WU MING - 54 by Paolo Boschi
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Dietro
la sigla Wu Ming, in cinese
mandarino equivalente a “anonimo” oppure “non famoso”, si nasconde un
collettivo di scrittori fondato a Bologna nel gennaio del 2000, attualmente
composto da cinque autori i cui rispettivi nomi anagrafici, per quanto non
segreti, non sono fondamentali nell’ambito del progetto: per il Wu Ming,
infatti, le storie vengono sempre prima di chi le scrive. Il gioco già messo in
mostra in Q (sotto la sigla Luther Blissett) ed in
Asce di guerra (primo atto creativo del neonato Wu Ming), implacabile
come sempre e terribilmente intrigante sotto il versante narrativo, continua
anche in 54, a tutt’oggi da considerarsi come l’indiscusso capolavoro
del collettivo bolognese, un romanzo corale che ci proietta senza colpo ferire
nell’anno di grazia 1954,
scelto arbitrariamente come genesi ideale della società contemporanea, in un
mondo che sta venendo alla luce, un Dopoguerra in cui la guerra non è finita ma
si è soltanto ‘raffreddata’, cambiando volto e modalità di proposta. In tale
scenario le ideologie stanno andando in frantumi insieme alle frontiere, ed il narcotraffico non
conosce confini di sorta: proprio l’eroina costituisce il motore sommerso della
trama, merce perfetta perché in grado di rendere dipendente il consumatore un
attimo dopo l’acquisto, distribuita attraverso il canale di commercio meno
mediato che si possa concepire, ovvero il crimine organizzato, nonché oggetto
precipuo dell’essenza dell’azione politica, quella esercitata dai servizi
segreti. Pagina dopo pagina incominciamo a prendere confidenza con l’assortito cast di 54,
alternandoci di continuo tra Napoli e New York, tra Trieste e Hollywood, tra la
Francia e Mosca fino alla Dalmazia, in cui in qualche modo finiranno per
convergere molti dei protagonisti: ex partigiani come Ettore Bergamini, eroi
della Resistenza in odor di eresia come Vittorio Capponi, agenti segreti come
Ivan Alexsandrovic Serov (presidente del neonato Kgb), narcotrafficanti come
Salvatore Lucania detto “Lucky
Luciano”, figli in cerca di un padre come Robespierre Capponi detto
Pierre, addirittura un dandy di
governo come Josif “Tito” Broz, e
perfino Cary Grant, il grande attore in
stasi da due anni – l’uomo più elegante del mondo, l’Archie Leach di un passato
da dimenticare –, tutti minacciati da un immenso frangente che minaccia di
stravolgere ogni cosa. Collante delle varie sottotrame anche un McGuffin
Electric, un televisore avvolto nel mistero, evidente simbolo del progresso
tecnologico e di un luminoso futuro, un modello decisamente fuori dal comune,
in grado di vedere, ascoltare, riflettere (pur non essendo funzionante)..
Strutturalmente il romanzo
si compone di tre antefatti, è diviso in due parti per complessivi centodieci
capitoli e presenta una coda finale decapartita. Assolutamente delizioso nel
complesso: nonostante la ragguardevole mole, 54
si fa leggere tutto d’un fiato, contribuisce in modo portentoso all’ossigenazione
dei neuroni e, una volta metabolizzate le numerose sottotrame, fa riflettere
molto più a lungo. Un
imperdibile romanzo scritto miracolosamente a dieci mani senza perdere un
filo di compattezza.
Wu Ming, 54, Torino, Einaudi, 2002; pp. 673