ARTIVISM INTERVISTA A TOMMASO TOZZI by Tatiana Bazzichelli
1. Nel testo "Cotropia: Lifeware e
coevoluzione mutuale" tu proponi una radicale
trasformazione del concetto di opera d’arte, facendo
interagire tra loro campi di studio come la fisica, la
biologia, l’arte. Perchè secondo te si è arrivati ad un
punto in cui il concetto di opera d’Arte con la A
maiuscola non dà più risposte nel panorama artistico, e
si sente l’esigenza di andare al di là dell’oggettualità
e dell’unicità del prodotto artistico?
Io non credo in una ineluttabile
tendenza verso il progresso della ricerca artistica;
attraverso il mio operato cerco comunque di portare
avanti un discorso di continuità con il passato e con
esperienze precedenti che non considero superate, bensì
una componente essenziale del lavoro che porto
attualmente avanti. Non voglio pensare che quello che
faccio sia completamente separabile da alcuni percorsi
precedenti, ma lo vedo inserito in una cornice di
esperienze collettive, che unisce il mio operato a
quello di altri.
Io penso che le divisioni appartengano
più al mondo linguistico che a quello reale.
Se proprio si vuole operare uno
spartiacque fra diverse esperienze artistiche, inizierei
il discorso sottolineando che, attraverso determinate
forme operative dell'arte, vengono proposti esempi di
come si possa utilizzare il linguaggio in modo liberato.
Durante il periodo della Modernità, si svolge una
ricerca che sperimenta nuove forme possibili del
linguaggio artistico e si tenta di approdare a nuovi
traguardi espressivi, ma queste tracce innovative
vengono concretizzate in oggetti artistici proposti come
modelli da seguire, limitanti e univoci. Da tracce
possibili dell’opera tali oggetti vengono interpretati
come l’opera stessa; vengono caricati di un grosso
valore e offuscano tutto quello che può essere
realizzato in altri modi e secondo altri punti di vista.
Lo sguardo diventa parziale e separato.
A questa tipologia operativa di
intervento nel campo dell'arte secondo me se ne affianca
un'altra, che invece di fare proposte tramite oggetti,
cerca di lavorare per costruire o garantire l'esistenza
di spazi dove sia possibile la sperimentazione e la
produzione di modelli linguistici innovativi e liberi.
Ad una ricerca della verità assoluta
che attraversa il progetto moderno, si contrappone una
ricerca della libertà, che tende a non porsi in un unico
campo disciplinare. Tutto un filone di esperienze
artistiche di questo secolo tenta di evadere la
costrizione all’interno di un ambito prettamente
artistico; non si vuole collocare univocamente nel
circuito dell'arte, ma vuole introdurre pratiche e
produrre nuove tipologie culturali, costruire strutture
e relazioni che determinino delle conseguenze non solo
nel sistema dell'arte, ma anche in quello più in
generale sociale, culturale, economico, politico,
giuridico, etc.. Attraverso tali pratiche tutti questi
ambiti possono essere intaccati e il loro evolversi può
a sua volta determinare conseguenze nel campo dell'arte.
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2. In che senso sostieni che l’opera
d’arte è diventata la capacità di creare un sistema, un
lifeware in grado di far emergere un ordine stabile
all’interno di una molteciplità complessa e caotica di
unità organiche e concettuali che coevolvono
mutualisticamente? Che rapporti ci sono fra le tue idee
e la teoria del Caos e cosa intendi per coevoluzione
mutuale dell’opera d’arte?
Lifeware è una parola composta da
"life" e "ware", dove "ware" è quella parte che viene
aggiunta ad "hard" e "soft" per formare le parole
"hardware" e "software". In questo senso la parola
"lifeware" vuole ricondurre ad una nuova tipologia di
macchine. Una macchina che, attraverso il contributo
dell'organico, superi tutta una serie di limiti che sono
insiti nei principi matematici ed informatici attuali e
nell'odierno funzionamento del computer. Nelle macchine
di Turing, ovvero il modello di base di funzionamento
dell’attuale personal computer, vi sono dei limiti
(dimostrati da teoremi logici come quello di Godel) per
il fatto che in certe situazioni la macchina non può
essere in grado di decidere in modo certo. Uno
scienziato di nome Penrose cita alcuni studi in cui si
mette in risalto questo limite delle macchine.
Nell'ambito della fisica si considera il principio di
indeterminazione quantistica per dimostrare l’esistenza
di stati che non possono essere descritti come veri o
falsi. Nel campo informatico questo viene esemplificato
da situazioni di indecidibilità della macchina in cui
non è possibile scegliere fra uno o zero oppure fra sì e
no (la logica su cui si basano le macchine Turing, cioè
i computer).
Ciò che avviene in questi casi è che la
macchina si blocca, non potendo accettare di fornire una
risposta che prevede la simultaneità del sì e del no,
cosa che invece è prevista dalle leggi della fisica
quantistica e dal principio di indeterminazione.
