HACKER ART l’attivismo nell’arte in rete, ed altro... by Tommaso “Zedo & Wz” Tozzi
nota:
parte di questo testo è stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto,
28-08-2002, Roma)
Ho creato
Hacker Art BBS come opera d’arte, un nuovo tipo di opera fondata sulle
relazioni comunitarie on-line tra gli utenti.
Alla base dell’idea di Hacker Art vi sono alcuni aspetti
essenziali:
1)
il sospetto sulla mercificazione dell’arte.
2)
il sospetto sulla riconoscibilità
sia dell’opera d’arte che dell’artista in quanto tali.
3)
L’idea che l’opera d’arte è qualcosa
di aperto e decentrato, qualcosa in divenire senza un inzio ed una
fine. L’opera d’arte si estende oltre lo SPAZIO di un oggetto per
coprire lo spazio di tutti i corpi e cose che partecipano nel TEMPO
all’opera d’arte.
La creazione e messa in atto di strategie
mirate a migliorare lo stato delle cose.
Il motivo alla base degli assunti (1) e (2) è la triste considerazione
che sia il mercato dell’arte che il sistema dell’arte in generale
è condizionato e pilotato dagli interessi di una ristretta elité di
potentati economici e politici che sono in grado di influenzare l’immaginario
dell’opinione pubblica. A causa di ciò il riconoscimento di qualcosa
come opera d’arte ne influenza l’interpretazione, ne modifica il valore
e il rapporto che si intrattiene con quella cosa.
Fin quando non saremo riusciti a costruire un mondo migliore,
fin quando non esisteranno forme differenti alla base sia dell’economia
che dei rapporti sociali, preferisco evitare che le mie opere d’arte
siano sussunte dal sistema dell’economia e della cultura attuale.
Preferisco evitare che qualcun altro si arricchisca o ottenga potere
anche attraverso i prodotti della mia vita.
Per questi motivi è preferibile evitare le lusinghe del mercato
dell’arte e le sue implicite necessità di creazione di un’icona: l’icona
dell’opera d’arte, l’icona dell’artista.
E’ preferibile evitare la creazione di simboli e metafore all’interno
del sistema dell’arte. Questo per evitare che tali simboli e metafore
vengano sussunti all’interno di valori e strategie che non ci appartengono.
Ciò non significa smettere di produrre simboli e metafore.
Ciò non significa smettere la produzione e trasformazione dell’immaginario
e del senso ad esso connesso.
Significa semplicemente evitare di far riconoscere ciò all’interno
del sistema dell’arte ufficiale.
Faccio un esempio: rifiuto di considerare opera d’arte un’immagine
da me creata se è esposta all’interno di una galleria d’arte. Considero
invece tale immagine un’opera d’arte se circola silenziosamente all’interno
del circuito delle BBS amatoriali.
Ritengo però possibile definire come opera d’arte una situazione
per cui un’istituzione artistica ufficiale produce e fornisce risorse
a coloro che ne hanno bisogno.
Naturalmente il mondo non è solo bianco o nero e dunque ritengo
che esistano delle situazioni grigie in cui un’operazione artistica
viene per alcuni aspetti sussunta, mentre per altri riesce a fare
anche OPERE DI BENE. Essere artisti ha purtroppo al giorno d’oggi
assunto in modo devastante quella caratteristica di equilibrista e
surfista tra le onde del bianco e del nero.
Ciò nonostante nei sottosuoli silenziosi dell’ALTERNATIVA l’hacker
art partecipa a costruire l’ipotesi di nuovi modelli di un mondo migliore,
mentre alla luce del sole e sotto i riflettori dei media e della comunicazione
sociale l’hacker art partecipa alla messa in atto di strategie ANTAGONISTE
alle attuali forme di dominazione del mondo.
Nel Novecento si è progressivamente affermata una nuova concezione
dell’arte che non si riconosce all’interno degli schemi ontologici
tradizionali.
Arte non significa arti applicate. Arte non significa un’indagine
su aspetti metafisici sviluppata attraverso i linguaggi artistici
della tradizione. Arte non è ciò che può essere riconoscibile all’interno
del campo della pittura, della musica, del teatro, della danza, della
letteratura, ecc.
Una volta che all’arte è stato permesso il passo che ne ha
autorizzato l’esistenza nel ben più vasto campo della vita, alla tavolozza
dei colori ed ai pennelli si sostituiscono i processi e le relazioni
sociali. Lo spazio della rappresentazione scenica viene sostituito
dai luoghi della vita. Alla trasversalità dei linguaggi artistici
si sostituisce la disseminazione di tali linguaggi nei nuovi linguaggi
della comunicazione. Un’epigenesi che pur non annullando la reiterata
esistenza dei tradizionali linguaggi artistici, ne crea nuovi che
risultano irriconoscibili all’interno dei vecchi schemi dell’arte.
