"COTROPIA: LIFEWARE E COEVOLUZIONE MUTUALISTA TRACCE PER UNA RIFORMULAZIONE DEL CONCETTO DI ARTE INTERATTIVA by Tommaso Tozzi
Il termine entropia viene dall'unione di "energia" e la
parola greca "tropos" che significa trasformazione, evoluzione. Un nuovo termine
potrebbe essere "cotropia" per intendere un'evoluzione cooperativa. Il termine
lifeware vuole rappresentare l'elemento di 'consapevolezza' e libero arbitrio
che non è presente nel software e nell'hardware. Il termine mutualista viene
dalla biologia e indica quelle forme di simbiosi dove ogni parte ricava
beneficio.
La storia
La concezione scientifica del XVII secolo, con Cartesio, Galileo, Newton,
..., sostituendo una visione della natura come organismo unico (di derivazione
aristotelica) con quella di una natura/macchina, pone in atto una tendenza
(avviatasi con l'invenzione della stampa) a sottrarre alla natura le qualità
spirituali e immateriali per inserirla all'interno di valori e punti di vista
laici (vedi F. Capra, "La rete della vita", 1997, pag. 30). Tali valori e
metodi, tipicamente deterministici e meccanici, portano avanti un'idea di
diffusione del sapere che ha nel '700 con l'Enciclopedia una sua chiara
esemplificazione. Si pone dunque una "strana" distinzione per cui i valori
democratici dei metodi moderni di classificazione e distribuzione del sapere
sembrano essere in alternativa a un'idea dinamica del mondo ovvero un'idea di
enti in stretta relazione e le cui qualità non possono essere valutate
separatamente. Oggi assistiamo a un momento di sintesi dialettica tra il
riduzionismo materialista e la visione sistemica nel tentativo di trarre i punti
di vista più interessanti e utili da entrambe le parti. Il perfezionamento del
microscopio nel XIX secolo conduce verso una visione meccanica della biologia
(F. Capra, op. cit., pag. 34). Le nanotecnologie potrebbero rischiare di creare
una nuova tendenza in tale direzione, ma l'attuale unione del mondo organico con
quello meccanico potrebbe sottintendere a un equilibrio tra i differenti
paradigmi. La scienza distingue le parti (meccanico/organico) al suo interno
facendo di volta in volta prevalere la fisica sulla biologia e viceversa. Ma la
questione va posta tra due parti diverse: la "scienza" e la "vita". Il campo del
'non detto' è di pari valore e merito di quello del 'dicibile'. E' giusto
formulare ipotesi o promuovere ricerche. E' giusto finanziarle. Ma allo stesso
modo è giusto finanziare (in modo equivalente!) e promuovere le pratiche
quotidiane 'apparentemente' anonime e non formulatrici di senso. La
microbiologia, embriologia e teoria cellulare del XIX secolo formulano (in
particolare nel libro di J. Loeb "La concezione meccanica della vita") un'idea
di spiegazione meccanica della vita (F. Capra, op. cit., pag. 35). sebbene il
padre della medicina moderna, Claude Bernard, fornisca una visione
dell'organismo come sistema in equilibrio permanente rispetto alle variazioni
dell'ambiente precorrendo dunque il concetto di omeostasi di W. Cannon negli
anni 20 del nostro secolo (F. Capra, op. cit., pag. 34). I romantici, in
particolare Goethe, vedono la natura come un tutto e si interessano agli aspetti
morfologici. Anche Kant descrive il carattere di relazione tra le parti e per
primo introduce il concetto di 'autorganizzazione' dell'organismo in relazione
al contesto (F. Capra, op. cit., pag. 32) Siamo nel periodo a cavallo tra XVIII
e XIX secolo quando nascono le prime forme di servomeccanismi (termostato) ma
anche i primi telai a schede perforate. Secondo Kevin Kelly ("Out of Control",
1994) il servomeccanismo è il precursore delle moderne forme di macchine
autorganizzate (computer,...). Secondo i biologi 'organicisti' del XX secolo "il
tutto è maggiore della somma delle sue parti" poiché, oltre alla fisica e alla
chimica, va aggiunto il concetto di 'organizzazione' e di 'rapporti organizzati'
(a differenza dei vitalisti che aggiungono invece una non ben chiara entità,
forza o campo immateriale) (F. Capra, op. cit., pag. 36). In questa direzione si
sviluppa un interesse verso gli aspetti morfologici di creazione, organizzazione
e evoluzione delle forme. In tal senso, l'opera d'arte, se deve rappresentare la
vita, non può essere isolata in un oggetto o evento unico. L'opera d'arte va
invece intesa come il sistema di auto-organizzazione spontanea di più enti e
delle loro relazioni nel tempo.
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La chiave di svolta dal paradigma della meccanica classica a quello della
dinamica non lineare si ha con la Teoria della Relatività e in seguito con la
meccanica quantistica nel modo in cui questa metta in discussione la logica
classica tramite la possibilità di sovrapposizione 'simultanea' di stati diversi
per lo stesso ente. La meccanica quantistica prevede approcci non di tipo
'analitico' ma di tipo 'sintetico'. Paradossalmente tutto ciò può essere
rappresentato in una metafora usata da Schrodinger nel suo libro 'Cos'è la vita'
in cui gli ingranaggi di un orologio sono paragonati ai cromosomi e l'orologio
stesso a un organismo. E' evidente che esiste in atto una dialettica tra
meccanico e organico.
C. Langton, nell'introduzione al convegno "Vita Artificiale" del 1987,
illustra procedimenti scientifici che senza l'ausilio di materiali organici e
dunque attraverso simulazioni computazionali, dimostrano come sia possibile
spiegare "in che modo comportamenti di tipo biologico emergano dalle interazioni
di basso livello entro una popolazione di primitivi logici" ("Sistemi
intelligenti", anno IV, n. 2, agosto 1992, pag. 200). Mi preme sottolineare come
ciò non implichi l'emergere di una forma di consapevolezza. Allo stato delle
attuali ricerche ciò sarebbe una pretesa eccessiva. R. Penrose in "Ombre della
mente" (1996) assume che la consapevolezza sia il risultato di uno stato
coerente quantico della materia organica e che, dunque, il paradigma scientifico
della matematica, della logica, etc., debba confrontarsi con la materia
organica, la struttura delle cellule, dei microtuboli e con le dinamiche
complesse degli organismi. Secondo Penrose la coscienza è un fenomeno 'non
computazionale' ma può essere spiegato all'interno di una nuova biologia e della
fisica quantistica. Quest'ultima, per le sue conseguenze, accetta come possibile
al suo interno l'esistenza della contraddizione (sovrapposizione quantistica).
