NETRUNNER ON THE RUN by Stefano Zanero
"Login:"
Stefano digitò, con le dita che gli tremavano:
"calypso"
"Password:"
Se il codice non era quello corretto, aveva poche speranze di poter in breve tempo far saltare la rete informatica dello sceicco.
"Ma3lstr0m"
"Non provarti a dirmi login invalid" inveì Stefano "mi è costata tre ore di sniffing".
"Checking disk quota... logging in... mounting remote NFS...
You have new mail"
Bene, un NFS attivato. Evidentemente non era gente che si aspettasse un attacco telematico di nessun genere. Ormai solo i sassi non conoscevano i buffer overrun di NFS. Pero', pero'... lo sceicco non era certo l'ultimo dei pirla. Meglio assicurarsene.
Da bambino coscienzioso, Stefano inserì un CD nella macchina che aveva sotto le dita, una workstation HP unix presa a prestito nel centro di calcolo della sua università. Faceva quasi freddo lì dentro, in quel piccolo bugigattolo parallelo al corridoio, ricavato interponendo del compensato e del vetro tra lui e la folla che entrava nella sala terminali, 0.2, per giocare con i MUD e leggere la posta con pine. Non avevano osato chiamarla "aula", pertanto era solo uno "spazio riservato al Dipartimento di Elettronica ed Informazione".
Per precauzione aveva switchato la macchina sul runlevel 2, garantendosi di essere l'unico utente. Tra qualche decina di minuti un operatore avrebbe potuto accorgersi di quel fatto insolito, ma sicuramente non alle 13.00, ora di pranzo. Inserito il CD, digitò i comandi per montarlo nel filesystem dello unix.
Ci vollero pochi istanti per confrontare l'eseguibile di NFS con le varie versioni che aveva a disposizione. Era l'ultimo, maledettamente refrattario all'overrun. Fortunatamente, non era l'unico buco che aveva a disposizione, quindi decise di provare con cose più semplici. FTP Daemon versione 2.3 ? Perfetto.
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Pochi esperti comandi, un sorgente C di poche righe, bastò a fare il lavoro.
Stefano, sudato nonostante l'aria condizionata, digitò soddisfatto:
"SU car1bb34n"
E ottenne il prompt di root.
"Dovrei scrivere un manualetto, come quello di Sir Hackalot" riflettè Stefano.
E iniziò a digitare alcuni comandi, che avrebbero parsato l'intero disco del sistema dello Sceicco, alla ricerca di prove.
Prove di un omicidio.
Prove di un tradimento.
E digitava le sue lunghe formule, Stefano, come fossero incantesimi, dove al posto delle rune comparivano gli &&, gli if - fi, e le |.
Digitava formule magiche di grep, find, hawk. Digitava e cercava, salvava su una cartuccia ZIP e riprovava, fino a quando fu ragionevolmente certo di aver spremuto da quel computer tutto lo spremibile.
Psiche soltanto sapeva se sarebbe bastato a capirci qualcosa.
A trovare un colpevole.
A vendicare Lorenzo. No, forse questo sarebbe stato impossibile.
Però un piccolo acconto lo si poteva restituire.
Così pensava, Stefano, mentre inseriva un trojano ben nascosto per garantirsi il rientro nel sistema, e poi inseriva una backdoor meno nascosta come specchietto per le allodole. Quasi morì di infarto quando sotto le dita gli squillò il cellulare.
Guardò il CLI. Vuoto. Vuoi vedere che è ancora Mostro, da qualche strampalato museo in giro per l'Europa ?
Lo pose tra l'orecchio e la spalla, in una posizione in cui era abituato a continuare a lavorare.
"Pronto ?"
"Ciao, Fratello."
La voce era priva di inflessioni, metallica... la conosceva, quella voce...
"Prometeo!" Spock mollò la tastiera e passò la cornetta nelle mani, per evitare di farla cadere per la sorpresa.
"Proprio io."
"Ma come... ah, lasciamo perdere. Sono felice di risentirti."
"Non è molto che non ci sentiamo, Fratello."
"Sì, ma dico via voce... oh, beh, per te suppongo non cambi nulla..." disse in tono rilassato Stefano, rimettendo il cellulare tra la spalla e l'orecchio e riprendendo a digitare.
"Sarei felicissimo di chiacchierare con te, ma non c'è tempo, Stefano."
Spock tornò serio: "Dimmi tutto."
"Hai fatto un bel lavoro, con quel computer."
"Nulla di eccezionale." fece Stefano, quasi arrossendo per il complimento.
