RAISING HELL by William Gibson
Questo racconto di \/\/illiam Gibson è stato tratto dalla rivista Missisipi
Review n¯34; titolo originale dell’opera "Raising Hell" e tradotto in italiano
da Boris Vani; riportato su computer da Roberto Scarcella.
Siamo travolti a intervalli regolari dalle maree fosforescenti del sistema di
vigilanza. Non ho termini di paragone con il tempo fuori della matrice. La
musica qui è la campionatura dei rotori di un Bell 209 Huey Cobra. L’universo
del carcere si dispiega nella scacchiera tridimensionale, tracciata da linee
verde turchese, che si riproduce a perdita d’occhio. L’infinito è fatto così:
che ti muova o resti fermo, sei sempre al punto di prima. Ogni tanto si accende
un led a un’intersezione della griglia: segnala i crocevia. Siccome non esiste
altro sistema di riconoscimento, è evidente che lo stato delle cose non cambia
di molto. Non è la prima volta che arrivo in carcere. So come funziona tutta la
storia...Quando mi fecero indossare la camicia di forza a sensori e la cuffia mi
chiesi se fuori pioveva ancora. Le lingue pur puree colavano giù dal cielo
ossidato e macchiavano di ruggine il parabrezza delle auto in sosta. Io mi ero
consegnato spontaneamente...Avevo appena smantellato le barriere delle riserve
economiche di una zaibatsu, capitalizzate in un database segreto siglato
Believer. Gli ICE si erano attorcigliati tra loro eccitati da un programma
virus. Le contromisure elettroniche si erano divorate reciprocamente come
cannibali in astinenza lasciandomi via libera verso il nucleo. Avevo cavalcato
bene l’intera faccenda. Dopo aver frazionato la cifra, l’avevo depositata su
qualche centinaio di conti differenti, in giro per il mondo. Ce ne era per
tutti, anche per me. Neanche un segugio del cyberspazio sarebbe arrivato a
identificarmi. Forse. Non è roba da impronte digitali, tuttavia esiste uno stile
di entrata. Lo chiamano il volto delle bambole, normalmente irriconoscibile.
Magari non se ci si mette un segugio. Ognuno cavalca a suo modo. Ma gli
alfanumerici in basso a destra sul video, erano accorsi in mio aiuto: accesi le
notizie. La gente giù in strada si appiccicava già alle luci neon e
l’elettricità sfrigolava nei condotti neon perforati dalla ruggine. Mi
conquistai la rapina della sera al Dead Kennedys. Merito dell’olo-notiziario. Un
suggerimento gratuito. Anche se però non era proprio un alibi a buon mercato:
beccai un anno di internamento. Così sono entrato nel cyberspazio carcerario per
la prima volta. Un posto senza vie di uscita e il cui unico accesso è un blocco
neuronale coatto. Visti dall’esterno siamo uomini ciechi, chiusi in camicie di
forza sensoriali, e ciondoliamo insensibili nelle stanze dell’istituto
carcerario, enormi macellerie di sogni. E’ un autoscontro per macchine celibi.
Ma dopo essere uscito è stata la volta del delitto della camera iperbarica. Il
computer centrale della polizia, in base alle procedure della rapina al Dead
Kennedys, ricostruì le mie mosse con un calcolo statistico che mi lasciava poche
percentuali di innocenza. Avevo l’avvocato sbagliato, non ne ho mai dubitato.
Sarei penetrato nella clinica e avrei ucciso la vecchia solo per rubarle qualche
ciondolo d’oro...Scarsa considerazione per le mie ambizioni. Il secondo delitto
in prestito, questa volta ancor meno gradita della prima. Soprattutto inutile.
Ma ormai è meglio che mi adatti. Qui ti sottraggono il tempo fisico, perché per
il resto esci che ti sembra di essere appena entrato...E’ il loro modo di
stroncarti. Io devo rimanerci degli anni. E per esperienza so che non finiscono
mai. Oppure passano così in fretta che neanche te ne accorgi. Che in questo
sub-mondo elettronico è la stessissima cosa. Attimi eterni.
