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LA VENDETTA DEGLI HACKER by Eric S. Raymond
In Open Sources, Apogeo, 1999

Scrissi la prima versione di "A Brief History of Hackerdom" nel 1996 come risorsa Web. La cultura hacker, considerata proprio come cultura, mi aveva affascinato a lungo, ancor prima che decidessi di scrivere la prima edizione del "The New Hacker's Dictionary" nel 1990. Verso la fine del 1993 molti (me compreso) mi consideravano uno storico ed etnografo specializzato nella cultura hacker e questo ruolo non mi dispiaceva affatto.

Allora non potevo nemmeno lontanamente immaginare che il mio interesse "antropologico" a livello amatoriale potesse divenire causa di un importante cambiamento. Credo che nessuno fu più sorpreso di me per ciò che successe. Ma le conseguenze di tali sorprese continuano a plasmare la cultura hacker, il mondo tecnologico e gli affari del giorno d'oggi.

In questo contributo passo in rassegna, osservandoli dal mio punto di vista, gli eventi che, nel gennaio 1998, portarono al "colpo udito in tutto il mondo" generato dalla rivoluzione open source. Presenterò alcune riflessioni sulla lunga strada che è stata percorsa da allora, quindi cercherò di formulare alcune proiezioni sul futuro.

Oltre la Legge di Brooks
Incontrai Linux per la prima volta verso la fine del 1993, tramite la distribuzione del pionieristico CD-ROM Yggdrasil. In quell'epoca mi muovevo già all'interno della cultura hacker da circa quindici anni. Le mie primissime esperienze le feci con la primitiva ARPAnet di fine anni Settanta; per breve tempo fui persino un turista delle macchine ITS. Scrivevo free software e lo inviavo a Usenet ancor prima che, nel 1984, venisse lanciata la Free Software Foundation, di cui fui uno dei primi collaboratori. Avevo appena pubblicato la seconda edizione del "The New Hacker's Dictionary" e pensavo di conoscere abbastanza bene sia la cultura hacker, sia i suoi limiti.

Incontrare Linux fu per me uno shock. Nonostante fossi da anni attivo nella cultura hacker, recavo con me il pregiudizio, peraltro non provato, secondo cui gli hacker amatoriali, per quanto dotati potessero essere, non fossero in grado di chiamare a raccolta le risorse e le abilità necessarie per produrre un sistema operativo multitasking effettivamente utilizzabile. Proprio qui gli sviluppatori HURD avevano accumulato fallimento su fallimento per almeno un decennio.

Ma, dove loro non erano riusciti, avevano trionfato Linus Torvalds e i suoi compagni, che non solo erano giunti a soddisfare i requisiti minimi di stabilità e funzionamento delle interfacce Unix, ma avevano persino superato di gran lunga l'obiettivo, con esuberanza e acume, fornendo centinaia di megabyte di programmi, documenti e altre risorse, persino intere suite di strumenti Internet, programmi di desktop publishing, supporto grafico, editor, giochi e così via.

Vedere tutto questo stupendo codice muoversi di fronte a me come un vero e proprio sistema funzionante fu per me un'esperienza entusiasmante, molto più che sapere, a livello puramente teorico, che tutti i bit a ciò necessari erano in circolazione. Fu come se, per anni, avessi cercato e selezionato ammassi di componenti automobilistici sconnessi per poi, improvvisamente, trovarmi di fronte agli stessi particolari assemblati in una Ferrari rosso fuoco, con la portiera aperta, la chiave penzolante dal cruscotto e il motore rombante quasi a cantare un inno alla potenza. . . .

La tradizione hacker che osservavo da circa due decenni aveva improvvisamente preso vita in nuove sembianze vibranti e vitali. In un certo senso ero già stato reso partecipe di questa comunità perché molti dei miei progetti free software erano entrati a far parte del mix. Ma io volevo andare più a fondo: ogni delizia che vedevo non faceva che aumentare il mio stupore. Tutta la tradizione della progettazione software è dominata dalla Legge di Brooks, secondo cui, aumentando il numero N di programmatori, il lavoro eseguito aumenta in modo direttamente proporzionale a N, ma la complessità e la vulnerabilità ai bug aumenta di N al quadrato, dove N al quadrato è il numero di percorsi di comunicazione (e potenziali interfacce del codice) tra le basi di codice degli sviluppatori.

Secondo la Legge di Brooks, un progetto a cui abbiano contribuito migliaia di sviluppatori non può che essere un'accozzaglia di codice instabile e traballante. In qualche modo la comunità di Linux aveva sconfitto questo effetto "N al quadrato" ed era riuscita a produrre un sistema operativo di sorprendente qualità. E io ero determinato a scoprire come ciò fosse stato possibile.