Tornando al discorso su "lifeware",
rispetto alla divisione che viene fatta attualmente fra
"hardware" e "software", c'è la volontà di aggiungere un
altro livello che è quello della presenza dell'organico
nella macchina, per garantire uno stato di
indeterminazione nel suo funzionamento. Penrose
individua tali stati di indeterminazione quantististica
nel modo in cui è costituita la cellula del sistema
neurale. In certe parti del citoscheletro avverrebbe la
trasmissione delle informazioni attraverso stati
quantistici. Questa modalità di trasmissione di
informazioni non si realizzerebbe quindi secondo il
modello di risposta binario altamente deterministico
tipico della macchina di Turing e in ciò si
distinguerebbe l'individuo per l’avere un comportamento
che non potrebbe mai essere assimilabile a quello della
macchina di Turing.
Utilizzando tutti questi concetti
metaforicamente, il "lifeware" vuole concretizzare
nell'ambito artistico l'ipotesi che possa esistere un
sistema di relazioni sociali e in ciò una forma di
estensione dell'opera d'arte, che non sia determinabile
in modo certo, ma che si verifichi in base all'evolversi
spontaneo delle relazioni fra soggetti.
Il rapporto con la teoria del Caos sta
nel concetto di proprietà emergenti e cioè riguarda il
processo secondo cui l'evolversi delle forme che
assumono progressivamente determinati sistemi non appare
determinato e programmato dall'alto verso il basso in
modo simbolico, ma appare la conseguenza diretta di
un'azione spontanea che parte dal basso. Questa teoria
prende in considerazione fenomeni ordinati che emergono
dal Caos in modo non prevedibile.
Quando io parlo di coevoluzione mutuale
mi riferisco ad un sistema auto-organizzato in
espansione, in cui vi sia un equilibrio per cui tutte le
parti che appartengono al sistema traggano beneficio
senza essere in alcun modo sussunte dalle altre parti.
Tutti questi discorsi vogliono
intendere una forma d'arte che possa coevolvere
mutualisticamente conseguentemente all'azione spontanea
e totalmente libera proveniente dal basso e possa
svilupparsi in maniera autogestita in base alle
relazioni orizzontali instaurate dagli individui stessi
che la originano.
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3. Nello stesso testo sostieni che con
il termine Cotropia si intende un’evoluzione
cooperativa, mentre Lifeware vuole rappresentare un
elemento di consapevolezza e libero arbitrio: in che
senso la forma di arte che utilizza le tecnologie
digitali, può valorizzare il libero arbitrio individuale
(e collettivo), contrariamente al passato?
Può essere obiettato all'ipotesi che la
macchina abbia una coscienza, l'esempio di Searle della
scatola cinese. Tale esempio si può ricollegare alla
modalità di trasmissione dell’informazione con il primo
telegrafo elettrico, che presupponeva un operatore
costretto a trasmettere segnali ad altri operatori senza
comprenderne il senso, in quanto questi segnali dovevano
essere codificati per garantire la sicurezza
dell'informazione. Già in quel periodo ci si rende conto
della distinzione fra semantica e segnaletica e appare
chiaro che l'operatore può trasmettere segnali, pur non
essendo consapevole del loro contenuto. Lo stesso
principio viene considerato da Searle facendo l'esempio
di una stanza in cui si trova un individuo che non parla
il cinese, il quale attraverso uno sportello riceve da
alcune persone delle domande in cinese a cui lui deve
dare delle risposte nella stessa lingua. Questo
individuo possiede un libro scritto in cinese in cui si
trova la corrispondenza fra tutte le forme possibili di
domanda e le possibili risposte. Lui per rispondere alle
domande che gli giungono guarda la domanda e vi
attribuisce meccanicamente la risposta, senza capire
nulla del suo significato, senza averne coscienza.
In questo modo può sembrare che la
persona parli il cinese e che comprenda il significato
dei quesiti: in realtà lui si comporta come se
padroneggiasse la lingua, ma non ne è affatto a
conoscenza e non agisce quindi in modo consapevole.
Questa è una metafora per far capire
come funzionano le macchine.
Se si vuole portare questo discorso nel
piano dei rapporti sociali, si può far riferimento a
comportamenti a cui siamo indotti senza esserne affatto
consapevoli e che non corrispondono alla nostra volontà
cosciente. Lo stesso avviene nell'uso inconsapevole di
determinati segni linguistici. Il libero arbitrio
presuppone invece una consapevolezza sul modello
comunicativo utilizzato e quindi porta ad una
sostanziale differenza rispetto alle modalità di
trasmissione delle informazioni proprie delle macchine e
di quei sistemi sociali che impongono dei rigidi modelli
attraverso cui veicolare la comunicazione.