"Perfino troppo facile." assentì Prometeo.
Stefano guardò lo schermo.
"In effetti..." disse, e un sospetto gli attraversò il cervello.
"Se osservi i dati che hai scaricato..." disse Prometeo
E già le mani di Spock avevano digitato
"cd /mnt/zipdrive; tar xvfz datapack.tar.gz; cat data.txt | less"
Una fila di frasi in cui erano mischiate, senza senso apparente, le parole chiave che aveva cercato, gli sfilarono di fronte agli occhi.
"Merda."
"Eh, già. Ma non è tutto. Toppa per Raistlin."
"Cosa... non mi dire..."
Stefano estrasse dalla tasca un floppy, e lo infilò nel drive.
"mount /dev/fd0 /mnt/floppy; cd /mnt/floppy/bin; netcat -p -i /dev/net/ppp0"
E sullo schermo cominciarono a scorrere, ordinatamente, i pacchetti e le porte su cui erano diretti. ICMP.
"Chi sono ? Chi mi ha dato questa..."
"Lo ignoro. So che hanno sfruttato l'IP hijacking"
"Maledizione. La provenienza dei segnali di tracciamento ?"
"Ignota. Ti posso dire che arrivano da una connessione cellulare, e che quel cellulare è nella stessa rete, stesso ripetitore su cui è anche il tuo. Non è escluso che ci stiano sentendo, in questo momento."
"3 minuti."
"Forse meno."
Stefano digitò furiosamente alcuni comandi, e ottenne il riavvio della macchina.
"Un po' in ritardo."
"Io non vedo la rete come la vedi tu. Potevi anche avvertirmi un po' prima." disse, alzandosi.
"Evidentemente ti ho sopravvalutato."
Detto così, senza inflessione. Nemmeno ti ci potevi arrabbiare.
Stefano prese le sue cose, estrasse il CD e il floppy dalla workstation, e si avvicinò all'uscita, sempre col cellulare in spalla:
"Cazzo, non pensavo... sono venuto qui in CdC apposta, per non dover stare a occultare la mia traccia... non mi aspettavo di avere un cacciatore così vicino."
"Effettivamente, una mossa azzardata da parte tua, Raistlin."
Stefano uscì nel corridoio con una svolta stretta attorno alla parete di compensato:
"Senti..."
Si bloccò.
All'uscita, due uomini che non aveva mai visto parlavano col portiere e gli mostravano un... tesserino.
Erano vestiti di nero, e uno di loro teneva in mano gli occhiali da sole.
"Oh, merda." fece Spock, facendo istintivamente due passi indietro.
"L'altra uscita, Stefano."
"Non posso, il mio tesserino non mi consente..."
"Sì, lo consente. Vai."
Stefano si girò sui tacchi, dirigendosi verso l'ingresso addetti del centro stampa studenti, proprio mentre i due uomini vestiti di nero varcavano il cancelletto di ingresso. Lo videro, attraverso i vetri.
Accidenti a chi aveva progettato quel posto.
Stefano fece un balzo, ed iniziò a correre nella direzione del centro stampa. Il suo inseguitore scattò a sua volta, provocando la reazione iraconda del guardiano:
"Ehi non si può correre..."
Stefano raggiunse la porta a vetri. Avrebbe dovuto strisciare il tesserino, per aprirla. Fermarsi, estrarlo, offrire un bersaglio. Sentiva i passi rapidi dell'uomo dietro di lui.
Disse: "Prometeo..."
La porta scivolò a lato, lasciandolo passare.
"Lode imperitura a Psiche" bofonchiò Stefano balzando nello spazio tra due file ordinate di stampanti laser e inkjet che ronzavano quietamente stampando gli ultimi documenti prima della pausa estiva. Un operatore gli si avvicinò incuriosito, fece per parlargli.
Prometeo disse: "Non ti conviene perdere tempo, fratello."
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Stefano appoggiò un piede su una scansia, un altro su una HP deskjet, e saltò letteralmente oltre il giovane obiettore di coscienza, lasciandolo con un palmo di naso.
"Prometeo, l'uscita." ansimò Stefano nel cellulare
"Non trovo il codice. Salta il cancelletto."
"Merda"
Stefano appoggiò una mano sul blocco del cancelletto rotante, ed effettuò un passaggio che avrebbe fatto impallidire un atletico del Cavallo.
La guardia giurata si alzò di scatto dietro il vetro blindato della portineria: "EHI !"