Per fare un esempio, arte non è la realizzazione di un nuovo
prodotto visivo che può esistere esclusivamente all’interno dei nuovi
media telematici (la net art). Arte è quella coevoluzione spazio-temporale
di persone e cose che crea le premesse per l’esistenza di un nuovo
prodotto visivo che vive nei nuovi media telematici. Arte non è la
creazione dei costumi delle tute bianche che protestano per il G8,
non è l’idea originale per uno slogan politico efficace, arte è l’intero
insieme di situazioni che creano un processo di trasformazione verso
un mondo migliore.
Ma in che cosa si concretizza dunque un’opera di hacker art?
La domanda è posta male, in quanto opera d’arte non è solo
la realizzazione concreta di qualcosa, un oggetto così come un obiettivo.
Opera d’arte è tutto quell’insieme di situazioni, cose e persone,
pensieri e azioni, che partecipano alla realizzazione di un qualcosa
che migliora lo stato delle cose.
Per rispondere rinvio dunque alla lettura del testo che segue
che traccia in alcune sue parti alcuni esempi di realizzazioni di
hacker art.
La
storia
Secondo
la teoria delle transizioni, Il passaggio a un nuovo medium non si
limita a modificare modelli artistici, politici e commerciali, ma
trasforma il modo di pensare e dunque la logica alla base del pensiero
occidentale. Questo è ciò che, ad esempio, è accaduto con il passaggio
dalla comunicazione orale alla scrittura (vedi W. Ong).
Tra
le riflessioni alla base delle pratiche di hacker art vi sono
le seguenti domande:
come
cambia la mente umana e quindi la logica del pensiero occidentale
attraverso i mutamenti avviati dall’informatica e dalle reti telematiche?
I
processi messi in moto dagli intellettuali, artisti, scienziati, attivisti
e i movimenti sono in grado di intervenire in questo processo di mutamento
per garantire valori etici tra cui quelli della libertà, dell’uguaglianza,
della fratellanza, della cooperazione, del rispetto, della lealtà
e della pace?
Alla
base dell’hacker art c’è una tradizione di pensiero e di
pratiche millenarie.
Nel
dopoguerra queste tradizioni hanno continuato a contaminare la cultura
ed i saperi attraverso una linea di discontinuità che ha causato rivoluzioni
e trasformazioni nei più svariati ambiti disciplinari: scientifici,
accademici, politici, artistici, economici, mediatici, etc.
Negli
anni 50/60 l’ambito artistico assisteva alla nascita al suo interno
di movimenti e correnti quali sono stati ad esempio Fluxus,
il Situazionismo e l’arte concettuale, mentre le culture
di movimento e comunitarie incrociavano la nascita dell’Etica
Hacker e lo sviluppo di nuove forme di scienza e tecnologia.
Mentre
Fluxus portava avanti una strategia che mirava ad identificare l’arte
con la vita (e/o viceversa) attraverso gli happening, il situazionismo
sviluppava una critica al sistema delle merci e dello spettacolo attraverso
forme di decontestualizzazione e trasformazione del senso
quali ad esempio i detournament; nel frattempo il concettuale
sottraeva appigli al sistema delle merci attraverso una strategia
di smaterializzazione dell’oggetto artistico che liberava l’artista
dagli oneri della tradizione per concentrarsi sugli aspetti critici
e speculativi del fare arte.
Pur
perseguendo strategie e modalità molto differenti tra loro, negli
ambiti disciplinari più differenti sono stati condivisi, spesso in
modo inconsapevole, valori ed obiettivi:
il
rifiuto dei modelli di legittimazione del potere elaborati
dall’industria culturale e dai media.
Un
forte antiautoritarismo ed il rifiuto dei modelli istituzionali
Il
tentativo di restituire voce ai senza voce.
Il
rifiuto di delegare ad altri la propria creatività.
La
ricerca di modelli di “opera aperta” e di forme di cooperazione.
La
volontà di realizzare pratiche di impegno sociale.
Mentre
negli ambiti artistici proliferavano le operazioni di decontestualizzazione,
trasformazione e produzione di senso, di critica al sistema
delle merci e dello spettacolo, alla realizzazione di happening
ed alla smaterializzazione dell’oggetto artistico, dalla fine
degli anni Cinquanta all’interno del Tech Model Railroad Club
e tra gli hacker allievi di Minsky e McCarthy al MIT si respirava
un forte spirito di antiautoritarismo che dava luogo a pratiche
che si riconoscevano in quelle parole d’ordine che oggi sono alla
base dell’hacktivism:
l’accesso
ai saperi
metterci
le mani sopra
tutta
la tecnologia al popolo
parole
d’ordine che ritroviamo all’inizio degli anni Ottanta nelle pratiche
di hackeraggio sociale del Chaos Computer Club di Amburgo
(uno degli esempi di hacking sociale in quel periodo era per esempio
il superamento delle protezioni informatiche necessario per avere
accesso ai dati pubblici sulle case sfitte che potevano essere utili
alle lotte del movimento in difesa dei senza casa).