Ci misi tre anni a sviluppare una teoria, partecipando e osservando da vicino, e un altro anno per testarla in modo sperimentale. Dopodiché mi decisi a scrivere "The Cathedral and the Bazaar" (CatB) per spiegare ciò di cui ero stato testimone.

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Mimesi e mitografia
Intorno a me vidi una comunità che aveva creato il più efficiente ed efficace metodo di sviluppo software mai visto, e che non se ne era resa conto! Di questo si trattava: diverse consuetudini si erano evolute diventando una serie di pratiche, trasmesse per imitazione ed esempi, senza alcun linguaggio né alcuna teoria che potesse spiegarne il funzionamento e la riuscita.

Guardando in retrospettiva, fu proprio la mancanza di teoria e di linguaggio l'ostacolo principale che sollevò contro di noi una duplice opposizione. In primo luogo, non eravamo in grado di pensare sistematicamente a come migliorare le consuetudini seguite. Secondo, non potevamo spiegare né vendere il metodo ad altri.

A quell'epoca i nostri pensieri vertevano solo sulla prima conseguenza. Il motivo per cui decisi di scrivere quel documento fu l'intenzione di dare alla cultura hacker un linguaggio proprio, che potesse essere utilizzato internamente per spiegare la cultura a se stessa. Mi decisi quindi a scrivere ciò che avevo visto, impostando il tutto in uno stile narrativo, con vivaci metafore che descrivessero la logica affiorante da tali consuetudini ed esercizi.

CatB, in realtà, non fu una scoperta. Nessuno dei metodi descritti nell'opera fu da me inventato. La novità non furono i fatti descritti, ma le metafore utilizzate e lo stile narrativo adottato: una storia semplice e interessante che spingeva il lettore a vedere i fatti in modo completamente nuovo. Stavo cercando di attuare una specie di ingegneria mimetica sui miti generativi della cultura hacker.

Divulgai l'intero testo per la prima volta al Linux Kongress, nel mese di maggio 1997 in Baviera. La profonda attenzione e gli incessanti applausi con cui il contributo fu accolto da un'audience che comprendeva pochissime persone di madrelingua inglese dimostrava che ero sulla strada giusta ma, a conti fatti, la pura casualità che mi vide seduto accanto a Tim O'Reilly alla cena del giovedì sera mise in moto una serie di conseguenze ancora più importanti.

Da tempo ammiratore dello stile istituzionale di O'Reilly, avevo sempre desiderato incontrarlo. Intavolammo una conversazione a vasto raggio (gran parte della quale riguardava il nostro comune interesse per la fantascienza classica), che sfociò in un invito a presentare CatB alla Perl Conference di Tim più avanti nello stesso anno.

Anche qui la relazione fu ben accolta, con applausi e persino una "standing ovation". Tramite la posta elettronica sapevo che, dopo il congresso in Baviera, i messaggi su CatB si erano diffusi a macchia d'olio in Internet. Molti dei presenti avevano già letto l'opera e, più che una novità, il mio discorso fu per loro l'occasione di celebrare il nuovo linguaggio e la nuova consapevolezza che esso diffondeva. La "standing ovation", giustamente, non fu tanto per la mia opera, quanto per la cultura hacker in generale.

Pur non rendendomene conto, il mio esperimento in ingegneria mimetica stava per accendere una miccia importante. Alcuni ascoltatori, ai cui orecchi il mio discorso giungeva come una novità, erano della Netscape Communications, Inc. E la Netscape stava navigando in acque difficili.

La Netscape, società all'avanguardia nella tecnologia Internet e titolo in rapida ascesa alla borsa di Wall Street, era diventata il bersaglio delle armi offensive messe in campo da Microsoft. Microsoft, giustamente, temeva che gli standard aperti presenti nel browser di Netscape potessero erodere il lucrativo monopolio del gigante di Redmond nel mondo dei PC. Tutto il peso dei miliardi di Microsoft e una tattica ambigua che avrebbe poi dato vita a una causa antitrust furono impiegati contro il browser di Netscape.

Per Netscape non si trattava tanto dei proventi legati al futuro del browser (che sono solo una piccola percentuale dell'utile della società), quanto di mantenere un piccolo spazio per la molto più preziosa attività relativa ai server. Se Internet Explorer di Microsoft avesse raggiunto il predominio sul mercato, Microsoft avrebbe potuto deviare i protocolli del Web da standard aperti in canali proprietari, gestibili solo dai server di Microsoft.

