IL CYBERPUNK COME MOVIMENTO by fantascienza.com
E' molto difficile riassumere in un'unica frase l'esperienza
cyberpunk.
Per Michael Swanwick, autore americano che è stato spesso accostato al
movimento, la quintessenza del cyberpunk è costituita dai racconti e
romanzi di William Gibson, che contengono "una visione ultratecnologica
del futuro, un'azione veloce, una costruzione serrata e un disprezzo per
tutto quello che è lento e noioso". In altri termini, sul piano dei contenuti
il cyberpunk ha fornito alla fantascienza una serie di elementi nuovi o comunque
poco utilizzati fino al momento della propria nascita: realtà virtuali, collegamento diretto
uomo/computer, diffusione della tecnologia informatica in ogni aspetto della
vita. A livello dello stile, invece, ha lanciato un modo di scrittura
quasi gergale (che le traduzioni italiane purtroppo possono rendere solo
in parte), riempito di slang e termini tecnici, unito alle tecniche narrative
del giallo d'azione americano.
L'opera in cui questi propositi sono stati applicati al meglio è, ovviamente,
la trilogia dello Sprawl di William Gibson, composta dai romanzi Neuromante,
Giù nel ciberspazio e Monna Lisa Cyberpunk e da alcuni racconti di contorno
(tutti raccolti nell'antologia La notte che bruciammo Chrome).
Lo sfondo comune di queste storie è una Terra del ventunesimo secolo in
cui la commercializzazione delle tecnologie informatiche è ormai capillare e
il controllo del pianeta è in mano alle corporazioni multinazionali, mentre
un'umanità degradata popola i livelli più bassi delle metropoli. Non per nulla "La strada
trova il proprio uso per le cose" è uno dei motti più celebri di Gibson, uno dei
primi autori di fantascienza a descrivere il futuro come un misto di
tecnologia e di degrado, secondo la lezione che all'inizio degli anni
Ottanta veniva dal fumetto e, soprattutto, dal cinema. Il
cyberpunk possiede infatti un immaginario che ha enormi debiti nei confronti di film come Tron e Blade Runner, e non è dunque
esagerato dire che si è trattato del primo movimento fantascientifico capace di
rielaborare a fondo materiali provenienti da altri media, secondo una procedura
tipicamente postmoderna.
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Se la trilogia dello Sprawl è il modello
cyberpunk più conosciuto e diffuso,
altri autori hanno tentato di presentare una versione degli stessi temi più
vicina alla fantascienza classica. Primo fra tutti il texano Bruce Sterling,
autore di punta e teorico riconosciuto del movimento. La maggior parte delle
sue storie cyberpunk si colloca infatti in un futuro più remoto, in cui
l'umanità, ormai diffusa nell'intero Sistema Solare, si è divisa tra le fazioni
Shaper e Mechanist, cioè tra una cultura fondata essenzialmente sulla
manipolazione genetica e una che invece ha scelto le tecnologie elettroniche
e meccaniche. In Italia, questo ciclo narrativo è rappresentato solamente
dal romanzo La matrice spezzata, mentre in inglese la maggior parte dei
racconti - scritti nella prima metà degli anni Ottanta - è disponibile
nell'antologia Crystal Express.
Al di fuori del materiale strettamente cyberpunk, Sterling è poi anche
l'autore di una serie di opere che, sulla scia de Il continuum di Gernsback
di Gibson, utilizzano ambientazioni e sfondi del passato come metafore per
il presente. Il migliore e il più significativo di questi racconti è
probabilmente I fiori di Edo, del 1986, uscito dapprima in traduzione
giapponese e poi pubblicato in America sull'Isaac Asimov's Science Fiction
Magazine: un viaggio allegorico nel Giappone dell'Ottocento, sospeso tra un
passato feudale e un futuro meccanizzato.
Tra gli altri autori di rilievo del movimento, non possiamo inoltre fare a
meno di citare John Shirley, Lewis Shiner, Pat Cadigan, Walter Jon Williams,
Greg Bear, Rudy Rucker e il già menzionato Michael Swanwick. Ma, anche se tutti questi autori
sono stati etichettati, una volta o l'altra, come cyberpunk, è difficile
trovare un denominatore comune che li leghi assieme. Perfino l'antologia
Mirrorshades, curata nel 1986 da Sterling, e proposta come antologia manifesto
e vetrina del movimento, presenta un ventaglio di nomi piuttosto ampio e a
volte discutibile. Non appena si esce dallo "stile" cyberpunk ben definito
(come temi e come linguaggio) cui si è accennato in precedenza, la pluralità
di forme tipica del movimento rende difficile fare inclusioni ed
esclusioni.
Una scena di Blade Runner
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Il cyberpunk ha ispirato poi anche molti imitatori, che, pur venendo da
esperienze precedenti nel campo fantascientifico, hanno saputo adattarsi a
questa nuova corrente, e magari raggiungere un grosso consenso di pubblico.
