ancora, dopo tutti i dibatti sulla fine delle ideologie, la pervadono (e ci pervadono), e che tuttavia fallisce nella pretesa di rappresentarsi come un percorso alternativo praticabile.

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Indice

Prefazione p. 5 — Prologo: Come agiscono gli hacker? Ovvero, la Legge di Linus, di Linus Torvalds p. 9 — Parte Prima. L’etica del lavoro. 1. L’etica hacker del lavoro p. 15 — 2. Il tempo è denaro? p. 26 — Parte seconda. L’etica del denaro. 3. Il denaro come motivazione p. 43 — 4. L’accademia e il monastero p. 56 — Parte terza. La netica. 5. Dalla netiquette alla netica p. 71 — 6. Lo spirito dell’informazionalismo — Conclusione. 7. Il riposo p. 107 — Epilogo: L’informazionalismo e la network society di Manuel Castells p. 117 — Appendice: una breve storia dell’hacking di Pekka Himanen p. 133 — Note p. 141 — Bibliografia p. 161 — Ringraziamenti p. 172.

L'autore

Pekka Himanen — come recita anche la quarta di copertina — è docente presso le Università di Helsinki e di Berkeley. Ha fatto parte del gruppo di consulenza della Presidenza del Consiglio finlandese incaricato dello studio del piano strategico per le nuove tecnologie.

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