Quando credevo che sarebbe stata una solitudine siderale come la prima, ho
incontrato Bozo. Con la sua giacca di lustrini e la banana ben curata...Me lo
ricordo ancora quando viaggiava dalle parti di Memphis con un simstim di Elvis
Presley per fottere vecchie matrone nostalgiche. Un solitario ma anche un furbo
tenero che beveva bourbon senza nemmeno chiedersi se gli piaceva. Viaggiava con
una raccolta di vecchie pasticche, residuati allucinogeni..."L’unica maniera
genuina di viaggiare", diceva con il suo accento strascicato. "Ho provato i
mondi virtuali" così li indicava, con la stessa ruvida prosopopea di un
cavaliere del vecchio west, "ma non vai lontano, rimani sempre lì".
E per ironia della sorte adesso si ritrovava proprio qui, dove non sarebbe
mai venuto, a dimostrarmi che aveva ragione lui. Lo sapevo, vorrei dirgli
subito, ma parliamo d’altro. Anzi, non parliamo. Siamo nel crepuscolo azzurrino
del cyberspazio carcerario e mi chiedo quale anomalia della matrice ci abbia
fatto incontrare. Sopra a tutto, naturalmente, risuonano rotori di elicotteri
invisibili. Non sembra vero Bozo. Si staglia sul fondo, ritagliato in chiave di
chroma. Ha un microfono adesivo tracheale Telefunken. Gli chiedo come mai. E
lui, con la voce sintetica del microfono risponde che è stato a Chiba City, un
maledetto scherzo del sushi...Gli avevano rifilato qualche schifezza marina
ancora viva che si era infilata giù in gola avvinghiandosi alle corde vocali.
Era stato operato d’urgenza. E’ sempre il solito Bozo, uno a cui accadono cose
incredibili. "Ho il modo per uscire di qui", dice, "Guardami, non sono ancora il
vecchio iceberg di barbiturici di sempre?"
"Troppo abbronzato per essere un iceberg." e subito sorge dal nulla un
display a cristalli liquidi, a interrompere l’orizzonte. La scritta corre come
un cow-boy troppo amplificato per preoccuparsi se sta per scontrarsi con un ICE
nero. Sulla Terza Avenue c’era qualcosa di simile, opera di un artista polacca,
che diceva: "Sei la fine del modo, baby". Questo è invece una prescrizione
severa, integrale: "E’ proibito ai detenuti qualsiasi rapporto interpersonale".
"Posso farlo sparire", dice Bozo. L’unica nota stonata della sua voce calda
l’avevo sentita una sera a un party di paranoici, quando aveva deciso di
sottolineare la sua somiglianza con alcuni versi di "Are you lonesome
tonight"... Straziante. Ma adesso il tono gracchiante del microfono è ancora
peggio...Sofferente.
Qualcuno deve averlo fatto per lui. Un serbatoio lisergico risintetizzato in
versione digitale. Straripa LSD in versione elettronica. Ha portato giù
nell’universo del carcere una tale quantità di allucinogeno che se sudasse
finirebbe per saturare l’infinito nulla dei circuiti integrati. Sparisce lo
schermo ultrapiatto per essere sostituito da una lavagna grondante lettere
psichedeliche: "Fai quello che vuoi". I rotori sono rimpiazzati da una versione
tormentosa di Voodoo Child. Lo so che a Bozo piace così...Quando lo conobbi mi
disse che i primi interfaccia erano loro, Elvis con il microfono e Jimi Hendrix
con la chitarra. Bozo, con il rozzo Telefunken piatto, rannicchiato sotto la
gola, è una versione patetica dell’uomo microfono. Stiamo già andando attraverso
il non tempo gracchiante. Colori che si dissolvono. Cavalchiamo in mezzo allo
sfacelo dritti come elettroni in un superconduttore. Le strutture della
sorveglianza sono sparite di colpo e in lontananza vedo le architetture rocciose
della fortezza. "Come ci sei riuscito?", ho i denti legati da vortici di vuoto
elettronico, in cui noi siamo semplicemente l’idea di noi stessi in un’altra
vita. "Sono sceso nel pozzo per te, amico. Ho fatto un contratto divino e sono
sceso più veloce di un serpente. Ora tocca a te. Se è vero che la tua testa è
uno dei microsoft più elaborati dell’universo, liberaci tutti".