E' il caso soprattutto di George Alec Effinger, che ha ottenuto anche in Italia
un notevole successo con i romanzi dedicati all'investigatore Marid Audrian e
al Budayeen, un quartiere di un'imprecisata città mediorientale del prossimo
secolo, in cui piccoli moduli estraibili permettono agli esseri umani di
cambiare personalità e abilità nel giro di pochi secondi. Le tematiche del
cyberpunk sono state poi riprese anche all'interno della fantascienza
"normale", e oggi formano un patrimonio ampiamente sfruttato perfino da chi
si colloca su posizioni letterarie diversissime.
Per fortuna, disponiamo ormai di un buon numero di traduzioni italiane
degli autori cyberpunk. Oltre ai titoli che abbiamo citato finora, possiamo
trovare un buon numero di altre opere, e anche alcune antologie originali. Tra queste ultime, il n. 4
dell'edizione italiana dell'Isaac Asimov Science Fiction Magazine ha proposto
un'antologia degli autori cyberpunk meno noti in Italia; presso Theoria, a cura di Daniele Brolli, è uscita l'antologia Cavalieri elettrici, che riunisce molti testi "periferici" del movimento, mentre un'altra corposa selezione è stata raccolta nell'antologia Cyberpunk a cura di Piergiorgio Nicolazzini.
Tuttavia, alcune delle opere più rappresentative restano non tradotte, nonostante il cyberpunk sia ormai una corrente "storica". Senza voler
risalire al primo racconto di William Gibson, Frammenti di una rosa
olografica, che fu pubblicato nel 1977 e presentava già parte degli elementi
costitutivi del genere, il movimento ha preso infatti una forma e una prima
consistenza all'inizio degli anni Ottanta (il momento in cui viene coniato anche il corrispondente termine. Era un periodo in cui il
mercato della fantascienza stava conoscendo un'espansione senza precedenti,
ma a cui non faceva riscontro una corrispondente vivacità culturale.
"La fantascienza negli anni Settanta era morta come tutto il resto della
cultura. (...) Fino a quando quei primi pochi racconti di William Gibson,
Rudy Rucker, John Shirley e Bruce Sterling non cominciarono ad apparire
nelle riviste" scrive Richard Kadrey, autore del romanzo Metrophage, uno
dei classici del movimento "era facile pensare che fossi assolutamente
solo a voler scrivere qualcosa che fosse tanto duro e rapido e indecente
quanto il miglior cyberpunk. E quando queste prime storie apparvero, fu
come se la spada del bodhisattva Manjushi avesse spazzato via la nebbia
dell'ignoranza".
Il movimento si mostrò fin dall'inizio estremamente consapevole del proprio
ruolo, e, oltre alle opere narrative, abbondarono anche proclami e manifesti
teorici. All'inizio del decennio Bruce Sterling, sotto lo pseudonimo di
Vincent Omniaveritas, cominciò a pubblicare Cheap Truth, una fanzine
fotocopiata distribuita gratuitamente, che fu il vero e proprio organo di
propaganda del cyberpunk all'interno della comunità fantascientifica. Le
prese di posizione e le dichiarazioni provocatorie cominciarono a fioccare,
indirizzandosi sia contro la "vecchia" fantascienza che contro i
rappresentanti della nuova generazione estranei al movimento. Uno dei momenti
culminanti dello scontro fu la feroce disputa tra cyberpunk e tradizionalisti
in occasione della North American Science Fiction Convention svoltasi a
Austin, Texas nel 1985, ma le polemiche rimasero vive ancora per molti
anni.
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La rivista Nova Express
Takayuki Tatsumi, uno dei maggiori studiosi giapponesi del fenomeno, ha
giustamente ricordato che le polemiche sono inevitabili per chiunque abbia
intenzione di lanciare un serio movimento letterario, come testimoniano le
avanguardie storiche dell'Otto e Novecento (simbolisti, surrealisti,
impressionisti, futuristi, etc.). Il caso del cyberpunk però sembra ancora
più estremo, al punto che i confini e l'originalità del movimento sono in
buona parte tracciati proprio dagli strascichi e dai bersagli delle polemiche.
A cominciare dal rapporto con la fantascienza del periodo new wave
(1960-1975, secondo la definizione più generosa), che sul piano letterario
resta tuttora quella che può vantare gli autori più validi - Dick, Ballard,
Disch, Delany, Le Guin, Moorcock, Zelazny, Silverberg - e a cui i cyberpunk
si avvicinano per l'ampia gamma di temi e tecniche stilistiche impiegate,
anche se spesso, secondo loro, aveva abbandonato ogni discorso su scienza,
tecnica e società, ponendo le basi per il fantasy deteriore che avrebbe
imperversato alla fine degli anni Settanta.
