IL TECH MODEL RAILROAD CLUB by Steven Levy
In Hackers: Eroi della Rivoluzione Informatica, Shake, 1996
Il vero motivo per cui Peter Samson, nel cuore della notte,
stava vagabondando nel palazzo 26 è una faccenda che lui stesso avrebbe
trovato difficile spiegare. Di certe cose non si parla. Se foste come
quelli con cui Peter era sul punto di far conoscenza e di cui sarebbe
diventato amico, in quel suo anno da matricola al Massachussetts institute
of technology nell'inverno del 1958-59, non ci sarebbe stato bisogno di
alcuna spiegazione. Vagabondare per il labirinto di laboratori e
magazzini, in cerca dei misteri della commutazione telefonica nelle stanze
piene di apparecchiature, seguendo sentieri di fili o di relè nei condotti
sotterranei dell'aria condizionata... per qualcuno, era un comportamento
normale, e non c'era bisogno di giustificare l'impulso di aprire una porta
senza permesso, se dietro quella porta si fosse percepito un rumore
sospetto irresistibilmente attraente. E allora, se non ci fosse stato
nessuno a proibire fisicamente l'accesso a qualunque cosa stesse
provocando quel rumore affascinante, a impedire di toccare la macchina,
ecco che avreste cominciato a sfiorare gli interruttori e a osservare le
reazioni, a girare una vite, sganciare un pannello, rimuovere qualche
diodo e provare qualche connessione. Peter Samson e i suoi amici erano
cresciuti in una particolare relazione col mondo, all'interno della quale
le cose acquisivano significato solo se si scopriva come funzionavano. E
come avrebbe potuto capirlo se non mettendoci le mani sopra? Fu nel
seminterrato del palazzo 26 che Samson e i suoi amici scoprirono la stanza
Eam. Il palazzo 26 era un'alta struttura di vetro e acciaio, uno degli
edifici più recenti del Mit, in contrasto con le venerande architetture
neoclassiche che fronteggiavano l'istituto su Massachusetts avenue. Nel
seminterrato di questo edificio privo di personalità, c'era la stanza Eam,
l'Electronic account machinery, che ospitava dei macchinari che
funzionavano come computer. Nel 1959 non molta gente aveva visto un
computer, figuriamoci poi toccarne uno. Samson, un ragazzo dai capelli
rossi, ispidi e ricci con una propensione ad allungare il suono delle
vocali come se stesse correndo dietro ai possibili significati delle
frasi, mentre si trovava nel mezzo delle parole, aveva visto i computer
durante le sue visite al Mit dalla sua città natale, Lowell, nel
Massachusetts, a meno di cinquanta chilometri dall'università. Queste
visite lo avevano reso un "fanatico di Cambridge", uno dei tanti studenti
di liceo della regione, pazzi per la scienza, che erano stati attratti,
come da una forza gravitazionale, verso l'università di Cambridge. Aveva
persino cercato di mettere assieme il suo computer personale con pezzi di
scarto di vecchi flipper: erano la migliore fonte di elementi logici che
avesse potuto trovare.
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Elementi logici: il termine sembra
contenere proprio quel che attraeva Samson, figlio di un riparatore di
macchine per l'industria, verso l'elettronica. Era la sua storia. Quando
si cresce con un'insaziabile curiosità sul funzionamento delle cose, il
piacere che si prova scoprendo quanto è raffinato un circuito logico, dove
tutte le connessioni devono completare i loro percorsi, è eccitante a
dismisura. Peter Samson, che aveva imparato presto ad apprezzare la
semplice perfezione matematica di tutto ciò, ricordava di aver assistito
sul canale della Tv pubblica di Boston, la Wgbh, a una trasmissione che
forniva un'introduzione sommaria alla programmazione di un computer nel
suo specifico linguaggio. Bastò ad accendere la sua immaginazione: per
Peter un computer era di certo come la lampada di Aladino che una volta
sfregata, avrebbe obbedito ai suoi ordini. Così cercò di imparare più che
poteva in quel campo: costruì vari aggeggi per conto proprio, s'iscrisse a
concorsi e competizioni scientifiche, e arrivò dove la gente della sua
specie aspirava ad arrivare: il Mit. Il porto d'arrivo dei più brillanti
liceali dagli occhiali da gufo e pettorali sottosviluppati, che
meravigliavano gli insegnanti di matematica e che venivano bocciati in
educazione fisica, che non sognavano di pomiciare dopo il ballo del
diploma, ma di accedere alle finali del concorso in occasione della Fiera
della scienza della General Electric. Questo era per lui il Mit, nei cui
corridoi avrebbe vagato alle due di notte, cercando qualcosa
d'interessante, e dove alla fine avrebbe scoperto quel che lo avrebbe