Il sapere coevolutivo è un sapere 'quantico' che nella sua indeterminazione
prevede delle sovrapposizioni non previste dalla logica classica. In tale
direzione sembrano essere auspicabili dei modelli computazionali che simulano i
processi matematici della biologia. Processi di auto-apprendimento bottom-up,
reti neurali, algoritmi genetici, automi cellulari, sono modelli computazionali
che convergono verso tale direzione. Per quanto sistemi deterministici, tali
modelli computazionali hanno bisogno di un supporto organico, biologico. Un
supporto che non sia solo l'hardware del sistema, ma che sia parte del processo
che viene integrato e contaminanato dalle sue potenzialità indeterministiche e
principalmente coevolutive. Il 'lifeware' è un sistema che si avvale di ogni
nuova scoperta della fisica (i dimeri di tubulina e le loro potenzialità
quantiche all'interno del citoscheletro dei neuroni, i biocomputer, le
nanobiologie e le nanotecnologie) integrandole con i processi di tipo
computazionale descritti sopra. Non solo, lifeware non è semplicemente un nuovo
modello di macchina, lifeware è un'idea di sapere come 'sistema coevolutivo';
una rete rizomatica in cui la comunicazione implica la coevoluzione di ogni
parte.
Quelli che per Aristotele sono "piccoli accidenti non sostanziali", ovvero le
differenze strutturali e morfologiche di un oggetto da cui se ne ricava il
relativo concetto, potrebbero dare al contrario luogo, in un'idea di mente
relazionale a modelli del pensiero totalmente differenti a livello generale. La
differenza minima da sola è insignificante, ma se è abbinata a innumerevoli
altre differenze minime, con esse diventa fondamentale. Se il pensiero, anzi la
verità sta nel dialogo delle cose, bisogna sempre ipotizzare le conseguenze di
ogni singolo evento in relazione a molte altre. Se il sapere non è un'entità
astratta, di tipo linguistico e convenzionale in senso nominalista, ma se è 'in
re', nelle cose, allora ogni forma del sapere sarà, a seconda della cosa in cui
è, differente da ogni altra. Non solo, non sarà qualcosa di immutabile, ma
seguirà l'evoluzione di tale cosa, sarà in divenire e il suo divenire dovrà
confrontarsi con un'evoluzione di tipo 'culturale', in stretta relazione con
un'evoluzione di tipo biologico, fisico, chimico, ... Nel medioevo la forma
della scrittura si 'adeguava' alle logiche linguistiche delle culture orali; la
scrittura, per quanto fosse strutturata gerarchicamente in modo molto rigido,
era sapere 'interpretato', ovvero mediato tramite continui rimandi di citazioni
e commentari ad altri testi oppure da un 'maestro' che lo trasmetteva fornendone
la propria interpretazione. Analogamente oggi cultura e biologia sono
strettamente connesse. In particolar modo un essere vivente può essere
considerato, citando Pietro Omodeo (da "Biologia evoluzionistica", 1995),
percorso da un "flusso di informazione che rende possibile autocontrollo e
controllo nei vari settori dell'attività dell'organismo". Scrive ancora Omodeo
che "come i processi digestivi debbono essere interpretati sulla base dei
principi della dinamica e non della meccanica, e i processi metabolici sulla
base della termodinamica e non della sola chimica qualitativa, così è divenuto
necessario interpretare il divenire degli organismi anche e soprattutto in base
ai principi e ai teoremi della teoria dell'informazione". A sua volta tale
ambito richiama le ricerche sulla comunicazione di massa e la sociologia, in
particolar modo come evolva il concetto di informazione in seguito alle critiche
verso la Teoria dell'Informazione di Shannon interpretata come teoria della
trasmissione anziché della comunicazione di un messaggio.
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La cultura
Come spiega Dawkins nel libro "Il gene egoista" del 1976, le idee sono virus
(memi) in grado di replicarsi e evolvere nel cervello delle persone.
La vita degli uomini dipende sempre più dalla struttura sociale anziché
dall'ambiente naturale che li circonda. E' la struttura sociale (i supermercati,
etc.), anziché gli alberi, a fornire il cibo. La cultura che sovrintende e
organizza la struttura sociale è divenuto un fattore necessario all'interno dei
tipi di relazioni mutualistiche necessarie al corpo umano per sopravvivere. La
cultura è un organismo biologico in competizione/cooperazione con gli altri
organismi. Il confine tra la fine di un organismo e l'inizio di un altro è
inesistente o convenzionale ai sensi percettivi di ogni singolo organismo. Il
corpo umano definisce i suoi limiti in base alle sue capacità sensoriali. Se si
definisce la mente come un organo sensoriale allora anche il concetto di corpo
può espandersi fino ai confini spazio/temporali della cultura. Il progresso si
muove nella direzione del superamento della necessità per il corpo dei limiti
imposti dal mondo 'naturale'. La scoperta del fuoco ha eliminato la dipendenza
dal ciclo giorno-notte per poter vedere e riscaldarsi. L'agricoltura e le
conseguenti scorte alimentari hanno eliminato la dipendenza dell'alimentazione
dalle stagioni. L'urbanizzazione ha eliminato la necessità dello spostamento
nello spazio. Le simulazioni audiovisive e le telecomunicazioni hanno eliminato
la necessità della presenza materiale nello spazio per percepire un evento.
L'evoluzione della cultura scientifica e sociale sembra muoversi nella direzione
di un'autonomia della mente dai limiti materiali che il corpo incontra nel mondo
naturale. La cultura, il linguaggio, le forme mediali hanno più possibilità di
realizzare un progetto che non la forza bruta. Le relazioni e le reti
rizomatiche messe in opera dalle prassi culturali, fanno emergere 'meccanismi
virtuali' grazie ai quali pochi individui in gruppo realizzano quello che non
sarebbe riuscito a molti individui non correlati attraverso la cultura (è
interessante in questo senso ciò che sono riusciti a fare alcune migliaia di
scienziati che collegati in rete sono riusciti a decrittare in tempi ristretti
un algoritmo di codifica che sembrava inespugnabile se non in tempi lunghissimi,
vedi Enciclopedia Britannica del 1996). La mente umana diviene un nuovo potente
organo sensoriale. Un organo cooperativo, in grado di svilupparsi acquisendo
informazioni da altre menti. La mente umana non è il cervello, ma è il corpo
umano in relazione con un insieme di pensieri collettivi (memi) che evolvono
all'interno delle architetture individuali. L'arte è un prodotto della cultura e
con essa evolve. Se l'arte del passato si risolveva in oggetti materiali che
fungevano da 'media' culturali, l'arte del presente si avvale di ogni sviluppo
della cultura e le sue opere diventano sistemi di relazioni collettive in
coevoluzione. L'opera nel presente è determinata dalle connessioni e dalla loro
qualità mutualista. Quello che nel passato si risolveva attraverso un supporto
materiale nel presente si risolve nella qualità della trama, nella sua
flessibilità e capacità di evolvere. La sopravvivenza di un'opera non è data
dalla resistenza di un materiale, ma dalla sua capacità di mantenersi stabile in
uno stato di criticità auto-organizzata.