Secondo me l'opera d'arte si ha quando
si costruiscono dei sistemi in cui gli individui possono
creare i loro modelli sociali, culturali, espressivi e
comunicativi in modo spontaneo e consapevole, senza che
essi siano indotti dall'alto. Le nuove tecnologie non
rappresentano l'unico mezzo attraverso cui questo può
avvenire, pur possedendo delle caratteristiche che
favoriscono lo scambio libero e orizzontale. Il motivo
per cui parlo di lifeware e collego "life" al suffisso
"ware" che riguarda una forma tecnologica, è perchè io
considero tecnologia anche la parola, così come molti
altri aspetti considerati "naturali" della vita. Secondo
me i termini linguistici sono forme non naturali apprese
per permettere la costruzione del senso. Per me è
assurdo continuare a dividere a tutti i costi il
naturale dall'artificiale, poichè fin da quando si nasce
siamo in qualche modo educati a tecniche e tecnologie
non solo attraverso l'uso di certi strumenti, ma anche
attraverso l'uso di determinati comportamenti
comunicativi. Il "lifeware" si innesta in questo ambito
tecnologico con la sostanziale differenza di cercare un
apprendimento fondato sullo scambio interattivo e
paritario. Il ritenere necessario che gli standard della
comunicazione siano il risultato di una cooperazione e
coevoluzione collettiva e non la decisione verticale di
un’elité di addetti ai lavori o di potentati economici.
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4. In che senso VIRTUAL TOWN TV BBS è
un lifeware, mentre non è un patrimonio genetico di
istruzioni da seguire (genoma) nè un concetto (meme)?
Potresti spiegarmi bene la differenza fra lifeware,
genoma e meme? Come si inseriscono poi in un discorso
artistico?
La parola "genoma" definisce il
patrimonio genetico di ogni individuo, è la mappatura
del sistema genetico di ogni individuo. Sia il "gene"
che il "meme" si rapportano da una parte ad un'idea di
trasmissione di informazione, dall'altra al concetto che
questa informazione venga scritta, sia conservata e sia
identificabile in un luogo ben preciso, in modo
deterministico e che sia dunque fissata secondo
determinate regole e istruzioni rigide da seguire.
Queste regole già scritte
determinerebbero nell'individuo particolari
comportamenti, modi di essere, modalità di sviluppo. Il
"meme" sarebbe l'equivalente del gene per quello che
riguarda le idee. Richard Dawkins considera la
possibilità che esista una forma di trasmissione delle
idee attraverso delle forme genetiche del sapere che
sarebbero in grado di fissare le regole combinatorie del
senso. I memi sono per lui quindi unit‡ minime che
rappresentano i codici genetici della cultura e sono la
definizione di una tipologia riproduttiva di una parte
dell'individuo attuata attraverso modelli culturali
(idee) che si propagano all'interno del cervello delle
persone. Dawkins sostiene che dentro la mente si
troverebbe una sorta di codice genetico che verrebbe
trasmesso producendo determinate tipologie di senso e
costruendo determinati tipi di forme mentali e apparati
di idee.
Come il gene produce una struttura
corporea, il meme dovrebbe produrre una struttura
ideologica. In entrambi i casi trova riscontro l'idea
che avvenga una trasmissione di unità minimali che
preesistono deterministicamente.
Il lifeware pur accettando l’esistenza
di forme ricorrenti e di analogie, vuole rifiutare
l’idea di assoluto e di ineluttabile. Il lifeware è per
me una forma di trasmissione secondo cui la stessa
entità che evolve muta adattandosi progressivamente alle
diverse condizioni in cui si viene a trovare. Non esiste
un rapporto causale rigido, per cui se si ha A si avrà
necessariamente B, ma la presenza di A, B, C, e D darà
luogo a qualcosa di diverso sia da A, che da B, che da
C, che da D. Prenderà forma un'entità impredicibile
attraverso un processo indeterminato. Soprattutto il
lifeware non è un motore operativo che determina
conseguenze necessarie, ma è un luogo in cui partecipano
diversi motori operativi in modo libero. Il fatto che
possa esistere un luogo in cui possano agire diverse
entità in modo spontaneo, produrrà determinate
conseguenze e darà origine a determinati saperi che non
saranno fissi e immutabili, ma apparterranno alla
contingenza del momento. Le ricorrenze saranno il
risultato di un riconoscimento e di un accordo non
scritto in una legge della natura quanto nelle forme
della reciprocità.