Alla Netscape fervevano le discussioni sulla migliore controffensiva da adottare per sconfiggere questa minaccia. Una delle prime idee fu quella di aprire il sorgente del browser di Netscape, ma era difficile dimostrare che, così facendo, si sarebbe evitato il predominio di Internet Explorer.

Allora non me ne resi conto, ma CatB assunse un ruolo importante in questa azione. Nell'inverno del 1997, mentre stavo lavoravo sul materiale per il mio prossimo articolo, fu preparata la scena che doveva consentire a Netscape di spezzare le regole del gioco commerciale e offrire alla mia comunità un'opportunità senza precedenti.

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La strada per Mountain View
Il 22 gennaio 1998 la Netscape annunciò che avrebbe ceduto a Internet i sorgenti della linea client di Netscape. Poco dopo che la notizia mi fu giunta, il giorno seguente, appresi che il CEO Jim Barksdale, parlando ai reporter dei mass media nazionali, aveva definito la mia opera come "l'ispirazione fondamentale" da cui era scaturita questa decisione.

Questo fu l'evento che, nella stampa commerciale specializzata in informatica, fu dai commentatori definito "il colpo udito in tutto il mondo". E Barksdale aveva fatto di me il suo Thomas Paine, che io lo volessi o no. Per la prima volta nella storia della cultura hacker una società inclusa fra le 500 di Fortune, quotata a Wall Street, aveva puntato il proprio futuro sulla convinzione che la nostra strada fosse quella giusta e, più specificamente, sull'analisi che io avevo formulato e secondo cui la "nostra via" era giusta.

È uno shock abbastanza forte da affrontare. Il fatto che CatB avesse modificato l'immagine della cultura hacker non sorprendeva; in fondo era l'obiettivo che avevo da tempo perseguito. Ma le notizie del successo riscosso all'esterno mi stupivano (a dir poco). Nelle prime ore che trascorsero dopo questa notizia riflettei quindi molto attentamente sullo stato di Linux, della comunità hacker, su Netscape, e mi chiesi se, personalmente, fossi armato di tutto ciò che occorreva per compiere il passo successivo.

Non ci volle molto per dedurre che, a questo punto, la comunità hacker non poteva far altro che assistere la Netscape nella sua battaglia. Da ciò derivava infatti la sua, e mia, sopravvivenza. Se Netscape avesse perso, noi hacker avremmo probabilmente conosciuto tutto l'obbrobrio di tale fallimento. Saremmo stati screditati per un altro decennio: era semplicemente troppo.

A questo punto io facevo parte della cultura hacker, di cui avevo attraversato le varie vicissitudini, da circa venti anni. Venti anni in cui avevo ripetutamente osservato idee brillanti, avvii promettenti e tecnologie stupende sconfitte da scaltre manovre di marketing. In venti anni avevo visto troppo spesso hacker sognare, sudare e costruire per osservare poi la vecchia cattiva IBM o la nuova cattiva Microsoft aggiudicarsi il premio reale. Venti anni di vita trascorsa in un ghetto, anche se un ghetto comodo popolato da amici interessanti, ma pur sempre racchiuso tra lunghe e intangibili mura innalzate dal pregiudizio. L'annuncio di Netscape aveva infranto la barriera, anche se solo per poco; il mondo degli affari era stato scosso bruscamente dalla sua condiscendenza sulle capacità degli hacker. Me gli abiti mentali pigri hanno una forza d'inerzia lunga a esaurirsi. Se la Netscape avesse fallito, o forse anche se avesse riscosso successo, l'esperimento avrebbe potuto essere considerato come un "numero unico", che non vale la pena ritentare. Dopodiché saremmo tornati nello stesso ghetto, con pareti più alte che mai.

Per evitare questa prospettiva, Netscape doveva riuscire. Dopo un'attenta riflessione, chiamai la Netscape e mi offrii di aiutarli a formulare la licenza e a studiare i particolari della strategia. A inizio febbraio, su loro richiesta, volai a Mountain View per un incontro con vari gruppi al loro quartier generale e li aiutai a tessere il canovaccio di ciò che doveva diventare la Mozilla Public License e l'organizzazione Mozilla.

Lì incontrai molti personaggi chiave di Silicon Valley e della comunità nazionale Linux (questa parte della storia viene narrata in modo più approfondito nella sezione storica del sito Web Opensource). L'aiuto a Netscape era chiaramente una priorità a medio termine, ma tutti si rendevano benissimo conto che occorreva formulare una strategia a lungo termine che facesse seguito alla cessione di Netscape. Era giunto il momento di escogitare la strategia.