La coevoluzione
Ci sono due motivi specifici al fatto per cui preferisco usare il termine
'coevoluzione mutualista' al termine 'interattività'. Il primo è che il termine
interattività è stato associato dal mercato negli ultimi anni a qualsiasi cosa,
all'interno delle nuove tecnologie informatiche, prevedesse da parte dell'utente
una semplice azione all'interno di percorsi prestabiliti. L'utente interattivo
(per il mercato) è diventato qualcosa di simile al signore che nel classico
esempio di Searle mostra simboli cinesi in risposta a domande fatte in cinese,
in base a istruzioni che gli dicono quali simboli mostrare in risposta ad altri
simboli, senza però spiegargliene il significato. Apparentemente per un
osservatore esterno il signore sembra parlare il cinese, ma di fatto lui non
conosce il cinese e non capisce ciò che sta facendo. Gli strumenti
'interattivi', così come sono stati proposti dal mercato, non forniscono ne
'consapevolezza' ne reale 'comunicazione interattiva'. Poiché il termine è
oramai troppo pesantemente associato a determinati strumenti tecnologici,
preferisco usare i termini 'coevoluzione mutualista' per mostrarne le
differenze. Il secondo motivo per cui preferisco usare tali termini è perché in
modo più intuitivo descrivono alcune caratteristiche che il termine
'interattività' da solo non copre. La prima caratteristica è che il termine
coevoluzione implica un cambiamento o evoluzione negli enti in causa,
determinato reciprocamente in modo attivo da entrambe le parti. Non vi è quindi
semplicemente un 'agire simultaneo' tra due o più enti, ma vi è nel termine
'coevoluzione' l'implicita condizione che tale agire provochi cambiamenti
evolutivi nell'altra parte. Il secondo termine, mutualista, deriva dalla
biologia e viene usato per definire quei sistemi specifici in cui due specie
diverse interagiscono tra loro in modo tale da determinare una coevoluzione
reciproca che fornisce ad entrambe benefici. In particolare questo aspetto (che
sarebbe dovuto essere interpretato come 'implicito' nel termine interattività) è
quasi sempre stato trascurato per favorire e garantire benefici esclusivi a una
determinata classe economica o politica e per limitarsi a operare una forma di
trasmissione 'istituzionale' anziché di 'comunicazione' collettiva.
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Previsioni - libero arbitrio - comunicazione
Ritengo che la ricchezza del dialogo comunicativo sia da situare nelle
continue 'previsioni' che emittente e ricevente mettono in atto sulla base delle
loro esperienze e sulle continue 'deformazioni' volontarie (ma spesso anche
involontarie) operate sui messaggi per stabilire la comunicazione. La ricchezza
e l'evoluzione delle idee nella storia sociale è la conseguenza non solo di
accordi e deduzioni sul sapere, ma anche di 'equivoci', il risultato di
un'interpretazione deformata (dunque non fedele) del significato originario
della teoria a cui ci si rifà. Le differenze e in esse gli errori di
comprensione sono storicamente produttivi e benefici allo stesso modo delle
identità e delle interpretazioni fedeli. Rispetto a tale ipotesi di 'meccanismo'
di capacità di fare previsioni, e dunque il possedere una forma di coscienza,
ritengo che le pur innovative e notevoli teorie esposte sulla creatività nei
modelli di comportamento neurale sebbene annuncino una positiva evoluzione delle
interfacce uomo/macchina non siano sufficienti a far giudicare come interattivi
tali meccanismi (intendendo per interattività una reale messa in atto dello
scambio comunicativo tra due enti), ma che si rimanga dipendenti dai
comportamenti possibili di un meccanismo 'egoista' Egoista poiché produce
risposte determinate dalla sua struttura in modo meccanico anziché come
risultato dialettico tra la sua struttura e la capacità di produrre previsioni
sull'emittente o ricevente; un egoismo che è tale solo in quanto risultato di
sistemi complessi di emergenza di comportamento indotti dall'equipe che ha
costruito il meccanismo, attraverso un tipo di scienza che non è ancora in grado
di assegnare consapevolezza alle macchine. L'evoluzione, la mutazione, la
novità, in tali sistemi non è una scelta volontaria, bensì meccanica.
Ciò che manca ancora alle macchine (ciò che effettivamente hanno cercato, per
adesso in modo fallimentare, di realizzare gli scienziati dell'intelligenza
artificiale) è la coscienza; intendendo in essa la capacità di fare previsioni,
sintesi e scelte in modo individuale e spontaneo rispetto agli input che le
provengono dall'esterno e dunque mettere in atto un processo di comunicazione
che implica un grado (seppur parzialmente deformato) di comprensione di ciò che
l'esterno voleva significare. Non credo dunque che le macchine (almeno quelle
che sono annunciate dalle recenti ricerche sulla vita artificiale) non abbiano
una coscienza o non comprendano i messaggi, ma credo che (rispetto al punto di
vista umano) siano stupide, ovvero abbiano un campo di esperienza talmente
ristretto del mondo (o meglio talmente diverso dal nostro) da limitare le
possibilità comunicative tra noi e le macchine a aspetti minimi e parziali del
panorama possibile della comunicazione tra due o più individui. Questo per
quello che riguarda la comunicazione 'fedele'. Poiché però ritengo che anche la
comunicazione parzialmente o totalmente deformata possa avere conseguenze,
ritengo che vi siano delle possibilità di crescita della nostra esperienza nel
dialogo anche con macchine secondo il nostro punto di vista 'stupide'. Il
rischio è un fenomeno di 'alienazione partecipativa' in quanto l'egoismo della
macchina esclude una partecipazione attiva dell'individuo che non riceve
risposte ai suoi messaggi quanto interpretazioni libere o preprogrammate della
macchina sul mondo. Fino a quando le macchine non avranno una coscienza (di tipo
umano) è necessario che la comunicazione sociale non sia di tipo meccanico, ma
integri l'uso della macchina a quello della coscienza umana. La rete Internet
(nei suoi aspetti di chat o conferenze) è interessante perché in essa, seppur
integrata e mediata da un'interfaccia meccanica, vi è la presenza di altri
individui con coscienza umana con cui stabilire comunicazione. Al momento in cui
questa possibilità di reale interattività venisse meno (per motivi di censura,
accesso, legislativi, economici, etc.) o sostituita 'totalmente' da agenti
meccanici (vedi i knowbot o i cosiddetti software 'push' se usati al posto degli
individui in modo totale) ciò che rimarrebbe di Internet non sarebbe più una
rete , ma un circuito di una enorme macchina complessa assolutamente alienante e
asservita a scopi funzionali di scarso interesse per l'uomo. In tal senso le
interfacce devono essere fluttuanti. In quanto devono mediare l'organico con il
meccanico. E l'organico non solo per le sue capacità spontanee e
auto-organizzanti di evolvere, ma anche per le sue qualità morali di libero
arbitrio. E' per questo che ritengo le reti interessanti solo se aperte a
situazioni cooperative e coevolutive quali sono per esempio i centri sociali, i
movimenti in genere e qualsiasi altra forma libera, spontanea e collettiva di
uso delle reti. Questo secolo è stato improntato dallo sviluppo di nuovi
paradigmi coevolutivi della comunicazione, ma soprattutto della creazione del
sapere e dalla sperimentazione artistica. La storia dell'arte del novecento è la
storia di gruppi che hanno creato relazioni, operato e partecipato a movimenti
collettivi che valgono solo nella loro complessità non riducibile alle singole
parti. L'opera d'arte del novecento è in questo senso coevolutiva. Ed è
inseparabile da storie, concetti, idee, relazioni e movimenti sociali che si
sono susseguiti nel tempo. L'emergere della libertà di tali idee, della loro
forza e umanità risiede nella loro struttura assolutamente spontanea e
correlata. La coevoluzione in atto non è riducibile a una singola macchina,
individuo oggetto o idea. Dobbiamo muoverci e produrre nel tutto. Altrimenti
avremo bellissime opere e bellissime macchine che arrugginiscono separate da
potenti e enormi emozioni umane inespresse e alienate.