Mi ricorda un delirio di connection machines. Microprocessori collegati in
parallelo che fa sembrare "Stanley e Stella". Breaking the ICE il risultato del
la mente di un sauro del Pliocene. Si stanno incrociando centinaia di realtà
differenti, forse migliaia. La fortezza rimane ancora integra in mezzo al
turbine. Scaglie scarlatte scivolano sulle pareti. Lame dorate si accaniscono
riproducendosi in versioni difettose di DNA sintetico. Io sono perfettamente
sveglio, posso pensare alla situazione vegetativa del mio corpo nello stanzone
cibernetico, ed a quattro altre cose contemporaneamente. La situazione è nitida,
tranne per quanto riguarda Bozo. "Bozo per che cazzo sei venuto?...Noi non
eravamo così amici", dico. Perché ho un sospetto. Lui annuisce: "Per un debito"
Non ho bisogno di chiederglielo, lo so che il debito è il mio, non il suo. Bozo
ha cambiato lavoro. Ha sempre avuto fiuto. Saranno stati gli acidi, ma era
capace di darti le risposte senza lasciarti fare le domande. Intanto continuiamo
a schizzare verso la fortezza. Abbiamo abbandonato ogni illusione di realtà, il
flusso ha preso il sopravvento: lottiamo nella matrice. Le pareti della fortezza
si sfaldano come sabbia, si mescolano a noi che ci contraiamo. I nostri corpi, a
questo punto, sono verosimilmente vibranti di spasmi. "Dove sei adesso?" gli
chiedo. "Te l’ho già detto, nel pozzo. Dentro fin sopra i capelli. A bagno e
felice come un feto drogato."
"Voglio sapere chi." Non è certo un simulatore dell’Ono-Sendai, non ne
conosco nemmeno uno con cui si possa accedere ai cyberspazi governativi. La
fortezza, ormai sbocciata, dissolve attorno a noi trascinata via da un forte
vento elettronico. "Sei andato a toccare la zaibatsu della Santeria. Non ci
hanno messo molto a risalire a te. A loro bastano quattro penne di gallina. Se
ne fregano delle procedure scientifiche, preferiscono un po’ di sangue di capra
spremuto su un crocifisso..."
"E adesso cosa vogliono?"
"Non sei furbo ma sei il più bravo. Perciò hanno combinato in modo che tu
tornassi dentro. Possono fare qualunque cosa. E quest’inferno elettronico è
pieno di loro sottodivinità. Tu, con un piccolo aiuto, le hai liberate." Con le
droghe sintetiche non sai più nemmeno cosa nasconda una singola molecola, figura
ti se sei buono di indagare nelle profondità di una matrice. Davanti a noi si
spalanca l’intera varietà di un cosmo di colori non ancora scoperti sotto la
luce del sole. Hanno sbagliato tutti: la Santeria, Bozo, io...Dal pavimento
della fortezza crescono legioni di aborti. Vedo il cyberspazio aprirsi e
rivelare nuovi database, uno dentro l’altro. Sistemi immunitari distrutti
sfrecciano attorno a noi. Urlano di dolore come animali feriti. A ognuno i suoi
errori mentre Bozo viene bruciato nel suo pozzo. Sudato come una bestia in
calore, strafatto. E’ la tua estasi, Bozo. E con lui al diavolo la Santeria,
travolta dall’ondata di ritorno. Cervelli fritti da quello che loro credono sia
Dio. E’ lo spettacolo segreto delle scorie di esperimenti governativi che
segnano i confini della matrice carceraria. Solo per me e altre migliaia di
disgraziati detenuti. Riemergono liberati dal nulla in cui erano stati
compressi. Programmi virus si inerpicano tra le parenti inesistenti della
matrice e corrodono l’universo dell’hardware. Per la Santeria ero spacciato, un
animale sacrificale tra gli altri, per Bozo ero uno che si barcamenava in un
mondo di geroglifici elettronici, e le loro supposizioni di residuati di
un’altra epoca mi hanno salvato. Non sono stato io il primo a fondere la
fortezza, ma Bozo la bomba lisergica. Prima che questi granchi elettronici
arrivino al mio tessuto cerebrale ficcandosi tra le scariche neurali, dovranno
cedere le chiavi di sicurezza. Ogni detenuto è inserito nel cyberspazio
carcerario con una doppia protezione. Non possiamo uscirne, perché non siamo
neppure veramente dentro. Le mie capacità neuronali di interfacciarmi sono
bloccate e la mia forma di partecipazione è sensoriale. Galleggio nello spazio
virtuale del software tramite i sensori della tuta.
Intanto mi godo il teatro dell’apocalisse...
--=*The End*=--