Nel panorama artistico esiste un'idea
di arte che vuole fissare dei valori universali, che
vuole ricercare delle qualità innate in determinate
opere, che secondo tale ipotesi evocherebbero
determinate sensazioni nello spettatore e produrrebbero
in lui particolari conseguenze esemplificando dei
concetti universali. Tale concezione di opera d'arte può
essere paragonata all'idea del codice genetico. Io non
credo all'esistenza di questo tipo di opere, o meglio,
credo che vi sia un equivoco nell’approccio. Credo
innanzitutto che le opere intese come oggetto siano il
risultato di una serie di relazioni e considero opera il
sistema di relazioni che porta a produrre tali oggetti,
non gli oggetti stessi. Una volta che questo sistema di
relazioni muta per fattori contingenti (l'evoluzione nel
tempo delle persone, le diverse modalità di produzione e
trasmissione della cultura, la differente costruzione
della memoria collettiva), le tracce oggettuali non
rappresenteranno più quel determinato sistema di
relazioni, ma si creerà un meccanismo di scambio con
nuovi sistemi di relazioni propri della nuova situazione
biologica e culturale. Non credo che gli oggetti possano
continuare a trasmettere gli stessi valori immutati nel
tempo. A questo concetto di opera d'arte oggettuale che
pretende di veicolare dei valori assoluti nel tempo, si
sostituisce quello di "lifeware" che vuole valorizzare i
sistemi di relazioni contingenti, considerando il
sistema di relazioni come assoluto rispetto a se stesso.
VIRTUAL TOWN TV BBS è quindi un
"lifeware" perchè è un sistema orizzontale di relazioni
messe in atto dal 1990 che funge da una parte da bacino
di attrazione di forze diverse e dall'altra garantisce a
ognuna di queste forze, attraverso la loro autonoma
forma di libero arbitrio, di interagire fra loro
mutandosi e coevolvendo reciprocamente in base alla
contingenza del momento. Attualmente il computer di
Virtual Town TV è stato spento, ma il suo lifeware
continua a coevolvere attraverso altre forme digitali,
organiche e mentali.
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5. E’ possibile secondo te effettuare
delle pratiche reali di trasformazione sociale e
culturale attraverso l’uso del nostro corpo nell’arte,
ricordando il percorso che dagli happening delle
neoavanguardie degli anni ‘60 arriva alle pratiche
performative collettive in Rete? E secondo quali
modalità questo avviene?
Io sono d'accordo con questa idea, dato
che secondo me esiste una continuità con le esperienze
artistiche del passato. Quello che di queste esperienze
ci giunge è un qualcosa di vivo, non un semplice oggetto
statico attraverso cui prendere atto del passato. E' un
elemento vivo che noi elaboriamo nel modo in cui ci
confrontiamo con l'attualità.
Una delle caratteristiche che si può
individuare in questo filo rosso che lega gli happening
degli anni '60 alle pratiche performative collettive
attuate in Rete, è il concetto di autogestione.
Per me il corpo è un’unità corpo-mente
in cui le azioni corporee non sono distinguibili da
quelle mentali, bensì parte integrante. Credo che ciò
che accomuna le pratiche che si stanno sperimentando
oggi con quelle attuate in passato, sia il tentativo di
costruire delle strategie di liberazione e il concetto
di autogestione. Quest'ultimo concetto appartiene alle
modalità di presentazione degli eventi, degli happening
e delle pratiche artistiche performative in Rete che
cercano di costruire nuovi percorsi sociali secondo
modalità autodeterminate.
6. Sempre nel testo Cotropia tu scrivi:
La linea artistica che ha permeato e resa significativa
l’arte del 900 è quella che si può riassumere
nell’indistinguibilità tra arte e pratiche comunitarie.
E’ l’arte dei movimenti. Secondo te qual è il filo rosso
che lega le pratiche performative delle opere/evento con
l’azione dei movimenti controculturali come il fenomeno
degli scrittori sui muri, il cyberpunk e tutte le TAZ
attuali?
Innanzi vorrei sottolineare che la mia
affermazione non voleva distinguere tra pratiche
artistiche (e definire in tal senso le opere/evento) e
non artistiche (le TAZ), bensì affermare che le due cose
sono indistinguibili, o meglio che l’artisticità è una
qualità di entrambe le pratiche. Puntualizzato ciò
sicuramente c'è un rifiuto del sistema di scambio
comunicativo basato sulla merce. Questo significa che
chi va a fare i graffiti sui muri, lo fa di solito
scollegato da ambizioni personali riguardo ad una
possibile carriera artistica e galleristica. Sto
parlando del fenomeno del graffitismo che nasce alla
fine degli anni '60 e raggiunge il suo apice nella metà
degli anni '70 con ventimila graffiti a New York e che
non ha nulla a che fare con il fenomeno delle gallerie
(che ancora non esistono in quegli anni).
La volontà che si riscontra è quella di
costruire segni che non vengono solamente visti. Segni
che si situani nei luoghi topici della città, ovvero nei
luoghi in cui quasi tutte le persone sicuramente li
vedranno. C'è il desiderio di far veicolare determinati
segni e di crearli in luoghi in cui vi sia la
possibilità per altri di rispondervi. Quindi gli angoli
dei muri e i vagoni dei treni diventano grandi pagine in
cui non scriverà un solo individuo, bensì tante persone
che si risponderanno fra di loro. La necessità di avere
una risposta diventa la qualità importante, che lega il
graffitismo agli happening, agli eventi, dove c'è il
bisogno del pubblico proprio per conferire all'evento un
forte grado di spontaneità che non presenti una
performance preprogrammata, ma la costruisca
principalmente attraverso lo scambio con gli spettatori.