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"Noi pensiamo sempre 'anche' col corpo, e poiché i computer non hanno un
corpo siffatto, i problemi realmente umani saranno sempre estranei alla loro
intelligenza". (F.Capra, op. cit., pag. 83). Una radicalizzazione di tale
considerazione sulla corrispondenza tra forma-corpo (morfogenesi?) e pensiero
rischia di cadere in una radicalizzazione di differenziazioni di specie
attraverso la semplice struttura del corpo. Va, credo, saputa intuire una
possibilità di essere in relazione tra due strutture (in questo caso uomo/corpo
e macchina) e di come il pensiero dell'una influenza l'altra al punto da non
poterle separare e distinguere con certezza. Sono differenze di gradi e
variabili spazialmente e temporalmente. Vi sono aspetti del pensiero della
macchina e dell'uomo che non corrispondono, ma tali aspetti evolvono e mutano
nel tempo in modo tale da rendere una loro descrizione come un entità dinamica
in continua oscillazione che necessita quindi di una terminologia "sfumata" e in
continua riformulazione. Le macchine stanno sempre più avvalendosi di strutture
con un corpo biologico e viceversa gli uomini tendono sempre più a modellare o a
"riparare" il proprio corpo con l'ausilio di tecnologie e protesi meccaniche.
L'assemblaggio 'meccanico' di parti biologiche nella metafora del Golem o del
Frankenstein ha possibilità di successo? E nel caso il corpo risultante va
considerato una macchina o un uomo? E il pensiero di un corpo biotecnologico
sarà il pensiero di una macchina o di un uomo? E' giusto assegnare, o cercare di
farlo, il libero arbitrio alle macchine? Che genere di enti sarebbero delle
macchine 'organiche' in possesso di un loro libero arbitrio? Sarebbero uomini o
macchine? Il libero arbitrio è una qualità unicamente 'umana'? Se così non fosse
e se fosse possibile far emergere il libero arbitrio a un meccanismo, saremmo di
fronte a una nuova specie evolutiva o sarebbe un'evoluzione della specie umana?
Solo se si accetta che la comunicazione è tale solo se implica l'evoluzione
dell'emittente insieme al ricevente (e dunque un feedback che produca effetti
evolutivi e dialettici) si può garantire la fluidità dei sistemi sociali, la
loro evoluzione e evitare una cristallizzazione su valori 'assoluti'. Se si
accetta di definire comunicazione (in quanto 'evocativa') la trasmissione
'unidirezionale' di un messaggio (pur con conseguenze 'evolutive' nel
ricevente), si rischia di creare una separazione dell'essere individuale che non
è più contingente e immanente alle situazioni quotidiane, bensì un alter ego
separato e virtuale che potrebbe rischiare di sovrapporsi all'essere
deformandone le qualità oltreché le necessità prettamente 'umane'. Il
linguaggio, così come i vari media, sono possibili estensioni del corpo che
possono favorire la comunicazione. Tale comunicazione però non può più esistere
nel momento in cui venga cessato ogni tipo di legame con l'individuo che li ha
usati. La cultura può essere essa stessa un'estensione 'biologica' del corpo in
grado di produrre e stimolare evoluzione negli individui, ma quando la cultura è
separata dall'individuo diventa un secondo organismo, diverso e di una specie
non umana. Credo che sia possibile l'esistenza di nuove specie evolutive,
risultato degli incroci tra individui, macchine e culture, ma l'essere e la
specie umana devono mantenere una loro 'autonomia'. Credo sia necessario il
dialogo con ogni possibile forma di vita e questo è l'obiettivo primario delle
ricerche sulla vita artificiale (C. Langton in "Vita artificiale", 1989), ma
l'individuo deve avere una sua autonomia e libero arbitrio che lo distingua e
gli permetta di distinguersi da ciò che lo circonda. In modo equivalente la
comunicazione è a mio avviso definibile solo quando vi sia la reale
partecipazione e conseguente evoluzione tra individui e in particolare tra
emittenti e riceventi.
L'arte delle strade ha sollevato il coperchio dei musei e delle biblioteche.
Ha riportato la conoscenza e la comunicazione a vivere ed evolvere nel
quotidiano. La sottrazione progressiva e la separazione del sapere dalla vita ha
creato una forma di classificazione e di meccanica nella comunicazione che, per
rendere immortale il sapere, ne ha sacrificato la dimensione individuale in una
forma di alienazione succube alle logiche economiche e politiche relative alla
nascita delle forme di Stato sviluppatesi tra il 1600 e il 1700. L'arte delle
strade è l'esplosione della conoscenza e della comunicazione disposta a deperire
seguendo i ritmi biologici che uniscono corpo e mente, materia e cultura in
quell'unità autonoma definita individuo. La tecnologia delle reti, ma andando
oltre, il concetto stesso di sistema sociale in rete, ha permesso alle due forme
culturali, meccaniche e dinamiche, tipiche del linguaggio della scrittura e
della parola orale, di riunirsi attraverso una dialettica in cui i codici
genetici della cultura, i memi (quella forma di vita biologica immateriale che è
sostanza di ogni individuo attraverso la cultura) sono in inscindibile relazione
ed evoluzione con l'indeterminazione evolutiva della sostanza biologica
materiale. Il comportamento si sostituisce al simbolo come sintesi di un modello
in relazione e divenire. Ma il comportamento non può essere a sua volta una
forma di emergenza meccanica finalizzata a scopi funzionali seppur attraverso
procedimenti induttivi e sintetici del percorso scientifico, ma deve essere in
grado di riflettere l'autonomia, il libero arbitrio e la consapevolezza
dell'individuo. E' il libero arbitrio mediato dalla consapevolezza che produce
la possibilità di fare previsioni. E tali previsioni sono il cuore che pilota le
deformazioni dell'informazione producendo come risultato il grado di
comunicazione. Il concetto stesso di sistema sociale in rete implica
un'inscindibile relazione di ogni unità individuale organica con il mondo
dell'inorganico. La vita emerge dalle relazioni di molteplici sistemi in rete e
tali sistemi possono essere anche artefatti meccanici. Bisogna imparare a
convivere e rispettare ogni forma di diversità anche quella della materia,
poiché è con esse che coevolviamo. Ma dobbiamo mantenere ben ferma in noi l'idea
per cui l'individuo per vivere ha bisogno di comunicazione e questa non può
esistere senza comprensione e dunque 'volontà' di convivenza. Senza tali qualità
si hanno forme di vita 'egoiste' che possono creare alter ego di noi nello
spazio immateriale e che saranno forme alienate dalla comunicazione e in esso
controproducenti e deteriori per l'evoluzione della specie umana.