Stefano si lanciò contro il portone di vetro e acciaio, chiuso da una maniglia antipanico.
In quella sopraggiunse l'uomo vestito di nero. Correva a tutta velocità, e con piglio deciso appoggiò un piede a terra, prese lo stacco, e saltò a piè pari sopra il cancelletto. La guardia giurata rimase a bocca aperta, mentre l'uomo usciva e si lanciava all'inseguimento dell'hacker fuggitivo.
Qualche istante dopo il secondo uomo nerovestito arrivava con le credenziali e la spiegazione ad acquietare il povero guardiano. In venti anni di servizio al politecnico, mai tanta emozione.
Stefano ansimava. Non era un atleta, non aveva il fisico per sopportare uno sforzo del genere. Solo l'adrenalina riusciva a tenerlo in piedi.
Udire la voce di Prometeo, calma e razionale come al solito, lo fece quasi infuriare:
"Lui è più veloce. Non puoi farcela."
"LO SO... MALEDIZIONE ! Perchè ... non ... inventi un'idea... invece..."
"Risparmia il fiato ed ascolta. Prendi il sottopasso pedonale verso il campus Bonardi."
A Stefano venne quasi voglia di ridere: altri 200 metri con quell'andatura e sarebbe morto. E dietro l'uomo in nero che calcava i piedi sul terreno come fossero pistoni, stantuffi, non mossi da muscoli ma dal vapore. Scansò a balzi la gente che affollava il ristretto passaggio pedonale, parzialmente invaso da muratori intenti in misteriosi lavori di ristrutturazione. Urtò una ragazza con in mano un pacco di fotocopie, che si sparpagliarono un po' ovunque lì intorno venendo calpestate brutalmente dal suo inseguitore.
La ragazza strillò. Numerosi studenti si erano già voltati a guardare l'insolita scena, e Stefano inghiottì le lacrime mentre il Velo che difendeva la sua vita privata dal Pathos si stiracchiava e si lacerava.
Passò sotto via Bonardi, sentendo i tonfi dei passi pesanti dell'uomo oscuro dietro di lui. Strinse i denti per la rabbia. Ignari ovunque.
"Sotto la rampa, dentro il dipartimento di Meccanica"
"E' chiuso, maledizione."
"Ti apro io..."
"Non ha altra uscita." disse Stefano, e salì invece sulla rampa. A sinistra, il Trifoglio, con le sue aule trilobate, e la nave, orrido palazzone in cemento armato sporco, sei piani di sofferenze nei dipartimenti di matematica e meccanica.
A destra, via Bonardi con il suo traffico e il suo viavai di macrocefali micromuscolati, e macromuscolati microcefali insieme, e oltre questa la tetra ciminiera simbolo del Politecnico, e le aule del campus Leonardo che aveva appena attraversato di corsa.
"Muoviti di lì, fratello." lo incalzò Prometeo.
Si lanciò verso la Nave, entrò di slancio nella portineria e inizò a salire di corsa.
"Dove vai, fratello ?"
"Non faccio il topo !"
Non aveva senso fuggire verso l'alto, verso un cielo a cui non poteva aspirare. Ma c'era qualcosa nella sua vita che avesse un senso ormai ? Il tacchettio dei passi del suo carnefice lo inseguiva, e Stefano correva al suo ritmo. Forza, bisognava correre. Secondo piano, Biblioteca del dipartimento di matematica. Ma era stanco, infinitamente stanco. Terzo piano, Analisi Matematica. Stanco di lottare, ma ancora più stanco di scappare. Quarto piano, Meccanica Razionale. Stanco di essere sempre bersaglio. Quinto piano, Statistica. Stanco di vivere per sempre. Sesto piano, Geometria. Stanco di lottare per sempre.
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Who wants to live forever ?
Who dares to love forever ?
Spalancò la porta del tetto. Il vento di Milano, sudaticcio e carico di smog, gli alitò caldo sul viso.
Stefano si voltò. L'inseguitore gli era appresso ormai.
Prometeo ripetè: "Cosa vuoi fare, Fratello ? Non c'è via d'uscita da lì"
"Ne sei certo ?"
L'uomo uscì a sua volta, e si avvicinò lentamente.
"Ovviamente. Ho studiato la planimetria completa di..."
Con gesto lento e deliberato Stefano lanciò il cellulare oltre la balaustra.
L'uomo si avvicinò ed estrasse delle manette.
"Non fare casino, e nessuno si accorgerà di nulla."