La stessa cosa avviene nel cyberpunk e
nelle pratiche artistiche collaborative.
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7. Quali sono le relazioni tra il
lavoro artistico che portavi avanti con Giuseppe Chiari
e quello attuale in Rete?
Gli happening a cui ho partecipato
creati da Giuseppe erano tutti eventi in cui non si
davano delle istruzioni da seguire, ma si rendeva
possibile una interpretazione libera tra soggetti. Egli
costruiva degli eventi in cui veniva data la libertà
alle persone di esprimere con svariati mezzi le proprie
autonomie. Nella Rete si ritrova decisamente questo
aspetto nel momento in cui si presenta la possibilità di
creare, lasciare le proprie tracce in Internet, scrivere
messaggi in modo autogestito e spontaneo.
8. Ti cito delle tue parole scritte
sempre in Cotropia: Il corpo umano definisce i suoi
limiti in base alle sue capacità sensoriali. Se si
definisce la mente come un organo sensoriale, allora
anche il concetto di corpo può espandersi fino ai
confini spazio-temporali della cultura. In che senso il
corpo si espande fino ai confini spazio-temporali della
cultura, e come può farlo attraverso l’arte?
In un'ipotesi di mente come organo
sensoriale, l'immaginazione diventa la percezione di un
reale dove l'immaginario collettivo è un dato sensibile
in grado di produrre sensazioni e alterazioni del
corpo-mente. La cultura in questo senso è la
sedimentazione stratificata di montagne e valli
immaginarie che impongono percorsi.
Questo significa che se noi osserviamo
il modo in cui le società evolvono anche rispetto al
territorio geografico e quindi le loro modalità di
sviluppo conseguentemente agli ostacoli che trovano
nella costituzione geografica del territorio in cui
agiscono (fiumi, montagne, ecc.), possiamo fare un
paragone con la mente e intendere metaforicamente la
cultura come la costruzione di analoghe montagne e valli
che impongono dei percorsi e che modellano i rapporti
sociali, producendo dei fenomeni che io definisco di
deriva memetica.
Cavalli Sforza, uno scienziato che si
occupa dei rapporti fra la genetica e la lingua, parla
di deriva genetica quando conseguentamente a certe
ricerche, si rende conto che l'esistenza di determinate
forme del territorio geografico ha influenzato la
composizione del patrimonio genetico dei gruppi ivi
formatisi e ha avuto un riflesso anche sulla loro
lingua. Esiste un grosso legame fra le lingue che si
sono formate in determinati luoghi e il patrimonio
genetico che si riscontra nelle persone che vi vivono.
Ci sono dei fenomeni di deriva genetica nelle situazioni
in cui la composizione del territorio impone una
differenziazione del patrimonio genetico e della lingua
all'interno delle popolazioni. In questo senso la
cultura può essere vista come un fenomeno di deriva
memetica e la mente può essere l'organo sensoriale che
vive all'interno di questo territorio e che percepisce
questo territorio.
L'opera d'arte vista come espressione
attraverso certe forme libere di immaginazione può
essere paragonata alle modalità di costruzione dello
Stato nel 1700, in cui per creare un determinato tipo di
sistema sociale, bisognava abbattere determinati
ostacoli che si presentavano nel territorio, operare una
canalizzazione dove i fiumi non permettevano la
circolazione delle navi: allo stesso modo
l'immaginazione può abbattere le montagne immaginarie
della cultura per creare un sistema di circolazione del
senso. Tutto ciò però garantendo l’esistenza e la
protezione di spazi autonomi la cui interconnessione con
altri territori mentali non ne sussuma le
caratteristiche essenziali.
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9. A me interessano particolarmente gli
happening multimediali collettivi in Rete e quindi
quegli eventi che permettono al fruitore di interagire e
costruire l’opera d’arte in tempo reale tramite
l’ausilio del corpo. Potresti descrivermene qualcuno che
avete organizzato ultimamente in Rete (Come per esempio
virtual body) ?
VIRTUAL BODY è un mio progetto che ho
realizzato insieme a STRANO NETWORK. Era costituito da
un insieme di monitor in cui appariva l'immagine di un
corpo i cui organi non dovevano essere necessariamente
di una sola persona (la testa, le braccia, i piedi, le
gambe, potevano essere posti in Rete da utenti collegati
da tutto il mondo nel modo più libero possibile, magari
sostituendo il braccio alla testa) e non dovevano essere
necessariamente umani, ma potevano essere protesi
culturali fatte di immagini artistiche o altro. Durante
il periodo iniziale della modernità e cioè intorno al
'600-'700, vengono portati avanti degli studi in cui si
paragona al sistema sanguigno quello circolatorio.