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Le origini di "Open Source"
Fu semplice individuare il canovaccio base della strategia. Dovevamo prendere i temi pragmatici che avevo anticipato in CatB, svilupparli in modo più approfondito e diffonderli strenuamente in pubblico. Considerato che Netscape stessa era interessata a convincere gli investitori che la strategia perseguita non era folle, potevamo contare sul loro sostegno, almeno per la promozione. Ben presto reclutammo anche Tim O'Reilly (e, tramite lui, la O'Reilly & Associates).

Ma la vera scoperta a livello concettuale fu ammettere con noi stessi che ciò di cui avevamo effettivamente bisogno era una campagna pubblicitaria e che, per farla funzionare, servivano vere e proprie tecniche di marketing (lancio, costruzione di un'immagine, cambiamento del marchio).

Da qui nacque il termine "open source", inventato dai primi partecipanti per ciò che doveva poi diventare la campagna Open Source (e, infine, l'organizzazione Open Source Initiative) in occasione di un incontro tenuto a Mountain View, negli uffici della VA Research, il 3 febbraio.

Allora, guardando in retrospettiva, ci appariva chiaro che il termine "free software" aveva danneggiato notevolmente il nostro movimento nel corso degli anni, in parte per l'ambiguità legata al termine "free" considerato sì nel suo significato di libero e gratuito, ma anche di scarsa qualità, in parte e soprattutto per la forte associazione esistente tra il termine "free software" e una presunta ostilità verso i diritti di proprietà intellettuale, tra il termine e il comunismo e altri concetti che difficilmente vengono presi in simpatia da un responsabile CED.

Era allora ed è tuttora inutile spiegare che la Free Software Foundation non è ostile alla proprietà intellettuale e che la sua posizione non è esattamente ciò che risponde ai principi del comunismo. Noi lo sapevamo. Ma, sotto la pressione della release di Netscape, capimmo che non contava tanto la posizione effettiva della FSF, quanto piuttosto il mancato successo riscosso dalle sue intenzioni originarie e l'effettiva associazione tra il termine "free software" e questi stereotipi negativi nella stampa commerciale e nel mondo aziendale.

Il nostro successo dipendeva quindi dalla capacità di ribaltare questi stereotipi negativi e di associare la FSF a concetti positivi, che suonassero dolci agli orecchi di dirigenti e investitori, che fossero legati a idee di maggiore affidabilità, bassi costi e caratteristiche migliori.

Espresso nel gergo del marketing, si trattava di rinnovare marchio al prodotto, di costruire per il prodotto una reputazione tale da attirare gli interessi delle aziende.

Linus Torvalds abbracciò questo progetto il giorno successivo al primo incontro ed entro un paio di giorni ci mettemmo all'opera. Bruce Perens fece registrare il dominio opensource.org e la prima versione della pagina Web Opensource entro una settimana. Propose inoltre di modificare le "Debian Free Software Guidelines" in "Open Source Definition" (Definizione di Open Source o OSD), e avviò l'iter necessario per registrare "Open Source" come marchio di certificazione in modo da poter imporre l'uso di "Open Source" ai prodotti conformi alla OSD.

Anche le tattiche specifiche necessarie per spingere la strategia apparivano ormai chiare sin dall'inizio e furono infatti discusse nel primo incontro. Ecco le tematiche principali:

Dimenticare la strategia "bottom-up"; puntare sulla strategia "top-down"

Ci appariva ormai chiaro che la strategia storica seguita per Unix, vale a dire la diffusione dei concetti dal basso verso l'alto, partendo cioè dai tecnici per giungere poi a convincere i boss con argomentazioni razionali, si era rivelata un fallimento. Era una procedura ingenua, di gran lunga surclassata da Microsoft. Inoltre, l'innovazione di Netscape non avvenne in quella direzione, ma fu resa possibile proprio perché un importante personaggio di livello strategico, quale Jim Barksdale, aveva avuto l'intuizione e l'aveva imposta ai suoi subordinati.

La conclusione inevitabile era che bisognava abbandonare la prima impostazione e passare a imporre le decisioni dall'alto, cercando quindi di coinvolgere in primo luogo i dirigenti delle alte sfere.

Linux è il nostro caso più rappresentativo

Linux deve essere la nostra spinta propulsiva. Sì, nel mondo open source esiste anche  altro a cui la campagna renderà onore, ma Linux è il sistema che ha mosso i primi passi con il miglior riconoscimento, con la più vasta base software e la più ampia comunità di sviluppatori. Se Linux non riesce a consolidare l'innovazione, non ci riuscirà nessun altro.