Il
rifiuto della delega è uno degli assunti che si riconosceva
nella ricerca di decentramento che oltre ad essere una tendenza
politica (il potere al popolo!) era anche una tendenza in certi ambiti
scientifici. E’ il caso, ad esempio, negli anni Sessanta degli studi
sulle comunità telematiche dello psicologo Licklider, così
come dei modelli di rete di Baran, del lavoro di Cerf
e molti altri. Comunità virtuali, come dice Licklider, senza
un luogo, ma basate sull’interesse comune per un argomento. Non comunità
geografiche, ma etiche; basate dunque sulla condivisione dei modelli
concettuali dell’altro.
Il
rifiuto dei modelli istituzionali ha dato luogo nel campo dell’informatica
alla nascita di un nuovo modo di programmare il computer basato sul
time sharing (ovvero la possibilità della macchina di eseguire
contemporaneamente processi di calcolo di più utenti a differenza
di ciò che avveniva nei precedenti modelli di programmazione definiti
batch file), adottato e sviluppato dagli hacker del MIT, che ha permesso
un’evoluzione delle forme di interattività nell’uso dei computer.
La condivisione del tempo macchina
L’impegno
sociale si è risolto nello sviluppo di modelli di progettazione
aperti e cooperativi che avevano come assunto la condivisione
dei saperi e
che sono alla base di Internet, della creazione del personal computer
e del software libero.
E’
il caso, ad esempio, dell’Homebrew Computer Club (il primo
club nato nel 1975 per discutere, condividere e socializzare i saperi
inerenti il nascente personal computer), del Community Memory Project
(un progetto avviato nel 1971 che da luogo alla prima comunità
virtuale cui potevano partecipare liberamente gli abitanti di San
Francisco), dei Request For Comment (RFC) di Crocker (una
delle primissime forme di programmazione cooperativa basata sulla
pubblicazione on-line di un progetto su cui si chiedeva un commento,
modifiche e migliorie; molti degli standard di Internet sono stati
creati collettivamente attraverso tale procedimento), così come del
lavoro dell’International Network Working Group. U
n esempio attuale è quello di Linux,
della Free Software Foundation di R. Stallman e in Italia il lavoro
dell’Associazione Software Libero (ASSOLI).
Mentre
nel campo artistico nascevano forme di arte collettiva (il
caso dei già citati happening, oppure di gruppi di produzione ed autogestione
del mezzo televisivo; è il caso ad esempio in California di Shamberg,
dei Radical Software, di TVTV e dell’area che si riconosceva nel libro
cult Guerrilla Television) nel campo della comunicazione si
sviluppavano fin dagli anni Sessanta forme di trasformazione e
mobilità dei media che evolveranno in quelle pratiche oggi identificate
nel settore dei media indipendenti.
La
filosofia del Fai-da-Te (Do It Yourself) unita alle utopie
comunitarie californiane trova terreno fertile nelle nuove tecnologie
per garantire l’autonomia del singolo nel gruppo. All’autogestione
collettiva dei media, si affianca la possibilità del singolo di autogestire
il proprio media indipendente. Un percorso questo che evolve in modo
trasversale nella mail-art e nel fenomeno delle fanzine
autoprodotte.
Tali
esperienze si incrociano con le speculazioni sull’intelligenza
collettiva che teorizzano e riconoscono l’esitenza di:
-
il sapere collettivo [1]
-
la disseminazione del sapere collettivo nello spazio quotidiano
degli artefatti.
[2]
Tali
esperienze si incrociano inoltre con le teorie sul decentramento
del senso attraverso le teorie su:
-
gli ipertesti (di Bush: il progetto Memex che si poneva
il problema di ordinare l’eccesso di informazione; di Nelson: il
progetto Hypertext che si poneva il problema di adeguare l’informazione
editoriale ai nuovi media informatici; di Berners Lee: il World
Wide Web che si poneva il problema della cooperazione e partecipazione
nella creazione dei saperi) e l’evoluzione dell’enciclopedia illuminista
nel web.
-
il rizoma (la riflessione di Deleuze e Guattari sul
decentramento del senso, ovvero il senso che non segue un ordine prefissato
e gerarchico di collegamenti semantici, bensì una molteplicità di
relazioni diffuse)
Nel
frattempo si stanno sviluppando anche le teorie sulla progettazione
in parallelo, sulle reti neurali ed il connessionismo.
Alla
critica dei modelli culturali di legittimazione del potere
(Foucault e la teoria del controllo sociale) corrisponde
una guerra dei segni di cui le strategie del falso sono
uno dei suoi aspetti. Vedi ad esempio le false testate di quotidiani
negli anni Settanta (Il Male), i seminari e le ricerche dei
semiologi a Bologna negli anni Settanta, il plagiarismo, o
le operazioni sul nome collettivo Karen Eliot e Luther Blisset.
