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TROJAN MARKETING by Andrea Natella
Premessa - Il newsmaking

Il mondo della vita quotidiana è un continua produzione di eventi e ciascuno di questi eventi può essere considerato unico dalle persone che vi sono coinvolte. Queste stesse persone, o altre per cui l'evento è oggettivamente importante, possono ritenere che la rilevanza dell'accadimento sia tale da giustificare l'amplificazione da parte dei mezzi di informazione. Dal punto di vista dei media si tratta di una pretesa che non può essere accolta: c'è una sovrabbondanza di eventi e solo alcuni saranno processati dal sistema dell'informazione.

Le notizie sono un prodotto come qualsiasi altro la cui materia prima è la massa infinita e informe di accadimenti che caratterizzano la vita sociale e i cui consumatori sono un insieme di persone diverse che vogliono sia soddisfatta un'esigenza i cui contorni non sono chiaramente definiti. Secondo le teorie più accreditate i media rispondono a uno strano mix di bisogni (informazione, identità personale, integrazione sociale e intrattenimento) diversamente declinati e miscelati nella moltitudine eterogenea dei consumatori. Per questa ragione e per ragioni economiche il giornalismo è improntato a una prospettiva principalmente pratica sugli eventi, finalizzata a riassemblarli rapidamente e darne valutazioni semplici in maniera capace di intrattenere il pubblico e di fidelizzarlo.

Gli eventi che riescono a diventare notizie devono perciò essere in grado di vincere una serie di barriere poste dalle routine produttive e dall'ideologia del giornalismo.
Per superare queste barriere un avvenimento deve avere già in origine una serie di caratteristiche che lo rendano potenzialmente "notiziabile". Ma quali sono queste caratteristiche?


I valori/notizia

Gli studiosi di newsmaking hanno identificato quei valori/notizia che gli operatori dell'informazione cercano nella massa informe degli avvenimenti e che gli consentono di selezionare quei pochi che diventeranno una notizia. Si tratta fondamentalmente di tre criteri di valutazione che operano in maniera congiunta. Vediamoli brevemente:

  1. Criteri relativi al contenuto

    Si articolano in due fattori: l'importanza e l'interesse della notizia. Del primo fanno parte: livello gerarchico dei soggetti coinvolti (es. se a Bush va di traverso un salatino è una notizia, se va di traverso a Buttiglione non è una notizia), impatto sull'interesse nazionale e prossimità (es. cade il governo in Islanda non è una notizia, un ministro minaccia di dimettersi in Italia è una notizia), quantità di persone coinvolte (in questo caso vale la legge di McLurg per cui un europeo vale 28 cinesi); rilevanza rispetto a sviluppi futuri (vale per la situazione in medio oriente, ma anche per un delitto che sembra avere tutte le caratteristiche di un giallo a puntate).

    Per quanto riguarda il secondo fattore, ovvero l'interesse del pubblico, entrano in gioco una serie di fattori non facilmente sistematizzabili. Quello che è centrale è infatti la capacità dell'evento di sconfinare nell'entertainment.
    Da questo punto di vista un ruolo cruciale è giocato da quella costruzione ideologica del pubblico che è specifica della sottocultura giornalistica. Pur esistendo differenze fra le testate e tra i singoli professionisti sembra possibile identificare un gusto comune per il fatto curioso, spettacolare, strano o paradossale ma che sia in grado di delineare in qualche modo un tendenza significativa per quel ceto medio immaginario di cui il giornalista è convinto di esser parte insieme al pubblico dei suoi lettori.

  2. Criteri relativi al prodotto

    Sono quelli che si spiegano in termini di consonanza con le procedure produttive e le possibilità tecniche del mezzo. Ma anche in questo caso le routine produttive incorporano una serie di presupposizioni sul pubblico. Saranno cioè privilegiati gli eventi facilmente sintetizzabili (perché le notizie devono essere brevi); cattivi (una buona notizia non è una notizia); nuovi almeno rispetto alla periodicità della testata; quelli materialmente predisposti a rispondere alle modalità di pubblicazione (es. rotocalchi e tv hanno bisogno di "belle" immagini).

    Infine bisogna tener conto del bilanciamento complessivo della testata, perché la soglia di notiziabilità di certi fatti dipende da quanto una categoria di eventi è già presente nel "palinsesto" del prodotto informativo: insomma non sperate di ottenere visibilità con un torneo di calcetto durante le Olimpiadi.