Stefano lo guardò, guardò quel cuore candido come la neve, gelido come il ghiaccio, e sentì la stanchezza che svaniva, e si mutava in odio, odio profondo. Odio assoluto. Sentiva il Pathos spingere dentro di sé, sentiva che in qualunque modo quella scena della Narrazione si fosse conclusa, non sarebbe stato con un silenzio.
"Non fare casino ?" chiese, con tutta l'intenzione di fare l'esatto contrario.
La pistola dell'uomo venne scoperta da un destro movimento della mano.
"Non complicare le cose. Era naturale che finisse così. Non puoi sfuggire in alcun modo. Rassegnati. Non puoi fare nulla."
Stefano osservò con piglio furente il suo antagonista. Poi fece un movimento verso la porta, per andarsene, per ignorarlo completamente.
L'uomo infilò rapidamente una mano sotto la giacca, estraendo e puntandogli contro la pistola.
Stefano, senza batter ciglio, dichiarò, in un tono che non ammetteva nè se, nè ma: "E' inceppata."
Click.
L'uomo si guardò la mano, poi lanciò a sua volta l'arma oltre la balaustra.
I due si guatarono. Furente l'uno, gelido l'altro.
Stefano respirò a fondo più volte cercando di calmarsi, di non esplodere proprio lì, proprio in quel giorno. Di non dimostrare che avevano ragione loro. L'uomo lo guardava, con una sorta di freddo, cinico distacco, attendendo proprio quell'esplosione che lo avrebbe privato del raziocinio, squarciando il limite, distruggendo la sua fragile umanità di carne e di sangue nell'esondazione dell'anima immortale.
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Stefano lo guardò, e la semplice coscienza di quel deliberato tentativo di portarlo allo stremo dell'ira lo faceva a un tempo avvampare di rabbia e rinchiudere in un ancora più stretto autocontrollo.
L'uomo lo guardava. I suoi occhi tradivano i suoi pensieri. Aveva orrore, paura di lui, e attendeva la rivelazione per poter finalmente giustificare a se stesso e all'umanità il suo desiderio di distruzione.
"Tu non mi ritieni umano" affermò Stefano, e potè sentire una vibrazione nel petto dell'uomo, e comprendendo di aver colto nel segno, continuò: "Se in questo momento mi potessi uccidere, lo faresti, perchè non lo riterresti un OMIcidio, nevvero ?"
Il ghigno malevolo gli fece intuire, una volta di più che aveva ragione.
Pregiudizio, maledetto pregiudizio. Omini verdi, vero ? Dopo diecimila anni, ancora ?
"Cosa sono io, allora, se non sono un uomo ? Dimmelo: COSA DIAVOLO SONO ?" gli chiese Spock.
L'uomo rispose, in un sussurro:"Assassino. Responsabile di millenni di morte... di pianto... di dolore..."
Stefano gli sputò contro tutta la rabbia che poteva raccogliere nel suo animo esacerbato: "Assassino ? Sì, un assassino. Comodo, cercare la differenza e bollarla come una colpa. Siamo diversi da te, certamente. Ma se ci fate il solletico, non ridiamo ? E se ci avvelenate, se ci sparate, non moriamo ? E se ci fate un torto..." e Stefano spalancò le braccia "Se ci fate un torto !" urlò "non dovremmo noi vendicarci ? Quante volte abbiamo ucciso ? E ogni volta, non c'era forse una ragione, una Trama ? E quante vite abbiamo salvato ?"
Stefano urlava, sulla cima dell'Edificio Bonardi: "E ciò che abbiamo donato all'uomo non conta niente, vero ? Ciò che di positivo abbiamo fatto è scomparso, cavalcando il vento del tempo, ma il male - o quello che voi giudicate tale - che abbiamo fatto ci sopravvive, vero ?"
Stefano poteva sentire la struttura possente dell'edificio sotto di lui. Un solo colpo sarebbe bastato, se lui fosse stato quello di cinquecento anni prima. Ma il mondo era diverso ormai. O forse no ? Non era quel mondo ad essere diverso... la città, soffocata d'asfalto, giungla di fiori di cemento, era poi così diversa dalla Costantinopoli di cinquecento anni prima ?
Non era forse LUI ad essere diverso ? Più... umano ?
"Noi siamo i signori delle trame. Abbiamo portato l'emozione in questo mondo, e dalla nostra semina siete nati voi." Stefano tese la mano ad abbracciare l'orizzonte caliginoso della città, immersa nella sua tranquilla vita augustana "Ci dobbiamo ora rassegnare che il raccolto vada perduto ? Non è mostruosa la nostra ignavia nel difendere ciò che ci appartiene, ciò che abbiamo creato ? Vogliamo vivere o non vogliamo vivere ? Questo, una volta di più, è il dilemma. E' più nobile sopportare il tradimento del genere umano, o combattere perchè il progetto torni quello che era ?"