Ma
la guerra dei segni si è sviluppata anche attraverso forme
di arte urbana (vedi ad esempio Fekner che all’inizio
degli Ottanta realizzava delle enormi scritte, ad esempio “Decay”,
sui muri più fatiscenti di New York. Una volta ne fece una sul
muro davanti al quale le telecamere avrebbero ripreso la mattina dopo
Reagan fare un comizio) e nel movimento dei graffiti, o attraverso
forme di hackeraggio dell’etere (vedi ad esempio Clarke
che nel solito periodo si inseriva nelle trasmissioni televisive
di alcune zone americane trasmettendo spezzoni di filmati provocatori).
La
guerra semiotica ha avuto un risvolto recente in rete con le
operazioni artistiche di:
Defacement
. Il deturnamento in rete, ovvero la sostituzione del
contenuto di un sito web con un altro contenuto, di carattere antagonista.
Spesso i testi e le immagini vengono sostituiti con messaggi rivolti
agli utenti che criticano o svelano le contraddizioni e le azioni
dei proprietari del sito stesso, quali potrebbero essere multinazionali
o istituzioni economiche.
Fake
. Il deturnamento analogico, ovvero la sostituzione
del contenuto di cartelloni pubblicitari fatta ad esempio dal gruppo
artistico Bilboard Liberation Front e dall’area di Adbuster.
Un esempio è l’azione fatta sul logo della Nike fatto grondare sangue
per criticare le sue politiche aziendali nel terzo mondo. Più in generale
rientrano in questa categoria tutte le strategie di falsificazione
di notizie (fake) mirate a portare l’attenzione dell’opinione pubblica
sulle malefatte di qualche gruppo o potentato economico o politico.
Digital
Hijacking . Il rapimento
o dirottamento virtuale dell’utente. Il motore di ricerca risponde
ad una parola chiave dirottandolo su un sito che contiene contenuti
ben differenti, spesso antagonisti, da quelli relativi all’argomento
richiesto dall’utente. Il gruppo artistico Etoy è diventato
famoso per le sue azioni di Digital Hijacking. Tale pratica è una
risposta al dominio dell’informazione che avviene in generale nel
campo dei media dove ad una ipotetica libertà diffusa di parola corrisponde
la possibilità solo per pochi di essere visibili al grande pubblico.
Uno dei modi per ottenere il dominio politico e culturale passa come
si sa attraverso il monopolio dell’informazione. Nei nuovi media on-line,
la possibilità di ottenere un’informazione da parte del grande pubblico
viene pilotata nell’utilizzo di un numero ristretto di portali e motori
di ricerca che indicizzano in modo selettivo la grande quantità di
informazioni possibili. Chi paga di più, o chi è in grado di avviare
una strategia di comunicazione complessa ed onerosa dal punto di vista
sia economico che di tempo impegnato, è colui che riesce a presentare
le proprie notizie nelle vetrine dell’informazione virtuale. Le notizie
degli altri, quelle degli individui comune, quand’anche riescono a
giungere nei luoghi deputati, rimangono sepolte nel magazzino virtuale,
tra altre migliaia o milioni di informazioni che nessuno mai avrà
la possibilità di leggere. Lo stesso fenomeno che avviene per i libri
in una libreria. Il Digital Hijacking crea una nota stonata nel coro
dominante dell’informazione dirottando le ricerche on-line dell’utente
verso siti che contengono notizie anomale rispetto alle strategie
dominanti.
Cybersquatting
. E’ la creazione di un dominio simile a quello di un
altro sito, che contiene una rappresentazione visiva simile a quella
delle pagine dell’altro sito, ma i cui contenuti sono diversi in dei
punti fondamentali. Il gruppo artistico ® tm
ark è famoso per le sue azioni di cybersquatting, oltre
che per il finanziamento di altre operazioni di hacktivism. In generale
le azioni più famose di cybersquatting sono state quelle rivolte contro
le grandi organizzazioni economiche e politiche, quale è stata quella
verso il WTO in occasione delle manifestazioni dei movimenti no global.
Queste
ultime operazioni hanno in comune la messa in discussione del senso
dominante. Fanno controinformazione non solo fornendo punti
di vista differenti sullo stato delle cose, ma mettendo anche
in crisi la legittimazione e l’autorità dei media ufficiali. Esportano
scetticismo, instillano un dubbio nella coscienza, producono
senso non autorizzato.