  3. Criteri relativi alla concorrenza e alla proprietà

    La situazione di competizione economica che caratterizza il mercato dei media non può non avere una serie di ricadute sui processi di produzione della notizia. La ricerca dello scoop sembra essere uno dei caratteri più palesi. Si giocano in questi casi piccole guerre tra le testate (rilanciando o trascurando le notizie date da altri) tese a evitare che un concorrente sfrutti il vantaggio tattico di essere arrivato per primo sulla notizia. Ma le stesse ragioni spiegano anche un certo conservatorismo dei media: una notizia può essere selezionata semplicemente perché ci si aspetta che lo facciano anche altri editori. Il rapporto di mutua attenzione tra stampa e televisione è da questo punto di vista esemplare, ma è una situazione che finisce per scoraggiare le innovazioni nei criteri di selezione dell'informazione.

    In questo scenario alcune testate finiscono così per assumere il ruolo di prototipi di riferimento, così ad esempio è assai probabile che un servizio sull'Espresso (il settimanale più letto dai giornalisti) venga ripreso da altri mezzi di informazione.
    C'è poi la questione della proprietà. Ogni testata tende a tutelare il proprio proprietario e le reti economiche che lo sostengono, eviterà quindi di pubblicare notizie che possano danneggiare in qualsiasi modo l'editore.

    Infine si marca una netta distinzione tra pubblicità e informazione tesa a tutelare il mercato delle inserzioni e a lasciar presumere una certa indipendenza dell'informazione. Per questa ragione la presenza di marchi o prodotti in un evento è un valore/notizia negativo.
C'è poi un criterio base che abbiamo volutamente tenuto per ultimo.
E' quello relativo alla verità dell'evento.
Una notizia dovrebbe infatti essere vera e verificabile, ma sovente non è così. Se una redazione ha a disposizione sufficienti informazioni su un avvenimento che soddisfa molto bene i criteri sopra elencati può decidere di trasformarlo in notizia anche se non è in grado di verificarne l'attendibilità; soprattutto se la notizia è anche di difficile smentita.
Ed è proprio qui che inizia il lavoro dei guerriglieri del marketing.


Trojan Marketing

Il guerriglia marketing guarda a questo meccanismo di selezione dell'informazione come farebbe un hacker. Se solo un certo tipo di eventi riescono a diventare notizie sarà allora necessario confezionare adeguatamente il messaggio. L'idea, il prodotto o il marchio dovranno essere nascosti all'interno di un vero e proprio cavallo di Troia in grado di superare le barriere protettive del sistema.

In gergo informatico un trojan è un virus che riesce a dissimulare se stesso all'interno di un programma, esplodere una volta giunto a destinazione e quindi autoreplicarsi al di fuori del sistema infettato in origine.

Si tratta dello stesso principio che adotta il guerriglia marketing quando si rapporta al sistema dei media. Azioni di questo tipo non possono però essere improvvisate.
Tre sono i fattori che devono essere preventivamente analizzati e armonizzati tra loro:

  1. La confezione delle trojan news

    E' il momento eminentemente creativo dell'operazione. Bisogna confezionare un evento (reale o simulato) in grado di superare i filtri del sistema media. E' una operazione di reverse engineering in cui il sistema dei valori/notizia viene piegato e utilizzato come guideline per la realizzazione di un concept ad alta appetibilità mediatica.
    Ad esempio per quanto riguarda i criteri relativi al contenuto è quasi sempre necessario posizionare la notizia sul lato dell'interesse piuttosto che su quello dell'importanza.

    A meno che non si disponga delle risorse per coinvolgere un noto testimonial (come nel caso della campagna pseudo-guerriglia della Philip Watch con Manuela Arcuri e Alessandro Gassman) sarà quasi sempre più semplice confezionare un evento curioso o strano pensato per le pagine di cronaca o di costume. Il paranormale, l'estremo, l'improbabile sono gli scenari più semplici da utilizzare, ma è talvolta più produttivo realizzare spiazzamenti in territori informativi in cui il pubblico è meno incline alla sospensione dell'incredulità. In alcune occasioni può essere la stessa operazione di guerriglia marketing a essere oggetto di interesse per la stampa (è il caso della campagna stealth della Sony Ericsson per il T68i), ma in questo caso vanno considerati adeguatamente i criteri relativi alla proprietà e le relazioni oggettive di cui si dispone con le testate.

    Considerazioni analoghe andranno fatte relativamente ai criteri produttivi. Così il concept dovrebbe essere facilmente sintetizzabile, dovrebbe poter essere declinato da media diversi, fornire immagini interessanti e ben disposto a collocarsi nel clima attualmente dominante nel panorama mediale.