Paragonando il sistema organico a quello del trasporto
sociale (studi di Malpighi), si elaborano delle metafore
dell'organismo sociale che portano a rappresentare il
governo con la testa, la classe operaia con le braccia,
ecc., secondo una costruzione verticistica della società
(riprendendo anche l’idea di Platone nella
"Repubblica"). Con VIRTUAL BODY c'è un ribaltamento
della metafora dell'organismo sociale in cui non esiste
una testa fissa con un rigido stato di collocazione. Lo
stesso vale per le braccia e le altre parti del corpo:
qualsiasi persona e qualsiasi elemento possono essere
testa, braccia, ecc.
10. Nel pensiero cyberpunk si dava
molto rilievo alla possibilità di smaterializzare il
corpo nel cyberspazio e si immaginavano esperienze
immersive vissute in mondi virtuali con cybercorpi
(Timothy Leary parla di nuovi anfibi) per dare vita a
rapporti comunicativi orizzontali e democratici. Come
rapporti il tuo pensiero alle pratiche di RV? Secondo te
possono essere un veicolo di maggior consapevolezza
critica o possono provocarne l’annullamento di fronte ad
una sovrastante spettacolarità tecnologica?
Sicuramente le tecnologie, e non solo
quelle, si scontrano con i processi economici e quindi
appaiono spesso sussunte a determinate necessità
economiche e spesso rischiano di essere da queste
dirette. E' quindi molto difficile fare affermazioni sul
futuro e sulle qualità positive e negative della
tecnologia. Sicuramente posso avere fiducia negli
individui e nella loro capacità collettiva di
trasformare e rendere naturali le tecnologie senza
esserne alienati. Cercando di essere il più possibile
distaccati dalla realtà delle cose, secondo me un
discorso interessante dell'ipotesi del cyberspazio (per
cyberspazio intendo la realtà simulata in cui una o più
persone possono entrare attraverso l'uso di tecnologie
come il casco, la Rete, ecc.) Ë quello che riguarda
l'identità simulata e autogestita nella simulazione. Il
soggetto che naviga e che vive nel cyberspazio riesce ad
autodeterminarsi un'identità corrispondente ad una forma
narrativa e quindi a vivere la possibilità di costruire
storie non solo sulla carta, ma anche riguardanti la
propria vita all'interno del cyberspazio stesso. Quindi
si evidenzia un comportamento del soggetto che si
confronta con degli stilemi narrativi e qui si ritorna
al discorso che vede l'azione della mente nel suo mondo
immaginifico come risultante di un confronto con degli
ostacoli che possono esistere nel territorio
dell'immaginario collettivo. Ne consegue una riflessione
sulla possibilità dell'utente di costruire i propri
canali immaginari attraverso l'interfaccia tecnologica
che permette la vita nel cyberspazio. Si può quindi
evidenziare quanto questo territorio immaginario sia
rigido e quanto potrà essere negativa la vita nel
cyberspazio, oppure quanto questo territorio sia
fluttuante e gestibile dalle persone.
A questo dato se ne affianca un altro
che io considero importante nel panorama degli studi sul
virtuale e che concerne lo sviluppo delle reti neurali o
di sistemi tecnologici analoghi in cui si riscontra
l'ipotesi di lavoro di creare forme di vita artificale
attraverso un'interfaccia che non rappresenti un'icona
che presupponga collegamenti deterministici e a senso
unico per garantire l'attivazione di nessi causali
rigidi, ma che dia vita ad organismi artificiali
attraverso una particolare programmazione della
macchina. Tale programmazione sviluppa algoritmi che
permettono alla macchina di imparare a comportarsi in un
certo modo secondo modalità autoapprese e nasce quindi
la possibilità di costruire icone che siano organismi
artificiali che presentano un certo comportamento
all'interno dello spazio simulato non determinato in
modo certo dal programmatore. Le regole di un movimento
di un pesce simulato nel cyberspazio non saranno
predeterminate da un programmatore che decide il
movimento del pesce in modo deterministico (per esempio:
se il pesce A incontrerà l'ostacolo B, si muoverà in un
certo modo e in una certa direzione secondo particolari
leggi della meccanica Newtoniana), ma le modalità
attraverso cui funzionano le reti neurali nei sistemi di
apprendimento dovrebbe dare al pesce la possibilità di
sviluppare propri modelli di comportamento che emergono
da sistemi di calcolo interni e che possono evolvere
attraverso la pratica.
Nel 1987 C.Langton tiene una conferenza
a Santa Fè in USA chiamata "Artificial Life" che può
essere considerata la presentazione di questo modello
teorico e che nasce dal desiderio di creare un nuovo
paradigma sulla base di ricerche preesistenti attuate in
vari campi. Dalla cibernetica proviene l'idea delle
forme autoreferenziali e delle macchine che si
auto-organizzano. L'idea dell'autogoverno è tipica della
cibernetica: la parola "cyber", tra l'altro, significa
"pilota" in greco e quindi riguarda una macchina che si
autopilota, che è in grado di generare se stessa.