E si avvicinò tranquillo alla balaustra. Vi appoggiò una mano ed osservò l'orizzonte, pallido nella luce del sole allo zenith. "Vivere ? Morire ? Dormire per sempre, tornando ad essere inconsapevoli di quello che eravamo ? Dormire. Sognare, forse. Sognare di Asgard ammirevole, Costantinopoli eterna, Roma potente. Sognare la storia che abbiamo raccontato per voi, fino a quando ce lo consentiste."
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Stefano si voltò e guardo l'essere (non l'uomo, no), l'ira tramutata in una immensa tristezza.
L'essere ripetè, con meno convinzione di prima: "Non c'è... via d'uscita da qui."
Stefano gli disse: "Ne sei sicuro ?"
Stefano si era avvicinato al parapetto, ed oltre ad esso guardava, la città immersa nella calura e nel sudiciume dell'estate. E l'uomo avrebbe giurato di vedere un sottile velo di pianto negli occhi dell'alieno.
"C'è sempre almeno una via d'uscita." disse sommessamente.
L'uomo intuì troppo tardi il movimento. Si lanciò verso di lui, ma non fece in tempo ad acchiappare il giovane hacker che si lanciava nel vuoto appoggiandosi alla ringhiera con una mano.
Un pugno dell'Inquisitore sferzò l'aria, accompagnato da una imprecazione soffocata, mostrando la frustrazione del cacciatore che ha perso la preda. Poi egli si tolse con un lento gesto di compassione gli occhiali da sole, si avvicinò alla ringhiera e guardò mestamente verso il basso.
E sgranò gli occhi, fremette di rabbia, vedendo che esattamente un piano sotto, finiva una scala antincendio nerastra.
"No !" disse l'uomo in un ringhio, battendo un pugno sulla ringhiera, mentre il giovane hacker gli faceva con due dita un ironico saluto militare dai piedi della scala, lungo il cui palo centrale si era probabilmente lasciato scivolare. Guardò con tetra desolazione l'intrico di stradine e pertugi che si aprivano tra gli edifici del campus, lì sotto. Ed estratta una ricetrasmittente nerastra, latrò: "L'ho perso. Organizza un inseguimento..."
Il ronzio della statica lo costrinse ad allontanare l'orecchio, mentre giù nel cyberspazio una intelligenza artificiale sorrideva.
Stefano Spock controllò il cellulare (che era caduto solo sulla piattaforma della scala, non a terra: mica era tanto pazzo da buttare via soldi a quel modo solo per fare scena): era ancora connesso. Lo portò all'orecchio, mentre camminava verso una stazione del metrò, a passo svelto e con un occhio alla schiena.
"I miei complimenti." sentì una voce, sempre gelida e metallica. Eppure Stefano, se non ne avesse saputo abbastanza, avrebbe detto che stava sorridendo.
"Di nulla. Del resto, fare l'eroe tragico non è scritto nel mio destino. L'ultima volta finii come un vigliacco, pur di non essere un eroe."
"Eppure, quel vigliacco mutò il corso degli astri nel cielo."
"Il che ci riporta al dilemma che citavo al mio inseguitore, Fratellone. E cioè se sia meglio, alla resa dei conti, essere eroe, e perire tragicamente, e forse non completare, ma intraprendere una missione ben oltre le nostre forze, oppure essere uno tra tanti, che vivrà a lungo facendo solo ciò che sa di poter compiere, svolgendo il suo ruolo nella narrazione."
"Eppure l'uno e l'altro sono egualmente importanti."
"Senza Yorick non vi sarebbe stato Amleto ? E senza Amleto non vi sarebbe stato Yorick ?"
"Ma senza l'uno e l'altro la storia non sarebbe stata la stessa."
"Sì, ma io chi devo essere ? Amleto ? Yorik ? O Shakespeare ?"
"Mi stai chiedendo se è più importante l'idea o l'azione, Fratello ?"
"No, ti sto chiedendo di trovarmi un posto su un pulmann o un treno diretti in qualche località turistica molto affollata. Per un mesetto non voglio essere reperibile a Milano."
"Come preferisci. Ti sento poco, Fratello."
"E' perchè mi sto infilando in metrò. Ci sentiamo dopo."
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