    Dovrebbe inoltre essere delineato un time-plan per le diverse azioni di comunicazione perché il concept è quasi sempre una sceneggiatura che prevede momenti diversi, e potrebbe fondarsi su un media-mix che utilizza strumentalmente i rapporti di concorrenza tra le diverse testate (in questo ambito è stato esemplare il lavoro del Luther Blissett Project).

  2. Il rapporto tra news e contenuto marketing

    La fase creativa di ideazione della news deve da subito prevedere l'articolazione del rapporto che lega la news al suo contenuto di marketing. Non solo come nel marketing tradizionale la news dovrà corrispondere alle strategie di posizionamento del prodotto e del marchio ma, in questo caso, sarà la stessa modalità di occultamento del brand a dover essere adeguata a quelle strategie.

    Il semplice uso della beffa si adatta infatti solo a quelle poche piccole aziende che possono permettersi di investire su un'immagine improntata alla creatività e all'innovazione estrema. In questo caso trojan marketing e corporate image possono fare corpo unico.

    Ma nella maggior parte dei casi le operazioni di guerriglia si inseriscono come elemento tattico in un disegno strategico articolato in cui è necessario prevedere tutti i possibili sviluppi di una campagna che è strutturalmente affidata per il 50% ad un soggetto che non si è in grado di governare (i media giornalistici). Un soggetto che, come abbiamo sottolineato, non è disponibile a farsi utilizzare come veicolo di pubblicità non remunerata.
    Questa condizione apre una serie di molteplici possibilità che sono in qualche modo sintetizzabili intorno a tre opzioni fondamentali.

    a) Cambiare aspetto. In questo caso il brand cambierà forma o sostanza. Sarà creato un altro marchio o un nuovo prodotto che non attivi gli schermi di protezione del media business. Un oggetto che sarà successivamente riempito di contenuto e ricondotto all'interno della strategia di marketing.
    E' la classica strategia del cavallo di Troia, ma ovviamente funziona una sola volta con lo stesso cavallo.

    b) Nascondere. In questo caso il brand sarà collocato come figura di sfondo, quasi sfocata o invisibile. Avrà una contiguità solo territoriale o concettuale con la news, ma sarà utilizzato in modo che questo posizionamento consenta una successiva esplosione o presa di parola sugli stessi media o attraverso altre azioni di comunicazione.
    Il cavallo di Troia è vuoto, ma può farlo parlare solo chi lo ha costruito.

    c) Accecare. In questo caso il brand sarà così visibile che gli operatori dei media tenderanno a considerarlo l'ambiente naturale di una notizia che sembra non avere alcuna relazione con il marchio.
    Dal ventre del cavallo di Troia arrivano strani rumori. Tutti capiscono che è pieno di soldati e si dimenticano del cavallo. Invece il messaggio è proprio il cavallo.

  3. Capacità di autoreplicazione del trojan

    Una volta raggiunta la visibilità mediale la news deve essere in grado di replicarsi nel tessuto sociale. Deve cioè essere abbastanza interessante da trasformare una parte consistente del pubblico dei media in untori desiderosi di condividere la news con altri. La news deve diventare passaparola, leggenda metropolitana, gossip o comunque un virus in grado di aumentare il prestigio o l'autostima di chi la diffonde. Perché ciò avvenga la notizia deve essere facilmente comunicabile.

    Solitamente se il trojan ha passato il filtro dei media avrà anche la maggior parte delle caratteristiche adatte ad autoreplicarsi e diffondersi. Ma è comunque necessario effettuare un'ultima analisi del concept ideato prima di passare alla fase operativa.

    Come suggerisce Seth Godin nel suo Propagare l'Ideavirus, la news dovrebbe avere, almeno inizialmente, sufficiente spazio vuoto attorno. Ogni azione di guerriglia individua un segmento prioritario del mercato territoriale ed editoriale ed è all'interno di quell'ambito che deve essere verificata l'assenza di news in competizione con il trojan identificando quale tipo di bisogni individuali la nostra news va a soddisfare.

    Una analisi motivazionale dovrebbe mettere in relazione i contenuti della news con le istanze di integrazione sociale e identità personale del pubblico su cui incide.

    Un'operazione di trojan marketing è però sempre una sperimentazione, un work in progress che necessita di continue correzioni durante la fase operativa. Per quanto sia fondamentale la definizione strategica e l'analisi degli scenari possibili un buon guerrigliero si riconosce solo sul campo di battaglia.

    Andrea Natella

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