Negli anni '80 con il Connessionismo
che si basa sull'idea di connessione attraverso rete e
nodi scardinando le modalità simboliche e verticistiche
di costruzione delle regole, si approda all'idea che le
regole siano determinate in base alle modalità con cui
le unità si relazionano tra di loro. Attraverso il
Connessionismo, gli studi sull'intelligenza artificiale
e le reti neurali, si porta avanti l'ipotesi di poter
costruire un modello che presenta forme algoritmiche
autogenerantesi che spostino la figura del programmatore
in secondo piano, o meglio trasformandolo da
programmatore in educatore (il programmatore persegue
una strategia per far apprendere la rete neurale).
Questo si riscontra anche nel panorama artistico,
attraverso le creazioni di arte evolutiva.
Nel cyberspazio la presenza di
ipotetici organismi di questo tipo, che sono portatori
di comportamenti nuovi, potrebbero dar luogo ad una
nuova specie di organismi non organici, che agirebbero
attraverso modalità comportamentali diverse da quelle
possibili nel modo reale. Il fatto di vivere nel
cyberspazio circondati da questi organismi,
costringerebbe i soggetti a confrontarsi con un mondo
possibile e sicuramente diverso da quello popolato da
persone reali. Questo confronto potrebbe dar luogo alla
consapevolezza da parte dei soggetti di nuove possibili
forme di comunicazione e di rapporto nel mondo.
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11. Con quali finalità è nato Strano
Network e cosa vuole comunicare nel panorama artistico
attuale?
STRANO NETWORK nasce per definizione
come gruppo di lavoro sulla comunicazione e nel panorama
attuale secondo me vuole essere un esempio di arte
totale. Infatti STRANO NETWORK lavora negli ambiti più
differenziati e cerca di intervenire nel settore
artistico così come nel settore giuridico, in quello
economico, etc., attraverso la creazione di prodotti
culturali e cerca di agire in qualsiasi ambito del
sociale portando avanti un discorso che si rifletta nel
campo della creatività individuale e collettiva.
12. Che cosa intendi per HACKER ART e
che forme di hacker art avete presentato con Strano
Network?
Il convegno al museo Pecci di Prato del
1995 è stata una delle forme di HACKER ART che abbiamo
presentato, lo stesso per quanto riguarda l' HACK-IT del
Giugno 1998.
Io ho utilizzato per la prima volta il
termine HACKER ART nel 1989, quando stavo portando
avanti delle esperienze nel campo artistico che
definisco ARTE SUBLIMINALE. Questo mio tipo di ricerca
artistica nasceva dalla riflessione sulle forme della
comunicazione proprie della società dello spettacolo e
di conseguenza sulla ricerca di forme comunicative che
non fossero assimilabili alla merce e che quindi non
dessero origine ad un'arte mercificata. Al contrario
tali forme artistiche dovevano apparire come un VIRUS e
come tale essere in grado di propagarsi ovunque secondo
modalità trasversali ai sistemi mediali.
Possono anche trovare terreno fertile
nei sistemi mediali, ma devono presentarvisi in forme
differenti rispetto a quelle che normalmente sono
riconoscibili come mediali.
L'esistenza di persone in grado di
produrre e scrivere VIRUS su un dischetto informatico,
mi sembrava un'ottima metafora per definire il modello
operativo che io portavo avanti nell'arte, e cioè quello
di produrre azioni in grado di essere trasmesse,
comunicate e contaminate nel modo più diffuso possibile
senza dover essere riconoscibili necessariamente come
azioni artistiche, ma capaci di agire in ambiti
trasversali.
Tali forme artistiche si chiamavano
SUBLIMINALI perchè consistevano in messaggi subliminali
che io facevo agire all'interno di alcune mostre facendo
finta di essere non l’artista ma il curatore della
mostra stessa che di solito conteneva oggetti artistici
di altri. Era dunque anche una riflessione sul ruolo
dell’artista. Evitavo in tutti i modi di essere
presentato come artista e come colui che produce un
oggetto da vedere e pensavo che fosse molto più utile
agire all'iterno del contesto della mostra piuttosto che
attraverso la produzione di un oggetto artistico.
Presentavo un monitor all'entrata della mostra in cui
inserivo tutti i nomi degli artisti partecipanti oppure
la piantina della mostra in cui si illustrava il
percorso da effettuere per visionare le opere.
All'interno di questo monitor apparivano dei messaggi
subliminali come RIBELLATI, L'ARTE TI CONDIZIONA, ecc.
che venivano fruiti a livello inconscio.
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13. Quindi l’arte oggi non ha confini?
Tutto è arte?
Io risponderei dicendo che tutto può
potenzialmente partecipare o mettere in moto processi.
Chiaramente la mia risposta presuppone la mia
soggettività, ciò che io posso percepire e il modo in
cui lo percepisco soggettivamente. Secondo me l'arte per
essere tale deve presentare dei caratteri mutuali che
permetteranno di mettere in moto dei processi. Quindi
non tutto è arte nel senso che io riconosco come tale
solo ciò che percepisco come positivo per la comunità.