spinto a iniziare una nuova forma di processo creativo, un nuovo stile di
vita, e che lo avrebbe posto in prima linea di una società immaginata solo
da qualche scrittore di fantascienza di serie B. Qui avrebbe scoperto un
computer con cui "giocare". La stanza Eam nella quale Samson era
incappato era piena di macchine a schede perforate, grosse come schedari
metallici. Non c'era nessuno a proteggerle: il locale operava solo di
giorno, quando un gruppo selezionato, dopo aver ottenuto un permesso
ufficiale, aveva il privilegio di passare le schede gialle nelle mani
degli operatori, che usavano poi queste macchine per farci dei buchi, a
seconda di quali dati i privilegiati desiderassero registrare sulle
schede. Un foro nella scheda rappresentava per il computer una certa
istruzione, e gli diceva di mettere un pezzo d'informazione da una qualche
parte, o d'eseguire un'operazione su una parte dell'informazione oppure di
spostare un pezzo d'informazione da un luogo a un altro. Un intero blocco
di queste schede costituiva un solo programma del computer, cioè una serie
di istruzioni che producevano un determinato risultato, proprio come le
istruzioni di una ricetta, se seguite scrupolosamente, portano a una
torta. Queste schede sarebbero state poi consegnate a un altro operatore
che stava al piano superiore, il quale avrebbe infilato le schede in un
"lettore" che avrebbe registrato dov'erano i buchi e inviato
quest'informazione all'Ibm 704: l'Hulking Giant, "il bestione"3, al
primo piano del palazzo 26.
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L'Ibm 704 costava diversi milioni di
dollari, occupava una stanza intera, aveva bisogno di costante
manutenzione da parte di una squadra di operatori specializzati, e
richiedeva speciali sistemi di condizionamento dell'aria in modo che le
valvole a incandescenza che aveva dentro non innalzassero la temperatura a
livelli tali da distruggere le informazioni. Quando l'impianto di
condizionamento andava fuori uso - cosa piuttosto frequente - suonava un
gong, e tre ingegneri schizzavano fuori da un ufficio vicino per togliere
frettolosamente le coperture alla macchina per non fargli fondere le
interiora. Tutta questa gente indaffarata a perforare schede, infilarle
dentro i lettori, a premere bottoni e girare interruttori sulla macchina
era quello che comunemente veniva chiamato il "clero", e quelli abbastanza
privilegiati da poter presentare le informazioni a questi gran sacerdoti
erano gli "accoliti ufficiali". Era quasi uno scambio
rituale. Accolito: Oh macchina, vuoi tu accettare la mia offerta
di informazioni per far girare il mio programma e forse darmi un risultato
finale? Prete (per conto della macchina): Proveremo, ma non
promettiamo nulla. Di regola, nemmeno ai più privilegiati tra gli
accoliti era permesso ottenere l'accesso diretto, e sarebbero passate ore,
a volte giorni, prima che potessero ottenere i risultati dell'ingestione
da parte della macchina della loro "infornata" di schede. Questo Samson
lo sapeva e, naturalmente, per lui, che voleva riuscire a mettere le mani
su quel dannato calcolatore, era una frustazione insopportabile: la sua
vita era tutta lì. Quel che Samson non sapeva, e fu deliziato di
scoprire, era che la stanza Eam aveva anche un particolare strumento per
forare le schede, chiamato 407. Non solo perforava le schede, ma poteva
anche leggerle, ordinarle e stamparne un elenco. Sembrava non esserci
nessuno di guardia a queste macchine, che erano dei computer o qualcosa
del genere. Ovviamente usarle non sarebbe stato facile: occorreva inserire
quello che era chiamato scheda a inserzione, un quadrato di
plastica di cinque centimetri per cinque con una quantità di buchi dentro.
Cablando centinaia di fili attraverso i buchi in un certo ordine, si
sarebbe ottenuto qualcosa di simile a un nido di topo che però, una volta
sistemato dentro questo marchingegno elettromeccanico, ne avrebbe mutato
la personalità: esso avrebbe fatto di tutto. Così, senza uno straccio
di autorizzazione, ecco cosa Peter Samson decise di fare, assieme a certi
suoi amici di un'organizzazione del Mit che si interessava particolarmente
di modellismo ferroviario. Fu un passo casuale e spensierato verso un
futuro da fantascienza, ma tipico del modo in cui una sottocultura atipica
nasce e diventa un fenomeno underground di rilievo - per trasformarsi in
una cultura che sempre sarebbe stata l'anima maleducata e non autorizzata
del mondo dei computer. Era una delle prime incursioni degli hacker del
Tech model railroad club, altrimenti noto come Tmrc.
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