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L'interfaccia fluttuante
I sensi sono non solo l'interfaccia con il mondo (il filtro tra noi e
l'esterno) ma ne sono allo stesso tempo il 'legame'. I sensi stringono relazioni
con il mondo che rendono noi e il mondo tra loro interdipendenti. In particolare
con le nuove forme di comunicazione i sensi sono potenziati e in grado di
estendersi, duplicarsi e mutarsi non solo per raccogliere o emettere
informazioni, ma per creare una rete intricata e complessa di legami che rendono
noi e il mondo un unico organismo complesso. Un organismo composto di differenze
più che di unità. Allo stesso modo l'interfaccia non va intesa come un semplice
filtro di traduzione tra enti diversi, ma è la connessione, il legame che li
tiene uniti rendendoli l'uno dipendente dall'altro secondo pesi maggiori o
minori in relazione alle molteplici altre connessioni che ciascun ente mette
simultaneamente in atto con numerosi altri enti ognuno dei quali in grado di
influire sul peso degli altri. L'interfaccia (e la comunicazione) non è un
semplice filtro di traduzione e attribuzione di senso e decodifica, ma è
contemporaneamente uno stretto legame di coevoluzione tra gli enti relazionati.
Fare un software che prevede la cooperazione tra utente e macchina è
estremamente difficile a causa delle logiche stesse di programmazione e
costruzione dell'hardware fino ad ora adottate. E' necessaria dunque una
riformulazione di tali linguaggi e di tali modelli progettuali, che renda
possibile creare "interfacce cooperative" in modo semplice e veloce. Le reti
neurali sono un passo in tale direzione. Un passo necessario ma non sufficiente.
Ora si tratta di comprendere che l'interfaccia e i programmi non sono qualcosa
di esclusivamente meccanico e matematico, ma devono includere altre zone e
discipline: la psicologia, la sociologia, l'etologia, la biologia, l'etica, ...
ma soprattutto devono essere integrate in un utilizzo personalizzato e
relazionato con le situazioni contingenti cui sono finalizzate. Come un libro in
una biblioteca è una forma di sapere 'separato' dagli individui e dallo stesso
autore, allo stesso modo ogni software e ogni computer non può essere progettato
separatamente dall'autore e dall'utente. Non si può pensare a software creati in
scala per un'unica tipologia di uso. Ma ogni interfaccia deve essere relativa
alla situazione per cui viene creata e dunque l'interfaccia deve nascere dal
dialogo tra programmatore/i e utente/i e tale rapporto non deve mai venire meno
al punto che l'utente possa essere in grado di essere programmatore esso stesso
e dunque di riprogrammare l'interfaccia e viceversa. L'interfaccia deve essere
fluttuante, ovvero in grado di evolvere nel tempo e in base alle relazioni e al
dialogo con gli utenti.
Identità multiple
Accettare un'identità significa conferire validità a un metodo specifico di
classificazione dell'essere. Significa accettare che la propria determinazione
sociale e ogni sua possibile mutazione possono situarsi solo all'interno del
codice di classificazione accettato. La nostra vita è complessa, al punto da
richiedere identità molteplici ovvero sovrapposizioni continue di un numero
indefinito di codici e metodi di classificazione della medesima. Una legge che
imponga alla vita un'unica chiave di lettura è 'inaccettabile'. L'identità unica
dell'individuo è la conseguenza del paradigma scientifico meccanico di
classificazione del sapere. Attualmente viviamo in una società di relazioni
complesse basate sulla dinamica dei rapporti. Il digitale, ultima uscita della
meccanica è costretto a dialogare, confrontarsi e interagire con l'analogico,
garantendo nel fare questo le qualità indeterminate dell'essere.
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La cooperazione
Il termine 'lifeware' è il tentativo di mettere in relazione produttiva le
discipline biologiche e umanistiche con quelle meccaniche e scientifiche. E'
l'ipotesi di creare una rete tra i vari ambiti disciplinari che dimostri
l'impossibilità di discernere le tecnologie dalla mente umana (nella loro
capacità bidirezionale di influenzarsi reciprocamente, vedi P. Levy, "Le
tecnologie dell'intelligenza", 1990), l'impossibilità di creare all'interno di
un'unica disciplina (il calcolo computazionale e dunque tutte le discipline
discendenti dirette della matematica: informatica, cibernetica, logica, ...),
una teoria in grado di dare consistenza ai propri assiomi (vedi R. Penrose, op.
cit.) e dunque la necessità di affiancare tali ambiti a quelli della nuova
fisica e chimica emergente (la meccanica quantistica, le nanotecnologie, vedi
Hameroff in "Vita Artificiale", 1989), ai loro nuovi mezzi di osservazione (vedi
la tecnica di microscopia STM e ATM in "Bioelettronica e nanotecnologie per la
bioingegneria", 1992) con quelli di una nuova biologia (vedi Dawkins,op. cit., e
"Biologia evoluzionistica", 1995) e di come questa attinga a piene mani dalle
formule matematiche e dai modelli di simulazione che ruotano intorno agli
emergenti studi sulla 'vita artificiale' (vedi S. Kauffman in "Le Scienze"
quaderni, aprile 1996 e tutta l'attività dei laboratori di Santa Fè nel New
Mexico in M. Waldrop, "Complessità", 1987). Di come la paleontologia e
l'etologia possono essere aree del sapere e della ricerca che possono fornire
contributi fondamentali non tanto per 'capire', quanto per far evolvere nuove
'ipotesi' su ciò che siamo, sulle dinamiche sociali e sui concetti infine di
etica e di estetica.
Penso sia necessaria la capacità di far interagire i tratti comuni ad ambiti
e discipline differenti quali la biologia, l'arte, la matematica, sociologia, la
fisica, la chimica, la psicologia, la paleoantropologia, religione, l'etologia e
tante altre materie ancora, rilevando in ognuna di queste discipline le
caratteristiche relative agli elementi relazionali, cooperativi ed evolutivi di
un determinato ente. La capacità di affrontare i problemi dell'epigenesi
all'interno di strutture complesse sia di tipo organico, che inorganico e
persino culturale. Trovare quale siano i tratti caratteristici in grado di unire
in un'ottica evolutiva e cooperativa il patrimonio strutturale, culturale e
semantico di un determinato ente. Credo che la 'vita artificiale' debba
occuparsi anche di questo.
L'idea di cooperazione ha un enorme passato storico, politico e sociologico
da cui si sono sviluppate forme attuali complesse. L'analisi dei principi da cui
si è sviluppata tale idea non riesce ad avere un'origine fissa, ma deve per
forza di cose fluttuare tra momenti e luoghi storici tra loro distanti. Si può
cercare però di trovare delle forme comuni ricorrenti anche in tale idea, così
come nello sviluppo evolutivo di forme di simbiosi mutualista tra specie, oppure
nell'evoluzione di modelli di relazioni tra forze fisiche o chimiche. Non si
tratta di trovare una 'regola' comune, quanto il trovare corrispondenze che ci
permettano e ci aiutino a fare previsioni rispetto a modelli differenti.
Le reti telematiche e la vita artificiale
Così come gli studi sulla vita artificiale si muovono nell'ottica di
costruire sistemi complessi assegnando semplici regole di controllo locale da
cui emergono spontaneamente comportamenti complessi globali, in modo analogo è
interessante vedere la regolamentazione delle reti come un comportamento
emergente in primo luogo dal sistema risultante dalle interazioni tra individui
che si auto-controllano in base alle proprie scelte individuali di relazione
sociale e quindi ai loro successi e insuccessi privati di interazione sociale.
