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ANARCHICI O TRUFFATORI - LA VERA STORIA DEGLI HACKER by Giancarlo Mola
Trasgressivi ma mai criminali, i pirati nascono nelle comunità hippy e si inquinano negli anni 80

(27 febbraio 1999)

Angeli o demoni, innocui idealisti o pericolosi criminali, sognatori o furbastri, anarchici o truffatori. Chi siano davvero gli hacker è difficile a dirsi. E la risposta dipende molto da chi la dà. Per governi e grandi software house, i pirati sono solo una variante tecnologica dei delinquenti comuni. Ma per buona parte del popolo dei programmatori, dei ricercatori, degli internauti della prima ora, sono al contrario gli interpreti dello spirito autentico della telematica.

Anche loro amano distinguere. Quando infatti gruppi di pirati cominciarono a utilizzare le conoscenze informatiche per rubare numeri di carte di credito o per acquisire informazioni riservate da rivendere a caro prezzo, gli hacker della prima generazione si ribellarono. E coniarono per loro una serie di dispregiativi: crackers, dark side hacker, lamer. Il mondo dei pirati si spaccò in due. Cominciò l'era delle lotte intestine. E dei veleni.

Trasgressivi d'altronde, gli hacker, lo sono sempre stati. Ma criminali no. Per capire la cultura cui appartengono bisogna percorrere a ritroso le loro tracce. Che portano dritto alle comunità di hippy che negli anni Sessanta gremivano i campus d'oltreoceano. Le grandi università tecniche americane diventarono il luogo d'incontro tra la controcultura dello Youth International Party e le nuove tecnologie dei computer. Gli ideali libertari si scoprirono, sul finire del decennio, assecondati più dalle nuove potenzialità della comunicazione elettronica che dall'uso di droghe leggere. Nel 1971 iniziarono le pubblicazioni dello Youth International Party Line, il bollettino del movimento. E il suo fondatore Abbie Hoffman, antesignano degli attuali hacker, cominciò così a diffondere le istruzioni su come costruire in casa i blue box, le scatole telefonare senza spendere un dollaro. Patrie di questa nuova ventata giovanile diventarono presto il Massachuttes Institute of Tecnology dell'università di Cambridge e l'Artificial Intelligence Laboratory di Stanford.

Proprio a Stanford nel 1973 fu diffusa la prima versione del Jargon File, una specie di dizionario dello slang utilizzato dai gruppi di giovanissimi programmatori. Aggiornato di continuo nel corso degli anni, è oggi reperibile su numerosissimi siti Internet. È proprio con la Rete, infatti, che gli hacker precisarono la loro identità. Nel 1969 il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti lanciò Arpanet. Il progenitore di Internet arrivò presto nelle università. E fu accolto come una rivoluzione: comunicazione più rapida, possibilità di far circolare informazioni con rapidità inimmaginabile. Partirono presto le prime banche dati e mailing list, nacque una nuova comunità giovanile la cui sede era il mondo intero.

Una purezza destinata a inquinarsi negli anni Ottanta. Quando alcuni smanettoni capirono che dalle autostrade telematiche si poteva spremere denaro. E allora via, a impossessarsi di password riservate, a carpire codici di carte di credito, a fare spionaggio industriale.

Nasce così l'ambiguità di oggi. In cui si definisce con la stessa espressione chi scardina i sistemi delle banche per rimpinguare il proprio conto, chi duplica per sé programmi protetti da copyright, chi entra nei siti per puro spirito goliardico, chi lavora allo sviluppo del free software (come accade per gli appassionati di Linux). Con risvolti anche paradossali: le compagnie e le istituzioni che vogliono difendersi dalla pirateria offrono cifre enormi proprio per assumere ex hacker. E a volte prendono clamorose cantonate.

La Cia aveva infatti assunto come cacciatore di teste Justin Petersen, già condannato per aver prelevato 150.000 dollari dai conti di una società finanziaria. "Agent Steal", questo il suo nome da 007, è stato il protagonista dell'arresto di Kevin Mitnick, il più famoso hacker in circolazione. Petersen aveva continuato nel frattempo a scorrazzare nelle reti, prendere denaro, fare la bella vita. La sua corsa è finita l'11 dicembre 1998, dopo 10 mesi di latitanza. Destinazione: il Metropolitan Detention Center di Los Angeles. Lo stesso carcere in cui da oltre quattro anni Kevin Mitnick attende di essere processato.

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