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ARTISTI DEL VIRUS
Chi sono e cosa pensano i teorici dei virus artistici
by Maria Molinari
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Gli EpidemiC sono i maggiori sostenitori della tesi secondo cui i virus non nascono necessariamente per scopi malefici e non sempre sono dannosi o è loro intenzione esserlo. Per questi outsiders usciti da un romanzo cyberpunk di Neal Stephenson – così li ha definiti Arturo di Corinto, “i virus non hanno altro comportamento se non quello che porta alla sua replicazione… La malvagità del virus deriva da una attribuzione d’intenzionalità socialmente condivisa. Il virus non ha alcuna intenzionalità”. (Michele Carparo) I virus si comportano con lo stesso modus operandi dei virus biologici: “si attaccano a un “organismo” per rimanerci e installarvi il proprio habitat, talvolta, e in casi più rari, per distruggerlo.” (Giampaolo Capitani) Il loro unico scopo dunque è esistere e moltiplicarsi ma, come spiega lo zoologo Richard Dawkins, devono sottostare a due caratteristiche condizioni ambientali per riuscirci: “La prima e' l'abilita' del sistema ospite di copiare informazioni accuratamente e, in caso di errori, di copiare un errore con la stessa, identica, accuratezza. La seconda è la prontezza incondizionata del sistema ad eseguire tutte le istruzione codificate nell'informazione copiata”.

LE ORIGINI DEL VIRUS
Del resto se guardiamo più attentamente ai nostri giorni e un po’ indietro nel tempo e consideriamo le aspirazioni dei primi programmatori di virus come di quelli odierni ci renderemo conto che il virus non nasce con intenzioni maligne tanto più che l’origine latina del termine rimanda sia a VIS (forza, vigore, energia, efficacia) sia a Viresco (verdeggiare, fiorire, essere vigoroso). Prima del 1986 gli esperimenti relativi ai virus si verificano in ambiti strettamente accademici e, a parte la curiosità per l’effetto visivo provocato da alcuni (si pensi al virus Ping Pong, creato al Politecnico di Torino, nel 1985), sono finalizzati ad approfondire il concetto di programma auto-replicante e ad esplorare le analogie tra uomo e macchina. Nel 1948 il matematico John von Neumann, crea un programma capace di agire proprio come i batteri di un’infezione all’interno degli organismi. In pratica può riprodursi autonomamente all’interno di un sistema contaminandolo. Lo stesso concetto di programma auto-replicante riappare dieci anni più tardi nel gioco Core Wars, sviluppato dai programmatori dei Bell Laboratories. Lo scopo dei virus nel gioco è quello di riprodursi e distruggere altri virus. Il vincitore è colui che vanta il maggiore numero di virus riprodotti. Un programma che si auto-riproduce è qualcosa di molto simile ad una macchina intelligente, rende meno distante la prospettiva di una vita ed un’intelligenza artificiale, sogno umano che da sempre popola le pagine della nostra letteratura ed anche gli schermi delle nostre sale cinematografiche.

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PRO E CONTRO
Verso questa visione però c’è anche chi ha manifestato dubbi e timori, prospettando futuri alla Matrix (dove Matrix, ricordiamo, significava, nel film ben noto a tutti, “controllo”). “Alle macchine potrebbe essere permesso di prendere tutte le proprie decisioni senza la supervisione umana - scrive Bill Joy - sarà impossibile indovinare come tali macchine potranno comportarsi (www.tmcrew.org/eco/nanotecnologia/billjoy.htm). I 0100101110101101.ORG, invece, che in un’intervista, dichiarano di essere interessati ancora a questo rapporto tra l’uomo e la macchina, affermano: “L’arte della rete è prodotta da computer, non da uomini, siamo solo tecnici al servizio della macchina, addetti alla manutenzione. La funzionalità di un computer è una qualità estetica: la bellezza delle configurazioni, l’essenzialità dei processi, l’efficacia del software, la sicurezza del sistema, la distribuzione dei dati, sono tutte caratteristiche di una nuova bellezza”. Il loro obiettivo è divenire una cosa sola con il computer, fondersi con la macchina e diffondersi nella rete. Il virus nasce anche come sfida intellettuale…sondare l’oscura topologia di internet, esplorare la permeabilità della rete. “Un rizoma di tali e tante dimensioni come internet”, afferma Jaromil, “non può essere rappresentato in nessuna topografia, ad oggi i tentativi sono stati molteplici, ma mai completi. La sua estensione può essere tracciata seguendo un cammino: sondare i meandri, seguirne i percorsi e le connessioni. Iniettare un liquido di contrasto nell'organismo per seguirne la conformazione e la struttura; al risalto otteniamo il percorso tipico dei vasi nell'angiogramma”. E’ grazie al virus che abbiamo scoperto l’esistenza della rete e il suo essere “sommatoria di una serie di rapporti one to one”; il virus è “la prova ontologica dell’esistenza delle rete; niente poco di meno che la centralità della scrittura in una società che ama definirsi dell’immagine” (Gaetano La Rosa).