Al contrario, l'immaginario cyberpunk ha sempre avuto stretti legami con la
fantascienza tecnologica tradizionale (Hard), più vicina al modello di un
autore classico come Robert A. Heinlein, nume tutelare
degli anni Quaranta, che a quello dei suoi successori degli anni Sessanta
e Settanta: non per nulla, tra i nomi proposti inizialmente per il movimento,
figuravano in buona posizione literary hard science fiction o radical hard SF.
Quindi, se da un lato il cyberpunk si è collegato alla fantascienza più
letteraria, dall'altro ha sempre sottolineato i propri legami con una
tradizione ben diversa, in cui anche le idee e le trovate tecnologiche
hanno il loro peso: come è naturale, ogni autore si è poi rifatto in maniera
diversa a queste due componenti, secondo le preferenze personali.
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Quella che in retrospettiva ha caratteristiche più interessanti, però, è stata la
controversia "cyberpunk / umanisti", suscitata da alcune affermazioni di
"Vincent Omniaveritas" pubblicate su Cheap Truth. I bersagli della polemica
erano in questo caso gli autori della generazione degli anni Ottanta, i
coetanei dei cyberpunk, nomi come James Patrick Kelly, Connie Willis,
John Kessel, Kim Stanley Robinson, e, in misura minore, Lucius Shepard.
Analizzando oggi la situazione, è facile invece riconoscere che le due
correnti partivano da postulati abbastanza simili: lo studio dell'interazione
fra tecnologia e società, in aggiunta a un ampio repertorio di stili e di
tecniche narrative mutuate dalla narrativa "ufficiale". A conferma di questo
fatto, non sono mancati fin dall'inizio scambi e sovrapposizioni, con
James Patrick Kelly che portava a termine una sua personale trilogia-quadrilogia
cyberpunk, o con le collaborazioni tra lo stesso Bruce Sterling e John Kessel,
o i racconti dedicati da Lucius Shepard alla guerra sudamericana, e i
pastiche letterari ancora di Sterling...
In realtà, entrambe le correnti, quelle dei cyberpunk e degli umanisti,
possono essere viste come una reazione alla paurosa crisi d'idee in cui
si ritrovava la fantascienza all'inizio degli anni Ottanta, a cui abbiamo
accennato poco sopra. Però, se lo spirito delle nuove generazioni fu
sotto molti punti di vista il medesimo, il cyberpunk rimase anche uno stile
particolare, dotato di un proprio linguaggio e di caratteristiche
precise.
Oggi il cyberpunk è ufficialmente morto. Anche se in Italia e, più in generale,
al di fuori dell'ambiente fantascientifico, le sue tematiche e suggestioni
cominciano a diffondersi solo adesso, è stato il solito Sterling a sancire la
fine del movimento letterario, in un articolo apparso nel 1991 sul numero 48
della rivista inglese Interzone con il titolo Il cyberpunk negli anni
Novanta.
Copertina di Kirschner Caroff per The Hacker Crackdown
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Soprattutto, però, il limite è stato segnato dall'uscita nello stesso anno
del romanzo La macchina della realtà, scritto in collaborazione da Sterling
e Gibson. Il libro racconta la storia della diffusione delle tecnologie
informatiche non alla fine del ventesimo, ma all'inizio del diciannovesimo
secolo, in un'Inghilterra vittoriana che comincia a essere profondamente
trasformata dalla rivoluzione industriale. Con i suoi calcolatori
meccanici collegati a macchine a vapore, La macchina della realtà risulta
allo stesso tempo una parodia del cyberpunk e un viaggio alle sue origini
(e a quelle della società moderna), in un mondo in cui, esattamente come nel
futuristico Sprawl, tutto si può vendere e comprare: oggi che il futuro
sembra scomparire in un'atmosfera da "fine della storia", è normale che
il passato diventi l'ambientazione preferita anche dalla fantascienza.
Alla dissoluzione del movimento è seguita anche una dispersione dei suoi
esponenti nel mondo dei media: William Gibson si occupa soprattutto di
arte sperimentale (nonostante nel 1994 sia apparso il suo romanzo Luce virtuale), Bruce Sterling dedica la maggior parte dei propri sforzi alla
saggistica, Lewis Shiner è stato soggettista per i fumetti della DC Comics
(tra l'altro per la serie The Hacker Files), e via dicendo. Una diaspora
che, in un certo senso, sembra abbia ripercorso nella direzione opposta la
strada che aveva portato alla nascita del cyberpunk, che aveva riunito
una serie di influssi provenienti dai media e dai campi più diversi. Adesso
il movimento è finito, lasciando alla fantascienza una serie di parole e
concetti nuovi, e il clima prevalente è quello di un ritorno all'ordine,
una restaurazione dei vecchi valori. Speriamo non per sempre.
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