Da tali interazioni individuali emergono spontaneamente le 'netiquette' che
divengono il 'patrimonio sociale' specifico di una singola rete telematica non
scritto ma praticato di fatto. L'unione di più reti (dunque il passaggio da un
sistema di rete a un altro sistema di rete che lo contiene almeno parzialmente)
crea analogamente l'emergere spontaneo di regole di comportamento globali, non
scritte che derivano dalla collaborazione di unità che si auto-controllano.
Unità nel senso analogico (e quantistico) anziché digitale: ovverosia un'entità
'indeterminata' e fluttuante di cui si può descrivere lo stato solo nel momento
dell'osservazione e solamente considerandolo all'interno di un insieme di
relazioni. Non dunque un valore discreto e determinato. Un concetto di unità
descrivibile, per fare un paragone, come l'improvviso emergere di un sistema di
organizzazione come avviene per un uragano: riconoscibile ma impredicibile nel
senso della complessità e non linearità del sistema.
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L'opera
Nei primi anni venti il filosofo C.D.Broad coniò la definizione di 'proprietà
emergenti' per quelle proprietà che emergono a un certo livello di complessità,
ma che non esistono a livelli inferiori (Capra, op. cit., pag. 39). Come è
possibile attribuire dei concetti, dei significati a un singolo oggetto (opera
d'arte) quando questi 'emergono' chiaramente dalle relazioni messe in atto in
sistemi complessi tra enti molteplici? Un'emozione, sia il provocarla che il
riceverla è un atto correlato e che non potrebbe avvenire se non grazie a tali
correlazioni tra più eventi, stati e cose. Oltre all'oggetto che la provoca e al
contesto in cui la percepiamo, è fondamentale lo 'stato' interno di noi che la
riceviamo. Se non fossimo predisposti in tal modo non saremmo in grado di
riceverla e l'essere predisposti in un determinato stato è il risultato di una
quantità enorme di fattori che hanno ognuno pari dignità e valore nel provocare
tale emozione. Dunque il valore sta nell'oggetto solo in relazione a ciò che ha
provocato il nostro stato e al contesto in cui è inserito. Dunque non è
possibile comprare un'opera pagando un singolo oggetto, e moltissimi enti, cose
e eventi potrebbero rivendicare una parziale paternità dell'opera acquistata e
chiedere dunque di essere ricompensati come colui che ha prodotto
'semplicemente' l'oggetto.
L'arte evolutiva, prodotto di software di tipo neurale o di ricerche sulla
vita artificiale, se proposta come immagine del risultato non è coerente al
nuovo paradigma scientifico. La coerenza con i nuovi paradigmi della scienza
implica un tipo di oggetto artistico fluttuante, rizomatico e in divenire. In
tal senso non sono opera d'arte le immagini di arte evolutiva, ma lo sono in
modo più chiaro, coerente e operativo la struttura rizomatica dei movimenti di
controinformazione, i centri sociali, le reti telematiche, le ricerche
scientifiche e le relazioni messe in atto tra gli scienziati. L'arte evolutiva
non è il feticcio, l'ombra della ricerca 'seria' degli scienziati, ma alla pari
e insieme agli scienziati, è ogni sistema che produce relazioni e ricerche
coevolutive di tipo mutualista.
Per analogia il risultato del convegno del Pecci del 1995 dal titolo "Diritto
alla comunicazione nello scenario di fine millennio" (vedi Strano Network, "Nubi
all'orizzonte", 1996) è stata la conferma di voler difendere il criterio di
'auto-determinazione' delle regole di comportamento delle singole reti
amatoriali italiane. L'unione libera e auto-regolamentata di tali reti è
l'emergere di un'opera d'arte. Un fenomeno spontaneo a cui partecipano un numero
complesso di fattori e individui. Un'opera d'arte che non si appende alle pareti
del museo, ma che può vivere in determinati momenti grazie 'anche' all'attività
del museo. In questo senso il convegno del Museo Pecci è stato un contributo
all'esistenza di un'opera d'arte collettiva. Questa è la funzione dei musei nel
2000. Tale idea di opera implica la necessità di rispondere a una domanda: Come
si riconosce un sistema opera d'arte? Devo dire che questa domanda imposta di
per sé il problema nel modo sbagliato. Se infatti c'è stato un cambiamento
paradigmatico di rilievo nell'arte dagli anni '70 a ora esso è stato nel fatto
che coloro che proseguivano le ricerche artistiche precedenti, o ne facevano di
nuove, lo facevano al di fuori del sistema dell'arte e (più o meno
consapevolmente) senza porsi problematiche 'specificatamente' artistiche. L'arte
recente (ma in realtà tutto il secolo ha vissuto l'evolversi di ricerche
artistiche in tale direzione) si sviluppa fuori dal contesto ufficiale dell'arte
e 'soprattutto' non si pone problematiche di tipo artistico. In tal senso la
domanda precedente pone l'opera all'interno di un sistema estetico che non è
quello praticato 'di fatto' nell'arte contemporanea. Ma cercherò comunque di
darle una risposta in modo sintetico: L'opera è un sistema di relazioni in
coevoluzione mutualista. 1) Appare e viene riconosciuta a e da coloro che vi
sono coinvolti e che in modo più o meno determinante contribuiscono alla sua
emergenza. L'evidenza di tale sistema è qualcosa di descrivibile tramite il
linguaggio, ma è anche uno stato d'animo collettivo percepibile in modo conscio
o inconscio a livello individuale. L'urgenza del convegno del Museo Pecci era
determinata da una necessità da una parte 'contingente' alle recenti evoluzioni
legislative italiane che minavano le libertà delle reti amatoriali, dall'altra
dal riconoscimento di una sensibilità collettiva nuova che potenziava i rapporti
sociali attraverso le reti garantendone alcune qualità fondamentali quale è
innanzi tutto il diritto alla comunicazione e dunque un uso delle nuove
tecnologie mediali finalizzato a ciò. 2) La coevoluzione messa in atto
attraverso le relazioni del sistema/opera d'arte deve essere di tipo mutualista,
ovvero 'deve' produrre un beneficio per ciascuna delle parti che viene coinvolta
in essa. Lo scambio non deve essere di tipo simbiotico, ma mutualista. Tale
caratteristica è il risultato di una coevoluzione tra enti e individui. Tale
coevoluzione non segue un'ipotetica via darwinista di selezione naturale, ma è
meglio inquadrata in un'ipotesi lamarkiana di finalità e consapevolezza. Nello
scambio non sopravvive il più forte, ma gli enti in causa sono in grado di
auto-adattarsi per garantire il proprio beneficio locale in relazione
all'evoluzione del contesto globale. In tale ottica lo scambio dei saperi a
livello sociale deve avere e essere portatore di senso e tale senso è tale solo
se implica il beneficio di ogni individualità. Le mutazioni individuali non
devono essere un risultato casuale all'interno del sistema evolutivo, bensì
quello caotico e complesso emergente da scelte e dal libero arbitrio individuale
(Kant è stato forse non a caso uno dei primi a usare il termine
autorganizzazione).
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Alla visione 'meccanica' dell'opera ne va sostituita una complessa per cui la
materia dell'opera sia un insieme di relazioni facenti parte del mondo, che
vengono attivate nel tempo da ogni ente che le determina e che sono in grado di
evolvere secondo dinamiche non lineari e complesse in comportamenti emergenti
che sono la parte apparente del 'lifeware', ciò che (in ogni momento in modo
diverso) siamo in grado di esperire nel mondo fenomenico. D'altronde la parte
apparente del lifeware non potrebbe emergere se non esistesse la sua parte
materiale che è costituita dalle relazioni tra gli enti che ne fanno parte.