L’obiettivo
infine di dare voce ai senza voce, di restituire a chiunque
libertà creativa ed autonomia di espressione è stato un assunto che
ha attraversato moltissime esperienze dell’attivismo in rete: dalle
prime comunità virtuali, alle reti di BBS, al cyberpunk
(vedi in Italia il gruppo Decoder, www.decoder.it),
alle esperienze dei netstrike (www.netstrike.it) nati in Italia nel 1995
grazie a Strano Network e poi diffusi in seguito in tutto il
mondo, fino alle esperienze dei cosiddetti media indipendenti che
nella telematica hanno avuto in Europa un punto di riferimento nell’European
Counter Network nella seconda metà degli anni Ottanta e quì in
Italia nella rete di BBS Cybernet, per arrivare nella seconda
metà degli anni Novanta alle esperienze di Isole nella Rete (www.ecn.org),
al recente Indymedia (www.indymedia.it),
Autistici (www.autistici.org),
Inventati (www.inventati.org),
Copydown (www.copydown.org),
Postaxion Mutante (www.strano.net/mutante/),
Neural (www.neural.it),
Rekombinant (www.rekombinant.org),
www.italian.it/isf/, Mega Chip megachip.info,
Radio Gap (
www.radiogap.net)
, Rete Lilliput (
www.retelilliput.org),
Tactical Media Crew ( www.tmcrew.org), Ya Basta (www.yabasta.it), Incal.net
(incal.net/news/),
www.informationguerrilla.org,
www.nonluoghi.it, www.ecn.org/sotto-accusa/,
Avana (avana.forteprenestino.net)
e a molti altri ancora.
Tra
le esperienze più tipicamente riconoscibili nel campo artistico si
ha invece in Italia il già citato gruppo Strano Network (www.strano.net ), Hacker Art (www.hackerart.org ) di Tommaso Tozzi, il gruppo Candida TV
( candida.kyuzz.org),
Giacomo Verde (www.verdegiac.org),
Massimo Cittadini, i Giovanotti Mondani Meccanici ( www.dada.it/gmm/),
l’esperienza di D.I.N.A. (digital_is_not_analog), il gruppo
EpidemiC (www.epidemiC.ws), gli
0100101110101101.ORG
www.0100101110101101.ORG)
, The Thing (www.thething.it),
Helena Velena (www.helenavelena.com),
Wu Ming (www.wumingfoundation.com),
il già citato Luther Blisset Project
(www.lutherblissett.net), Jaromil
(www.dyne.org) e molti altri più
o meno istituzionalizzati.
All’estero
tra i gruppi storici all’estero vi sono The Hacktivist (www.thehacktivist.com ), Autonomedia (www.autonomedia.org), l’Electronic Frontier
Foundation (www.eff.org), Xs4all
(www.xs4all.nl), Syndicate
www.v2.nl/mail/v2east/, Media Filter
www.mediafilter.org, The
Thing (bbs.thing.net/login.thing)
di Wolfgang Sthaele, i Critical Art Ensemble (www.cae.org),
Ricardo Dominguez e l’Electronic Disturbance Theatre
(www.thing.net/~rdom/ecd/ecd.html),
®™ARK (www.rtmark.com ), gli Etoy (www.rtmark.com/etoy.html),
Nettime (www.nettime.org
), Rhizome (www.rhizome.org),
Vuk Cosic (www.ljudmila.org/~vuk/),
gli Electro Hippies www.fraw.org.uk/ehippies/index.shtml,
la Free Software Foundation di R. Stallman e tantissimi altri
ancora.
Tutte
le esperienze descritte fino ad ora condividono buona parte degli
assunti base dell’etica hacker. Un’etica che ha origini millenarie
e che ha ispirato le pratiche che si riconoscono nel termine hacktivism.
Un’etica che è alla base degli hackmeeting italiani (www.ecn.org/hackit02/),
momenti di incontro annuali a cui partecipano dal 1998 migliaia di
persone che si riconoscono nelle culture dell’hacktivism.
L’hacktivism
è un’attitudine...
...molto
più diffusa di quanto non si creda!
Cyberpunk e net art.
Ma
quali sono state le principali correnti artistiche che hanno istituzionalizzato
tale attitudine nell’ultimo quarto di secolo?
Il
Cyberpunk e la Net Art.
Il
cyberpunk degli anni Ottanta è paragonabile per il tipo di
fascinazione a quel fenomeno che negli anni Novanta si è voluto chiamare
“net art”. Presenta un’analoga capacità di fare presa su un’area di
underground artistico che è interessata ad esprimersi attraverso l’uso
delle nuove tecnologie. Il primo però, pur essendo un’invenzione letteraria,
riesce, grazie ad una semplice combinazione di parole ad affiancare
a tale categoria altre due aree di persone che fino a quel momento
non avevano un’identità comune in cui riconoscersi: l’area dell’autogestione
radicata nel movimento Punk con interessi verso un uso antagonista
dei media e in particolare dei nuovi media, con l’area degli smanettoni
del computer con vocazioni anarcoide e una dichiarata simpatia verso
l’underground. Se a ciò si aggiunge l’adesione con l’area della psichedelia
si capisce che il cyberpunk, pur essendo un’invenzione, ha avuto la
capacità di farsi promotore di una mutazione ricombinante di aree
socialmente ben radicate. Per tale motivo il cyberpunk ha avuto una
forte presa sulle nuove generazioni con una spinta non solo dall’alto
(i media mainstream) ma anche dal basso che ne ha garantito la diffusione
ed un genuino radicamento nelle culture giovanili.