INFORMATION WANTS TO BE FREE
Il virus non è solo virus, ma anche forma ultra moderna di comunicazione, per nulla distinta dall’informazione stessa e il suo veicolo; una forma di linguaggio, un veicolo di trasmissione e dunque di comunicazione e persino informazione in sé e si sa che questo questo tasto è sempre stato a cuore agli hacker da divenire uno dei punti centrali della loro etica. Che il virus abbia l’abilità di diffondere informazione è stata ampiamente dimostrato da Sircam il quale dopo aver scelto un documento dall’hard disk, inviava tutti i dati, compresi quelli privati in esso contenuti agli indirizzi presenti nella rubrica del programma di posta elettronica. Quando un virus riesce ad invadere un sistema rivela in realtà anche un altro tipo d’informazione e cioè gli errori di quel sistema e come esso sia protetto in maniera sbagliata. Insomma Ciò che occorre rimarcare – scriveva, nel post-I Love You, Andrea Vallinotto - è che non è di per sè il virus che "buca" le protezioni del sistema: di protezioni proprio non ce ne sono! (www.diff.org/diff/quattro/Loveyou.shtml) Il virus inteso come organismo autoreplicante “è la cifra prima del linguaggio della rete che si esprime attraverso la contaminazione e l'ibridazione e che, trovato il vettore giusto, arriva a occupare ogni angolo di quel particolare spazio-tempo che è Internet, trasformandone forma e percezione” (www.epidemic.ws/d-i-n-a_press/il_manifesto.htm). Questo è il concetto base della teoria memetica di Dawkins, autore per altro del libro culto sulla memetica, "The Selfish Gene" (1976), il quale, spiegando la storia della cultura sulla base delle teoria evoluzionistica di Darwin, dimostra come il principio di “selezione naturale” secondo cui sopravvivono solo quegli individui che si riproducono con maggior successo di altri (vedi appunto il gioco Core war) può essere esteso e applicato anche agli organismi culturali. Come i geni sono delle unità contenenti informazioni biologiche e permettono la trasmissione dell’eredità biologica, così i memi sono entità contenenti informazioni culturali e permettono la trasmissione dell’eredità culturale. Se la diversità genetica è fonte di ricchezza biologica, allora anche la diversità memetica è fonte di ricchezza culturale che risiede in pensieri differenti e si scambia e si alimenta dalle comunicazioni interpersonali. I memi passano da un individuo all’altro e muoiono solo se si spezza la catena di trasmissione. I virus a loro modo funzionano proprio così; hanno la capacità di autoreplicarsi contaminando, e dunque trasmettendo, l’informazione in essi contenuta a un’altra entità. Tale caratteristica T. Tozzi la definisce “distribuiva” ed è anche tipica della comunicazione sociale con un’unica differenza, che “se si accetta di considerare fondamentale l’esistenza di un grado di interattività nella comunicazione, ci si accorge che nei modelli di comunicazione socio-culturale dominanti tale aspetto è spesso negato o trascurato” (strano.net/wd/mm_mz/museo001.htm).

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SABOT & SABOTEURS
Oggi la rete, considerata da sempre un gigantesco spazio di libertà, rischia di essere piegata dalla logica del commercio (e-commerce) e dell’economia (net-economy). Gli stessi programmi di igienizzazione e disciplinarizzazione, come li definisce Gianpaolo Capitani di epidemiC, portati avanti in nome della sicurezza dei pagamenti effettuati con la credit card, presentati come legittimi in quanto volti a servire meglio il consumatore e a preservare la privacy delle nostre comunicazioni, in realtà stanno gradualmente emarginando molte forme di attività, anche creative, della rete, ostacolando la velocità con cui circolano le informazioni (si pensi alla censura o al copyright), limitando la diffusione di “pensieri differenti”, la libertà di espressione e comunicazione di chi non vuol essere considerato un mero consumatore. In questo contesto ecco che i virus appaiono come quei saboteurs, operai di origine belga, che bloccavano le macchine tessili lanciando un zoccolo (sabot) nel posto giusto; come una forma di contropotere globale, forma generalmente prepolitica che si oppone ai poteri forti, li riequilibria, li scompaginae li riassembla, come l’egemonia del comune e l’irruzione del sociale e in ciò che più sociale esiste; come il diritto allo scambio non mediato dal denaro, la libertà del peer ti peer, il diritto all’open source, a napster, alla musica, alle notizie e in definitiva a un cosciente collettivo non riconducibile all’atto del consumo (Gianpaolo Capitani). Il virus insomma come ribelle atto poetico, così li definisce Jaromil, ma anche, sintomo politico e strutturale, tentativo di escursione della rete nella sua permeabilità; intelligenze artificiali che di rado sono dannose e che da sempre popolano l’universo digitale, “poesie maledette”, “giambi” rivolti contro chi vende la rete come un posto sicuro e borghese; composizioni spontanee, liriche nel causare l’imperfezione di macchine “fatte per funzionare” e nel rappresentare la ribellione dei nostri servi digitali. Che altro dire? Forse – leggendo ancora gli epidemiC (Gaetano La Rosa) - i virus saranno davvero oggetti di consumo, “distribuiti in varie forme e per varie utilità”, forse l’utente un giorno avrà davvero un rapporto diverso con la macchina e non si farà più schiacciare “dalla brutale stupidità del poliziotto a una ridotta capacità espressiva del mezzo”. E se è vero che “tutto, anche le immagini di un computer, ha alla sua base un testo scritto; e ultima, ma non meno importante, un’innovativa teoria teologica sulla genesi: forse Dio per creare il mondo ha scritto un codice sorgente”.


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