L'opera è il lifeware, un'entità inseparabile, e in divenire, composta da
relazioni e comportamenti emergenti consecutivi a tali relazioni.
L'arte del passato si è evoluta in simbiosi mutualista con tale paradigma
meccanico, riflettendone nel campo dell'estetica la sostanza centrale. L'arte
contemporanea, ma in buona parte l'arte del XX secolo, sta riflettendo i segni
di una mutazione in atto nel paradigma della meccanica. Raggiunto il suo punto
di crisi con l'intelligenza artificiale (con il suo fallimento) la scienza sta
evolvendo in un nuovo comportamento paradigmatico che la vede spostare il suo
centro dalla meccanica classica alla dinamica non lineare. La scienza sta
manifestando un interesse crescente verso le materie biologiche, e il
comportamento dei sistemi viventi. Per essere più precisi, il confine della vita
si è esteso alla fisica e alla chimica (dunque all'inorganico). E' stato assunto
come possibile parziale definizione della vita la scoperta di comportamenti
emergenti nelle forze e nella materia. Comportamenti che evolvono spontaneamente
un proprio carattere autonomo, auto-organizzato, caotico ed infine e soprattutto
auto-replicabile. Le relazioni all'interno di sistemi complessi diventano
oggetto della ricerca scientifica e con essi coevolve mutualisticamente un nuovo
paradigma artistico che ha nell'equazione arte=vita la sua più alta ed efficace
descrizione. L'arte del novecento esce dall'oggetto e dalla sua logica meccanica
di rapporto artista->oggetto->spettatore per estendersi al contesto,
all'ambiente e alle innumerevoli relazioni materiali e semantiche che tale
uscita comporta. L'opera è un tutt'uno con le relazioni messe in atto tra
persone, enti, cose e situazioni in esse inseparabile e da esse indistinguibile.
Nel nuovo paradigma artistico contemporaneo la critica diventa parte integrante
dell'opera.
Cos'è creativo e cos'è artistico. L'artisticità emerge spontaneamente dalla
connessione di unità creative. L'artisticità è una qualità del sistema, non
dell'unità che vi fa parte. L'opera d'arte esiste nel momento in cui essa è un
sistema di connessioni di unità creative che liberamente e spontaneamente fanno
emergere la 'loro' definizione di 'artisticità', che si differenzierà da quella
emergente da un sistema vicino e che potrà comunque cambiare e mutare evolvendo
nel tempo. Coloro che nel futuro saranno unità evolute all'interno o attraverso
tale sistema, porteranno in se la 'traccia' genetica di tale accordo collettivo
e di fronte a un elemento prodotto nel passato da tale sistema e da tale sistema
definito artistico saranno in grado di riconoscere e abbinare la struttura
morfologica di tale prodotto con la traccia genetica che loro possiedono. Questo
riconoscimento, questa messa in atto degli archetipi collettivi non possono
essere fraintesi per un giudizio di 'artisticità' intrinseca all'oggetto, ma
quanto il riconoscere in tale oggetto il riflesso della vera opera, ovverosia
del sistema di connessioni di unità creative e del loro accordo 'temporaneo' e
'transitorio' di ciò che per loro era reputato artistico.
I memi sono la definizione di una tipologia riproduttiva dell'individuo
attuata attraverso modelli culturali (concetti, idee, ...) che si propagano nel
cervello delle persone. Si definiscono come fattore che contribuisce a
controllare il carattere evolutivo della selezione naturale. Oltre ai geni e al
genoma, abbiamo dunque i memi. Vorrei aggiungere una possibile forma strutturale
da integrare nell'insieme di forze che caratterizzano l'evoluzione della specie.
Tale forma può essere vista come una via di mezzo tra l'idea di 'sistema' e
'bacino d'attrazione' vuole indicare quei sistemi che fungono da 'hardware
strutturale' dove i memi sono in grado di ricombinarsi e evolvere. Forse il
termine lifeware può indicare quei sistemi che, grazie alle loro qualità
strutturali, sono in grado di far 'coesistere' e 'coevolvere' al loro interno
forme diverse memiche, morfologiche, organiche, ... Virtual Town BBS, le
relazioni e quello che ha messo in atto dal 1990 a ora, tutto ciò è un
'lifeware', in quanto non è un patrimonio genetico di istruzioni da eseguire
(genoma), non è un concetto (meme), ma è il sistema 'neutrale' e 'orizzontale'
in grado di fungere da una parte da 'bacino di attrazione' di forze diverse e
dall'altro di garantire a ognuna di queste forze, attraverso la loro autonoma
forma di libero arbitrio, di interagire tra loro mutandosi e coevolvendo
reciprocamente. Una strategia è un 'lifeware'. Un 'movimento', un 'collettivo' è
un 'lifeware'. Di fatto, le opere d'arte di questo secolo si sono indirizzate
verso la realizzazione di 'lifeware' anziché di 'oggetti' d'arte. L'opera si è
smaterializzata. Si è concentrata sulla sua duplicazione e distribuzione.
L'opera si è integrata in modo mutualistico con le strategie ad essa collegate.
Il concetto di artista come individuo unico si è disperso all'interno da una
parte delle strategie di mercato che pilotavano e creavano il contesto delle sue
opere e dall'altra nei movimenti culturali, fuori dal mercato, messi in atto
dalle idee e azioni quotidiane dell'artista e di coloro con cui egli stabiliva
connessioni. L'oggetto d'arte ha perso progressivamente valore riducendosi a
pedina di un sistema complesso di connessioni coevolutive che segnano e
coordinano l'evoluzione della storia dell'arte contemporanea. L'opera d'arte è
diventata la capacità di creare un sistema, un 'lifeware' in grado di far
emergere un ordine stabile all'interno di una molteplicità complessa e caotica
di unità organiche e concettuali, che nella loro connessione reciproca trovano
l'unica via possibile per evolvere. Tali sistemi in bilico tra ordine e caos
sono in grado di far emergere 'spontaneamente' la vita garantendo al tempo
stesso la totale autonomia a ogni unità che entra a farvi parte.