A
differenza del cyberpunk il fenomeno della net art non è stata
un’invenzione letteraria, ma è stato pilotato da un altro tipo di
istituzioni legate all’establishment ufficiale dell’arte. Proposta
da un gruppo di artisti europei, la net art è stata formalizzata di
fatto attraverso un evento sponsorizzato dalla Biennale di Venezia
nel 1995 e quindi è esplosa attraverso l’appoggio di una molteplicità
sia di Centri di ricerca sui Nuovi Media europei, sia di progetti
finanziati dalla Comunità Europea e in particolar modo con l’appoggio
nell’Europa orientale del finanziere Soros. Facendo proprie una serie
di nuove pratiche del fare arte, la net art è riuscita ad imporsi
in brevissimo tempo nel panorama artistico internazionale grazie all’azione
congiunta di istituzioni, meeting (il ciclo di Next Five Minutes),
mostre (ad esempio anche Documenta a Kassel, oppure Ars Electronica
a Linz) in cui sponsor di vario tipo trovavano nell’area della mailing
list Nettime il referente artistico per l’improvvisa notorietà e diffusione
della rete Internet. Sebbene il nucleo dei fondatori della net art
avesse contatti e radicamento nell’area dell’antagonismo, il termine,
forse anche solo per questioni linguistiche, ma più probabilmente
per un’incapacità di far presa realmente sul movimento hacker, non
ha funzionato nella capacità di arginare gli assalti con cui il mercato
ha cercato di appropriarsene. Così net art è diventata anche la vendita
di quadri on-line o altre amenità del genere.
Sia
il cyberpunk che la net art hanno però prodotto pratiche nuove, forme
di aggregazione e dunque dato spinta a nuove ricerche che adesso cercano
di ritrovare un’identità comune nel nuovo termine hacktivism,
mutuato in certe sue propaggini in artivism.
La net art antagonista.
Quella
che segue è una lista di alcune tra le principali situazioni o eventi
collegati a ciò che si può definire l’area della net art antagonista.
Nel
1985 nasce la rivista olandese “Mediamatic” (www.mediamatic.nl/magazine/magazine.html)
che si occupa di critica e cultura dei nuovi media. Tra i suoi più
attivi collaboratori vi è G. Lovink (anche membro della rivista “ctheory”
e del gruppo Bilwet/Adilkno).
Nel
1989 T. Tozzi crea il termine “hacker art” che l’anno successivo diventa
il nome di una BBS intorno a cui si forma una comunità virtuale. Hacker
Art BBS (www.hackerart.org) nella sua totalità di
relazioni e contenuti viene proposta ed esposta saltuariamente come
opera d’arte all’interno delle gallerie e i musei ufficiali.
Nel
1991 nasce The Thing bbs (http://bbs.thing.net/login.thing)
realizzata da W. Staehle. Tra i suoi attuali collaboratori vi è R.
Dominguez. The Thing inizia come un Bulletin Board System che si occupa di arte contemporanea
e teoria culturale.
Nel
1993 viene realizzato un primo Next Five Minutes in Amsterdam, è un
incontro tra video-attivisti. Tra questi vi è Paul Garrin, video-attivista
di New York che lo stesso anno riprende con la telecamera una manifestazione
in Tompkinson Square.
Etoy
è un gruppo di artisti che si occupa di hacktivism e che si forma
a Zurigo nel 1994.
Nel
1994 al Chicago Cultural Center A. Muntadas realizza un’installazione
attraverso cui è possibile collegarsi al sito internet “The File Room”,
realizzato dall’artista per l’occasione, che contiene un archivio
di alcune famose censure nella cultura e nell’arte.
Nel
1995, THE THING
viene rinnovata e si trasferisce sul web.
A
giugno del 1995, in occasione della Biennale di Venezia, un gruppo
di artisti e intellettuali da tutta Europa viene invitato a gestire
uno spazio per tre giorni. Tale incontro segna la nascita della mailing
list internazionale Nettime tra i cui principali promotori vi sono
G. Lovink e P. Schultz. Tra gli italiani invitati vi sono T. Tozzi
e A. Ludovico (Neural).
Di seguito la pagina introduttiva al sito
della mailing list Nettime: “<nettime> is not just a mailing
list but an effort to formulate an international, networked discourse
that neither promotes a dominant euphoria (to sell products) nor continues
the cynical pessimism, spread by journalists and intellectuals in
the 'old' media who generalize about 'new' media with no clear understanding
of their communication aspects. We have produced, and will continue
to produce books, readers, and web sites in various uages so an
'immanent' net critique will circulate both on- and offline. <nettime>
is slightly moderated. History: the formation of the nettime group
goes back to spring 1995. A first meeting called <nettime> was
organized in june 1995, at the Venice Bienale, as a part of the Club
Berlin event. The list itself took of the fall. A first compilation
on paper appeared in January 1996, at the second Next Five Minutes
events (the so-called ZKP series). The list organized its own conference
in Ljubljana in May 1997, called 'The Beauty and the East'. A 556
pages nettime anthology came out in 1999: Readme! Ascii Culture and
the Revenge of Knowledge” (Lovink et al., 1999, http://nettime.org/info.html).