Ma l’opera d'arte si realizza anche
senza la necessità di un mio pregiudizio che la
definisce: si può partecipare alla costruzione
dell'evento artistico ma non è possibile dire "l'arte è
questa" oppure "l'arte è tutto" dando dei giudizi
limitanti, bisogna solo prendere atto che esiste la
possibilità di costruire spontaneamente e
collettivamente un processo.
Ognuno vive l'arte in modo personale e
questo modo personale di costruire arte può essere
riconosciuto anche come qualcosa di condiviso dagli
altri (questo secondo me è l'elemento fondamentale), al
fine di costruire qualcosa collettivamente.
I giudizi su cosa è arte invece
rimangono personali e individuali, fine a se stessi
perchè non costruiscono nulla e non sono un atto di
partecipazione concreta nè sono realmente verificabili.
Mi viene in mente un aneddoto che mi raccontava un mio
amico su come noi possiamo arrivare a capire come
funziona la nostra mente: se noi siamo così intelligenti
da poterlo capire la mente sarebbe così complessa che
non potrebbe essere comprensibile, se invece la mente
fosse semplice e quindi fosse comprensibile noi saremmo
talmente stupidi da non poterla comunque comprendere.
Cito questo aneddoto perchè secondo me
non è possibile rispondere a delle affermazioni di
carattere totale: noi facciamo parte di un mondo che
appartiene ad un livello superiore rispetto alla nostra
capacità di percepire le cose e quindi poter percepire
il tutto è un'ansia che noi non possiamo lenire.
14. Perchè il termine interattività
secondo te non ha più molto senso? Come definiresti le
pratiche artistiche che stai portando avanti?
Critico il termine "interattività"
perchè secondo me è stato strumentalizzato, non perchè
il termine sia negativo. Sarebbe un termine positivo se
per "interattività" si intendesse una reale
partecipazione. Siccome purtroppo il concetto è stato
invaso da forme che sono entrate a far parte del nostro
immaginario commentate come interattive, allora tendo a
spostare la definizione sul discorso della coevoluzione
qualificando l'arte come "coevolutiva". In questo modo
cerco di usare termini non contaminati dalle merci e che
presentino delle qualità che rendano più chiara l'idea
di interattività come partecipazione, come
consapevolezza dell'agire individuale e collettivo. E'
solo un problema del contesto in cui si usano i termini
e non della natura dei termini stessi. Chiaramente io,
come è vizio di tutti gli artisti, sono diffidente
rispetto al fatto che il proprio lavoro venga
circoscritto con delle definizioni, dato che di fatto
ogni affermazione diventa un limite. D'altra parte per
comunicare si è costretti a creare dei limiti,
altrimenti non si dice nulla. Il vero compito sta nel
rendere evidente che certi limiti non esistono o sono
amplificati.
Attualmente sto cercando di individuare
un concetto di "trasferimento di risorse", quindi io
intendo l'interattività come trasferimento di risorse,
non solo fra soggetti ma fra istituzioni e forme
soggettive. Cerco di individuare una funzione di filtro
nell'opera, che agisca attraverso uno spostamento di
risorse da un ambito istituzionale a un ambito non
istituzionale. Negli ambiti non istituzionali si stanno
costruendo le nuove forme di linguaggi sociali in modo
spontaneo. Penso che sia fondamentale per la società
l'esistenza di luoghi non istituzionali che presentino
cantieri di sperimentazione di nuove possibili forme di
comunicazione ed è necessario che venga garantita questa
possibilità di ridistribuzione delle forze sociali, che
di solito vengono gestite dalle istituzioni. Attraverso
la ridistribuzione delle forze sociali da parte delle
istituzioni in modo che siano coinvolti anche gli ambiti
dell'autogestione, si dovrebbe ipotizzare un
trasferimento di risorse che non presupponga il vincolo
di contraccambiare da parte delle forze non
istituzionali nei termini del dono di Mauss e cioè che
non veda le forze dell'autogestione vincolate a
rispondere validificando e legittimando alcuni valori
istituzionali a cui magari al momento si stanno
ribellando e a cui ne stanno sostituendo dei nuovi.
Quindi se il ricevere delle risorse dalle istituzioni
dovesse implicare per un modello autogestito la
restituzione del dono attraverso il riconoscimento di un
valore al momento criticato, tale meccanismo non
funzionerebbe. Allora l'opera deve essere il sistema di
filtro che permette il trasferimento delle risorse da
parte dell'istituzione verso i sistemi autogestiti in
modo che questi ultimi non siano obbligati a rispondere
secondo determinati canoni rigidi, ma possano prendere
parte al processo semplicemente ricevendo queste
risorse. E' chiaro che i sistemi non istituzionali, come
i centri sociali e le associazioni no profit, essendo
parte della società, parteciperanno comunque alla
costruzione di determinati tessuti sociali e porranno in
questo modo il loro contributo.
Tommaso Tozzi
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