Catturare le società "Fortune 500"

Esistono altri segmenti del mercato disposti a spendere (le piccole e medie aziende, ad esempio), ma sono più diffusi e difficili da raggiungere. Le società Fortune 500 non solo hanno ingenti capitali, ma sono anche più concentrate e più semplici da raggiungere. L'industria del software deve quindi fare ciò che le società Fortune 500 dicono, per cui, per prima cosa, bisogna convincere le società Fortune 500.

Cooptare i mass media di prestigio che si rivolgono alle società Fortune 500

La scelta di puntare sulle società Fortune 500 implica che dobbiamo catturare l'attenzione dei mass media che formano le opinioni dei top manager e degli investitori, specificamente New York Times, Wall Street Journal, Economist, Forbes e Barron's Magazine.

Coinvolgere la stampa tecnica va bene, ma non basta; è indispensabile come condizione preliminare per giungere a Wall Street tramite i media convenzionali d'élite.

Istruire gli hacker in tattiche di guerriglia marketing

Fu subito chiaro che altrettanto importante era educare la comunità degli hacker. Non bastava avere uno o due ambasciatori che parlassero un linguaggio scelto se poi, alla base, tutti gli altri hacker non seguivano gli stessi principi.

Utilizzare il marchio di certificazione Open Source come garanzia di genuinità

Una delle minacce cui ci trovammo a far fronte fu la possibilità che il termine "open source" venisse "abbracciato ed esteso" da Microsoft o da altri grandi produttori che lo avrebbero corrotto e ne avrebbero stravolto il messaggio. Per questo motivo Bruce Perens ed io decidemmo ben presto di registrarlo come marchio di certificazione e di legarlo alla Open Source Definition (copia delle Debian Free Software Guidelines). In tal modo avremmo potuto intimorire eventuali prevaricatori con la minaccia dell'azione legale.

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Un rivoluzionario per caso
Pianificare questo tipo di strategia fu piuttosto semplice. Il difficile, almeno per me, fu accettare il nuovo ruolo che mi spettava.

Sin dall'inizio imparai che la stampa soffoca quasi completamente le astrazioni. Nessuno riporterebbe concetti astratti che non fossero sostenuti da personaggi straordinari. Tutto deve avere una storia, una certa drammaticità, conflittualità, mordente. Altrimenti la maggior parte dei reporter se ne andrebbe a dormire (e, se non lo facessero loro, lo farebbero i loro direttori).

Sapevo quindi che, per coinvolgere la stampa nel caso Netscape, occorreva un personaggio con caratteristiche molto particolari. Avevamo bisogno di un agitatore, di un rappresentante, di un acceso sostenitore, di qualcuno che fosse in grado di cantare e gridare dai pulpiti attirando l'attenzione dei reporter, di operare con i dirigenti e colpire la macchina dei media fino a quando, dai suoi ingranaggi, sarebbe uscito il messaggio "Ecco la rivoluzione!" A differenza della maggior parte degli hacker, io sono di carattere abbastanza estroverso e avevo già maturato una profonda esperienza con i mass media. Per quanto mi guardassi attorno, non riuscivo a intravedere nessuno più qualificato di me ad assumersi la parte dell'evangelista. Ma io non volevo questo incarico perché sapevo che mi sarebbe costato la vita per mesi e, forse, anche per anni. La mia privacy sarebbe andata distrutta. Forse sarei divenuto oggetto di caricature da parte della stampa e, peggio ancora, sarei stato additato come traditore o vanaglorioso da gran parte della mia stessa comunità. E peggio ancora di tutte le altre conseguenze messe insieme, non avrei avuto più tempo per essere uno hacker! Mi chiesi: "Sei veramente stufo di stare a guardare la tua comunità rinunciare a fare ciò che serve per vincere?" Decisi che la risposta doveva essere "Sì" e, dopo aver deciso, mi gettai a capofitto nel lavoro, sporco ma necessario, di divenire un personaggio pubblico e una personalità da mass media.

Già durante la stesura del "The New Hacker's Dictionary" avevo avuto un po' a che fare con i media ma, questa volta, mi impegnai più a fondo e creai una serie di tattiche mirate a gestire il rapporto con i mass media, dopodiché passai all'atto pratico. Descrivere la teoria in dettaglio sarebbe qui fuori luogo, ma tutto verte sull'uso di ciò che io definisco "dissonanza attrattiva", necessaria per alimentare una curiosità stuzzicante sul personaggio e passare poi a sfruttare l'interesse suscitato per tutto ciò che vale la pena di promuovere sull'idea che si sta cercando di diffondere.