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Tutto il XX secolo è non solo nella scienza, ma anche specificatamente
nell'arte, la storia di idee e movimenti artistici che hanno spinto verso tale
concetto di opera d'arte. Le necessità della separazione sono necessità di
modelli culturali e caste sociali del passato. Il nuovo millennio si apre con le
basi scientifiche e culturali pronte ad accogliere un nuovo paradigma di opera
d'arte che non implica la separazione, ma in cui ogni categoria (artisti,
gallerie, riviste, musei, collezionisti, pubblico) sono tutti insieme
indissolubilmente un'unica opera d'arte. Ognuna di tali categorie si rilivella
per coevolvere secondo dinamiche orizzontali con le altre. Da ciò consegue un
sistema di relazioni che non ha più al suo centro la conservazione dell'oggetto
fisico o una sua denotazione di valore, bensì la necessità che esso (ciò che
esso significa) circoli all'interno del sistema di relazioni. Ogni cosa diventa
soggetta a evoluzioni per crescere come un organismo vivente unico insieme ad
ogni altra. I musei dunque non sono più il luogo della 'conservazione', ma il
luogo della 'distribuzione'. Il concetto di museo si apre a ogni dinamica di
relazioni che 'difenda' la crescita parallela di ogni ente che partecipa alla
coevoluzione dell'opera. Gli investimenti sono dunque ripensati in base a nuove
logiche culturali per potenziare le possibilità che ogni persona partecipi
attivamente e in 'completa autonomia' alle proposte e alla loro messa in atto di
nuove forme coevolutive di relazioni. Lifeware non è una 'rivoluzione'
dell'attuale sistema dell'arte. L'idea di lifeware non prevede la sparizione
delle attuali categorie artistiche (artista, galleria, museo, rivista, ...), ma
aggiunge all'attuale sistema una mutazione fondamentale che implica un diverso
modello di relazioni tra tali categorie. Le categorie rimangono, ciò che cambia
è il loro valore di 'connessione' e il 'peso' che esse hanno all'interno di tale
nuova rete di relazioni. Il gene mutante che si aggiunge al DNA di tale
organismo amplifica lo sviluppo delle connessioni e la loro 'bidirezionalità'.
Prevede che ogni unità sia un'unità con una propria 'autonomia' specifica, ma
che sia contemporaneamente in grado di partecipare, entrare in relazione e
'produrre' coevoluzione con ogni altra unità del sistema. Una modifica
processuale e non strutturale è in grado di garantire quel livello di casualità,
indeterminismo e reciprocità che sono necessari alla coevoluzione di un sistema.
Joe Hanson che crea sfere di vetro al cui interno coevolvono organismi gioca
a fare il Dio che crea i sistemi coevolutivi. Le unità di ogni sistema devono in
realtà avere una loro autonomia e capacità di libero arbitrio che gli permetta
di scegliere quando e in quale sistema coevolvere. L'opera intesa come sistema
coevolutivo non viene creata da un singolo ma viene creata dal basso e emerge
spontaneamente attraverso la libera scelta. Ci si può trovare a far parte di
un'opera senza che ci se ne fosse accorti in precedenza, ma si deve essere in
ogni momento liberi di sottrarsi ad essa. E' solo grazie a questo grado di
libertà e quindi di diversità che il sistema potrà mutare e coevolvere.
In tale ottica va completamente rivista ogni specifica 'struttura' del
sistema dell'arte: - Il museo non è più il contenitore di opere d'arte, ma è
parte esso stesso di una o contemporaneamente più opere ed esiste nella capacità
di creare relazioni tra oggetti, individui, eventi, discipline e concetti. - Gli
investimenti non devono più andare verso la 'conservazione' o presentazione del
singolo oggetto o della singola teoria, ma verso la conservazione o
presentazione del sistema di relazioni e di strategie che esso sottende, messe
in atto simultaneamente da un insieme di enti e ambiti differenti. Se l'opera è
il risultato temporaneo di un mutamento comportamentale o mentale, la
conservazione dell'opera significa la conservazione (in senso omeostatico)
dell'equilibrio per cui grazie a specifici fenomeni di dissipazione si mantiene
tale nuovo modello comportamentale o mentale in atto. E dunque gli investimenti
vanno saputi fare distribuendo denaro a ogni individuo o situazione che produce
accadimenti necessari all'esistenza del sistema. Ogni opera diventa una piccola
forma di 'comunità' o 'sistema' all'interno o in relazione con comunità o
sistemi più o meno ampi. Le comunità possono essere virtuali, così come le
relazioni stesse.
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I movimenti
L'arte evolutiva deve essere cooperativa e deve garantire benefici alle unità
che cooperano nel sistema. Gli esempi migliori di questo genere di sistemi li
'viviamo' quotidianamente nella vita. Ecco perché la linea artistica che ha
permeato e reso significativa l'arte del '900 è quella che si può riassumere
nell'indistinguibilità tra arte e pratiche comunitarie. E' l'arte dei movimenti.
Movimenti artistici, ma anche movimenti controculturali e sociali. Sistemi che
hanno realmente fatto emergere spontaneamente e in modo auto-organizzato nuovi
comportamenti, sensibilità, significati da cui ha tratto beneficio l'intera
umanità. Oltre ai significativi esempi delle opere/evento, degli happening,
delle 'situazioni' messe in atto da individui che hanno cooperato tra loro in
ambiti al confine tra arte e vita mantenendo un grado di stabilità data dalla
continua coevoluzione delle singole unità, i movimenti controculturali e tutte
le forme di relazione messe in atto a livello sociale (quali sono ad esempio
stati il fenomeno degli scrittori sui muri, il punk, il cyberpunk, etc.), i loro
luoghi e forme di organizzazione spontanea, sono l'esempio migliore fino ad ora
prodotto e rilevabile non solo a livello sociale ma anche scientifico e
artistico di modello coevolutivo. Senza avere obbiettivi di tipo scientifico,
tali 'movimenti' rappresentano la realizzazione pratica dell'ipotesi di lavoro
delle reti di tipo bottom-up, dei sistemi caotici e non lineari. Laddove tali
teorie si scontrano con i limiti del linguaggio usato nel formularle, il
'movimento' nella sua capacità di transitare e far uso di linguaggi molteplici,
di garantire l'autonomia individuale e far emergere comportamenti collettivi che
non sono patrimonio specifico di nessun soggetto in causa, tale modello
spontaneo e collettivo è l'esempio migliore che si possa fornire per descrivere
l'idea di arte coevolutiva. E' con gli esempi di cui il nostro secolo è pieno
nel settore artistico (le avanguardie prima e dopo la seconda guerra mondiale),
con le recenti ricerche scientifiche, con i modelli sociali tipici dei
'movimenti', è guardando e studiando tali esempi che le istituzioni devono
attualmente confrontarsi sia nel campo sociale che nel campo artistico per una
revisione generale dei propri metodi e modalità di esistenza. Le istituzioni
devono entrare nelle dinamiche delle cose, non proporre o imporre modelli
cristallizzati e riduzionisti. Le istituzioni, devono lasciarsi 'sommergere'
dalla collettività, dissiparsi in essa, vivere nell'anonimità della criticità
organizzata. Le istituzioni devono emergere spontaneamente dai sistemi di
relazione e autopromuoverne i benefici. Le norme devono emergere direttamente
dal basso ed essere in grado di coevolvere con la complessità caotica del
sistema. Sviluppiamo la scienza, l'arte e la cultura aprendone i confini alla
collettività, distribuendone i saperi in modo indifferenziato e permettendo che
tali saperi ritornino indietro arricchiti mutati e per mutare con le molteplici
esperienze che solo i sistemi aperti possono garantire. Definiamo l'opera nella
promozione di senso della collettività e nell'evoluzione cooperativa di tale
senso. Definiamo l'opera nei sistemi di relazioni che in modo irriducibile ma
dinamico producono nuove forme di auto-organizzazione mutualista. Integriamo
dunque ai colori della tavolozza le teorie della scienza, le relazioni sociali,
e ogni disciplina che possa contribuire alla realizzazione di infiniti quadri
collettivi sulle trame delle tele della vita.
Tommaso Tozzi @
Arti-Party
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