Poco dopo, ad ottobre, si tiene
a Budapest il convegno Metaforum II organizzato dall’area della mailing
list Nettime.
Il
termine “net art” inizia ad essere usato nel 1995, si dice, da V.
Kosic, artista dell’area della Nettime.
Dal
1995 A. Broeckmann inizia a lavorare al V2_Organisatie Rotterdam (Institute for the Unstable Media)
(www.v2.nl/index.php).
A
gennaio del 1996 viene organizzato ad Amsterdam e Rotterdam il convegno
Next Five Minutes, organizzato dall’area della mailinglist Nettime.
In quell’occasione viene pubblicato “ZKP – ZH Proceedings 1995 – version
1.0”, the Next Five Minutes Edition, che raccogli alcuni degli atti
del convegno Metaforum II tenutosi a Budapest a ottobre del 1995 e
alcuni degli atti del convegno in corso ad Amsterdam. Per gli italiani
partecipano i gruppi Decoder e Strano Network.
“Durante
la conferenza "Next Five Minutes" a Rotterdam (Amsterdam)
a febbraio del 1996, un gruppo di 30 persone fondano il Syndicate, che venne creato
come base per lo scambio di informazioni tra gli attivisti culturali
della parte Orientale e quelli della parte Occidentale dell'Europa.
Il cuore del Syndicate è la sua mailing list, il cui host è l’Ars
Electronica Center a Linz e coordinata da V2_Organisation
a Rotterdam. Il Syndicate Network, è un progetto sperimentale di ricerca
sulle possibilità di costruire aperte comunità attraverso la cultura,
utilizzando i benefici di vantaggiosi media in strutture decentralizzate,
come Internet.
A
febbraio del 1996 viene fondata in Germania “Rhizome” (www.rhizome.org)
da Mark Tribe. Alex Galloway, attuale editore e direttore dei contenuti
e della tecnologia di Rhizome entrò nel gruppo nell'agosto del '96,
quando l’organizzazione si spostò a New York. Si tratta di un'organizzazione
internazionale senza scopo di lucro che si occupa di arte e nuovi
media con un’attenzione particolare alla net art. Rhizome ha 6.000
membri in oltre 75 paesi del mondo. Il suo scopo è di essere una specie
di centro propulsore online per gli artisti e chiunque sia interessato
alla nuova arte mediatica, un meccanismo che permette a persone diverse
di comunicare, scambiarsi idee, discutere sulle proprie opere, commentare
opere altrui, o anche scrivere saggi teorici.
Intorno
al 1996 nasce ®™ARK (www.rtmark.com),
una società negli Stati Uniti che finanzia progetti per il sabotaggio
dei nuovi miti dell'era digitale. Questo tipo di finanziamento permette
agli investitori di conservare l'anonimato e di evitare ogni tipo
di responsabilità legale. ®™ARK si serve del sabotaggio per creare
scoop sensazionali sulla stampa e sui media, per far conoscere gli
abusi delle società commerciali verso le leggi e la democrazia. Tra
i progetti finanziati vi sono The etoy Fund, The Barbie Liberation Organization e
The Zapatista Floodnet.
A
marzo del 1996 iniziano i primi Digital Hijack. Gli Etoy fanno un
Digital Hijack ai danni del motore Altavista.
Nel
1997 esce “ZKP4. Beauty and the East” una raccolta di testi dalla
mailing list Nettime.
Nel
1998 Max Kossatz progetta "The
Thing Communicator" che da a The Thing la sua attuale forma
(http://bbs.thing.net/).
Nel
1999 la multinazionale Etoys cerca di far chiudere il sito degli Etoy.
Dopo diverse cause legali e una mobilitazione massiccia del popolo
della rete, la multinazionale perde la causa.
Ad
ottobre del 1999 partono le Etoywar (www.toywar.com).
Nel
1999 in occasione del meeting “Next Five Minutes 3” ad Amsterdam viene
pubblicato il catalogo “N5M3.
Next Five Minutes 3 Workbook”. Durante il N5M3 conferenze su: Art of Campaigning,
Net.Activism, Media & Conflict Resolution, Art After Activism.
Tra gli italiani presenti è
forte la presenza del gruppo Avana.
Nel
1999 l’area della mailing list Nettime scrive “Readme!” (AA.VV., 1999b).
A
settembre del 2000 si svolge a Bologna D.I.N.A (digital_is_not_analog)
un meeting che vuole far conoscere i principali esponenti della net
art. Tra i partecipanti alla prima edizione vi sono Vuk Cosic e RTMark.
Nel
2000 Jaromil realizza il software per fare un’Hascii cam (www.dyne.org).
Nel
2001 nasce il gruppo EpidemiC (www.epidemiC.ws).
Dall’etica hacker all’hacktivism.
Alla
base sia del cyberpunk, che dell’hacker art e della net art vi è l’etica
hacker in senso più generale.