Come avevo previsto, sia il marchio "open source" sia l'intenzionale promozione di me stesso quale acceso fautore della teoria portarono con sé conseguenze sia positive che negative. Nei dieci mesi che seguirono all'annuncio di Netscape, l'interesse dei mass media verso Linux e il mondo open source in genere registrò una crescita esponenziale. In questo periodo fui citato direttamente da un terzo degli articoli e indirettamente dagli altri due terzi. Nello stesso periodo una minoranza (ma molto rumorosa) di hacker mi definì un meschino egoista. Riuscii a mantenere un certo buon umore verso entrambi questi esiti, anche se a volte con notevole difficoltà.

Sin dall'inizio prevedevo di cedere il ruolo di evangelista a un successore, che avrebbe potuto essere una persona o un'organizzazione. Ci sarà pure un momento in cui il carisma cala e perde efficacia a favore di una più ampia rispettabilità. E questo era ciò che aspettavo. Nel momento in cui scrivo questo contributo, sto cercando di trasferire i miei rapporti personali e la reputazione di cui godo presso la stampa, creata con tanta attenzione, alla Open Source Initiative, un ente non a scopo di lucro creato appositamente per gestire il marchio di fabbrica Open Source. Attualmente ne sono il presidente, ma spero di non restarlo a tempo indeterminato.

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Le fasi della campagna
La campagna "open source" prese il via con il meeting di Mountain View e rapidamente, tramite Internet, raccolse intorno a sé una rete di alleati tra cui personaggi chiave della Netscape e della O'Reilly & Associates. Quando di seguito uso il soggetto "noi", è proprio a questa rete che mi riferisco.

Dal 3 febbraio al rilascio effettivo di Netscape, avvenuto il 31 marzo, il nostro obiettivo primario fu quello di convincere. Convincere della validità dell'etichetta "open source". Gli argomenti che presentavamo erano la nostra arma migliore, l'unica con cui potessimo convincere il mondo. Alla fin fine il cambiamento fu assai più semplice del previsto. Scoprimmo che esisteva una richiesta repressa di un messaggio meno dottrinale di quello della Free Software Foundation.

Quando i poco più di venti leader presenti al Free Software Summit il 7 marzo decisero di adottare il termine "open source", non fecero che ratificare ufficialmente una tendenza ormai largamente diffusa nel mondo degli sviluppatori. Sei settimane dopo il meeting di Mountain View, gran parte della comunità parlava la nostra lingua.

In aprile, dopo il summit e dopo l'effettivo rilascio di Netscape, passammo a reclutare il maggior numero possibile di adepti della prim'ora dell'Open Source, con l'obiettivo di fare apparire la mossa di Netscape meno stravagante e, in fondo, di garantirci una certa sicurezza in caso Netscape desse cattiva prova e mancasse l'obiettivo.

Questa fu la fase più difficile. In superficie tutto sembrava rose e fiori; tecnicamente Linux si stava consolidando, il fenomeno open source godeva di una vasta copertura nella stampa finanziaria e iniziavamo ad apparire sotto una luce positiva anche presso la stampa tradizionale. Ciò nonostante, una certa apprensione mi suggeriva che il successo era ancora alquanto fragile. Dopo un'iniziale ventata di contributi, la partecipazione della comunità al progetto Mozilla aveva iniziato a rallentare. Nessuno dei grandi produttori indipendenti di software si era impegnato a supportare Linux. Netscape navigava ancora in solitario e il suo browser continuava a perdere quote di mercato a vantaggio di Internet Explorer. Sarebbe bastato poco per scatenare un amaro crollo nella stampa e nell'opinione pubblica.

La nostra prima vera conquista post-Netscape fu messa a segno il 7 maggio, quando la Corel Computer annunciò il lancio di Netwinder, un network computer basato su Linux. Ma non era sufficiente: per sostenere lo slancio, non bastava l'impegno di affamati giocatori di riserva; avevamo bisogno dei leader del settore. E fu proprio a metà luglio, quando Oracle e Informix annunciarono il proprio impegno, che questa fase vulnerabile giunse al termine.

Queste società si unirono alla compagnia di Linux tre mesi prima di quanto avessi previsto, e comunque mai troppo presto. Ci chiedevamo quanto questa spinta positiva avrebbe potuto durare senza il sostegno di produttori indipendenti di software, e la risposta ci rendeva sempre più tesi. Dopo che Oracle e Informix annunciarono l'intenzione di supportare Linux, altri sviluppatori indipendenti seguirono la stessa strada, quasi per routine, e a questo punto anche il fallimento di Mozilla sarebbe stato tollerabile.

Il periodo che va da metà luglio a inizio novembre fu una fase di consolidamento in cui iniziammo a essere presi in considerazione anche dai media d'élite a cui avevo inizialmente mirato: vari articoli uscirono su The Economist e una cover story su Forbes. Diversi produttori hardware e software condussero sondaggi nella comunità open source e iniziarono a formulare strategie mirate ad avvantaggiarsi di questo nuovo modello. E, internamente, la più grande azienda "close source" iniziò a preoccuparsi seriamente.

L'entità della sua preoccupazione emerse chiaramente quando gli ormai famosi "Halloween Documents" trapelarono da Microsoft.

Gli "Halloween Documents" erano dinamite. Una testimonianza sonora della validità dello sviluppo "open source", una testimonianza resa dalla società che più aveva da perdere in caso di successo di Linux. E questa testimonianza confermava gli insidiosi sospetti che molti nutrivano sulle tattiche che Microsoft sarebbe stata disposta a mettere in campo pur di fermare questo nuovo sviluppo.

Sugli "Halloween Documents" si accese l'interesse della stampa, soprattutto nelle prime settimane di novembre. Le numerose cronache destarono viva curiosità per il fenomeno "open source" e, con sorpresa ma anche con piacere, confermarono le tesi che per mesi avevamo sostenuto. E questi documenti furono l'origine di un invito a tenere una conferenza sullo stato dell'industria del software e sulle prospettive dell'"open source" a un gruppo scelto dei principali investitori di Merrill Lynch.

Ecco che Wall Street si stava finalmente muovendo verso di noi.

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I fatti in causa
Mentre nei mass media era in corso la "guerra aerea" su open source, a terra importanti fattori tecnici e commerciali stavano cambiando il corso dei fatti. Ne citerò solo alcuni perché servono a ben illustrare le tendenze riflesse nella stampa e nell'opinione pubblica.

Nei dieci mesi che seguirono la cessione di Netscape, Linux continuò rapidamente a crescere e a consolidarsi. Lo sviluppo di un solido supporto SMP e il completamento effettivo della funzionalità a 64 bit contribuirono a porre stabili fondamenta per il futuro.

L'impiego di Linux per la renderizzazione delle scene del film Titanic diffuse un salutare sgomento tra i costruttori di costosi motori grafici. Il progetto Beowulf del supercomputer a basso costo dimostrò che Linux poteva avere successo anche nel mondo all'avanguardia dell'informatica scientifica.

Non si verificò alcun evento spettacolare tale da portare alla ribalta i concorrenti open source di Linux. Gli Unix proprietari continuavano a perdere quote di mercato; verso metà anno solo NT e Linux, fra le 500 di Fortune, stavano guadagnando quote e, verso fine autunno, Linux era fra i due quello che si muoveva sulla corsia preferenziale.

Apache continuava a consolidare la propria posizione di leadership sul mercato dei server Web. Nel mese di novembre il browser di Netscape iniziò a invertire tendenza e a prendere quota a discapito di Internet Explorer.

Il futuro
Fin qui ho tratteggiato gli eventi della storia recente, anche per dovere di cronaca ma, soprattutto, per creare le basi che ci consentano di comprendere le tendenze nel medio termine e formulare previsioni per il futuro (la stesura di questo contributo avviene a metà dicembre 1998).

In primo luogo, alcune sicure previsioni per l'anno prossimo:

  • La comunità degli sviluppatori "open source" continuerà a crescere rapidamente, alimentata dalla disponibilità di PC e connessioni Internet sempre più a buon mercato.

  • Linux continuerà a guidare la cordata, la sua relativamente piccola comunità prevalendo sulla più alta competenza media degli sviluppatori Open Source di BSD e sullo sparuto gruppo di HURD.

  • L'impegno dei fornitori indipendenti di software a supporto della piattaforma Linux aumenterà drasticamente; le decisioni dei produttori di database hanno rappresentato il giro di boa. L'impegno di Corel a fornire l'intera loro suite da ufficio su Linux indica la giusta direzione.

  • La campagna "open source" continuerà a macinare vittorie, aumentando la consapevolezza dei personaggi chiave delle società e degli investitori. I direttori dei centri di elaborazione dati saranno spinti a scegliere prodotti "open source", non perché convinti dal basso ma perché incitati dall'alto.

  • Ampie installazioni di Samba per Linux sostituiranno le macchine NT anche nei negozi che vendono solo prodotti Microsoft.

  • La quota di mercato degli Unix proprietari continuerà a diminuire. Almeno uno dei concorrenti più deboli (probabilmente DG-UX o HP-UX) crollerà ma, nel momento in cui ciò avverrà, gli analisti attribuiranno questo evento più alle conquiste di Linux che a quelle di Microsoft.

  • Microsoft non avrà un sistema operativo maturo per le aziende perché Windows 2000 non sarà disponibile in forma utilizzabile (con 60 milioni di righe di codice che continuano costantemente a lievitare, il suo sviluppo sta andando fuori controllo).

Analizzando queste tendenze, emergono alcune previsioni un po' più rischiose per il medio termine (da diciotto a trentadue mesi):

  • Le operazioni di assistenza rivolte ai clienti commerciali di sistemi operativi open source diventeranno un grande affare, alimentato e sostenuto dal boom che verrà.

  • I sistemi operativi open source, Linux in testa, cattureranno l'interesse dei provider Internet e dei mercati commerciali dei centri di elaborazione dati. NT non sarà in grado di far fronte a questa rivoluzione; il connubio tra bassi costi, sorgenti aperti e disponibilità completa 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 si dimostrerà invincibile.

  • Il settore Unix proprietario crollerà quasi completamente. Forse Solaris sopravviverà con i propri prodotti hardware Sun di alto livello, ma gran parte degli altri nomi passeranno in second'ordine.

  • Windows 2000 verrà annullato o giungerà morto all'arrivo. In ogni caso non sarà che un orrendo relitto, il peggior disastro strategico nella storia di Microsoft. Ma ciò non intaccherà se non minimamente la sua autorità sul mercato dei desktop nei prossimi due anni. A prima vista sembrerebbe che l'esito delle tendenze qui delineaete sia la sopravvivenza esclusiva di Linux. Ma la vita non e così semplice (e Microsoft trae Tanto denaro e sostegno dal mercato dei desktop che non sarà possibile escluderla nemmeno dopo la catastrofe di Windows 2000).

Dopo questi due anni, la sfera di cristallo inizia a offuscarsi un po'. Il futuro che incontreremo dipende da quesiti quali: il Ministero della Giustizia spezzerà le gambe a Microsoft? Forse BeOS o OS/2 o Mac OS/X o qualche altro sistema operativo a sorgenti chiusi o forse ancora qualche altro progetto completamente nuovo riuscirà ad aprirsi e competere ad armi pari con il trentennale progetto Linux I problemi relativi all'anno 2000 getteranno l'economia mondiale in una tale depressione da stra volgere qualsiasi programma?

Sono tutti fattori imponderabili. Ma una domanda vale la pena di considerare attentamente. La comunità Linux sarà in grado di fornire un'interfaccia utente veramente user-friendly per l'intero sistema?

Personalmente penso che lo scenario più probabile da qui a due anni vedrà il dominio effettivo di Linux su server, centri di elaborazione dati, provider e Internet, men- tre Microsoft manterrà il proprio potere sull'universo desktop. Da li in poi, tutto dipende dallo sviluppo di GNOME, KDE o di qualche altra interfaccia grafica utente (o GUI) basata su Linux (e delle applicazioni create o modificate per farne uso) e dalla loro capzcità di combattere contro Microsoft sul suo terreno.

Se si trattasse solo di un problema tecnico, l'esito sarebbe praticamente scontato. Ma non è così. Si tratta piuttosto di un problema di design ergonomico e di psicologia dell'interfaccia; due discipline in cui gli hacker hanno sempre dimostraro lacune. Mentre gli hacker riescono benissimo a progettare interfacce destinate ad altri hacker, non sono altrettanto bravi quando si trtta di modellarle sui processi mentali del restante 95% della popolazione, e di modellarle con una tale abilita da convincere un utente finale medio a spendere soldi per acquistare proprio quell'interfaccia.

Il problema di quest'anno sono state le applicazioni. Appare adesso chiaro che ci rivolgeremo a produttori indipendenti per quelle che non riusciremo a scrivere da noi. Ritengo che, per i prossimi due anni, il problema. sarà la nostra capacità di riuscire a soddisfare (e anche superare!) lo standard qualitativo imposto dal Macintosh per le interfacce, combinandolo con le peculiari virtù di Unix.

Scherzosamente parliamo di "dominare il mondo", ma l'unico modo per dominare veramente il mondo e quello di servirlo e, quindi, di servire proprio l'utente più comune. Per raggiungere questo obiettivo, bisogna innanzitutto ripensare completamente a ciò che facciamo, riducendo spietatamente al minimo la complessità visibile dell'ambiente.

I computer sono strumenti destinati a esseri umani. Alla fin fine, quindi, la progettazione di hardware e software deve essere finalizzata all'essere umano, a tutti gli esseri umani.

La strada e lunga. E non e facile. Ma e nostro dovere, verso noi stessi e verso gli altri, percorrerla nel modo giusto. Che "Open Source" sia con voi!

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