Ad
una primordiale etica della ribellione nel campo dell’informatica
negli anni Sessanta, maturata più che altro nei centri di ricerca
dove si sviluppavano tali nuove tecnologie, ed ad un impegno sociale
in tale settore realizzato attraverso la ricerca scientifica di nuove
soluzioni che restituissero miglioramenti sociali diffusi, si è passati
subito dopo il ’68 e dunque all’inizio ed in particolar modo intorno
alla metà degli anni Settanta al tentativo di trasportare l’etica
del movimento nelle nuove tecnologie della comunicazione. Si è dunque
assistito in quel periodo alla nascita delle prime comunità virtuali
ed ai primi modelli di cooperazione on-line; da una parte per finalità
scientifiche, dall’altra per finalità sociali.
Il
phreaking degli anni Settanta è stato una primordiale fase di attivismo
rivolta al diffondere tecnologie che permettessero a tutti di usare
il telefono gratuitamente per comunicare. Ma è negli anni Ottanta
con il cyberpunk che esplodono le pratiche di hacking sociale attraverso
cui la tecnologia veniva messa a disposizione del movimento per migliorare
le lotte per la difesa dei diritti sociali. Tale periodo segna una
svolta da una fase principalmente mirata a “costruire” le tecnologie,
i luoghi e le reti alternative (il fenomeno delle BBS esploso nella
metà degli Ottanta sarà per una decina di anni fondamentale per il
movimento), ad una fase mirata ad “usare” le tecnologie come strumento
di conflitto sociale. E’ negli anni Ottanta che le società internazionali
iniziano ad usare le reti per archiviare i dati della vita pubblica,
così come i saperi e le culture globali, ma anche a trasformare e
trasportare la struttura economica sociale in modelli reticolari e
digitali. In tale transizione globale il movimento degli anni Ottanta
colloca le pratiche di hacking sociale mirate a “liberare” i saperi
allucchettati nelle nascenti banche dati informatiche, ma contemporaneamente
usa gli archivi digitali e il modello della rete sia per fare controinformazione,
che per seminare e sviluppare comunità virtuali alla ricerca di un
modello di mondo migliore.
Le
grandi questioni sui diritti sociali sono il tema intorno a cui fioriscono
le principali comunità antagoniste, pacifiste, ambientaliste, ecc.
in quel periodo.
Sebbene
gli hacker (sia nel campo della Scienza, che in quello dei movimenti)
siano stati tra i fautori della rivoluzione digitale e telematica
negli anni Sessanta e Settanta, negli anni Ottanta le comunità hacker
iniziano a dover fare “resistenza” a causa della repressione sociale
e culturale che affianca lo sviluppo dell’economia digitale. Contemporaneamente
però nascono quei progetti di “liberazione del software” che negli
anni Novanta avranno un enorme seguito al punto da diventare parte
ineludibile dell’economia globale.
Negli
anni Novanta, le grandi guerre internazionali, dalla guerra del Golfo
in poi, sono il banco di prova dei movimenti per usare le reti come
nuovo media di massa liberato dalle logiche dei potenti. Un nuovo
media in cui la moltitudine diventa soggetto attivo.
E’
grazie al web e dunque in particolar modo dalla metà degli anni Novanta
che l’uso oramai diffuso delle reti permette il consolidarsi e l’affermarsi
dell’Hacktivism come nuovo modello del conflitto sociale e dell’attivismo.
L’uso mediatico di tale mezzo per diffondere la causa Zapatista è,
tra gli altri, un cavallo di Troia che convince anche le anime più
luddiste nel movimento ad usare la rete per sviluppare forme di attivismo
on-line. Negli anni Novanta, grazie al web e ad altre parti di Internet
fioriscono nuovi linguaggi dell’attivismo on-line, nuove pratiche,
nuove strategie e dunque nuove tattiche d’uso del mezzo. Inoltre,
così come il cyberpunk aveva perforato il campo della letteratura
negli anni Ottanta, l’hacktivism dilaga nella seconda metà degli anni
Novanta in vari settori della cultura ed in particolar modo in quello
artistico, trovandovi nuovi terreni su cui coltivare la trasformazione
verso un mondo migliore.
Il contributo della rete alla protesta.
La
rete oltre ad offrire dei vantaggi legati al fattore tempo, ad esempio,
la velocità di diffusione del dissenso, fornisce nuove possibilità
legate al fattore dello spazio. In particolar modo la capacità di
creare un movimento globale di protesta su questioni che interessano
tutti. Mentre l’economia diventa globale, la protesta ed i movimenti
trovano in Internet un nuovo modello attraverso cui ricompattarsi
per contestare le politiche internazionali. Al monopolio globale dell’economia
e dell’informazione risponde un movimento globale che cerca di far
si che l’universalità non diventi totalitarismo.
Un’altra forza per il movimento è il
potenziale alto grado di diffusione della notizia a
costi minimi. La duplicabilità dell’informazione e la sua duttilità,
intesa come capacità di essere trasposta sui vecchi media analogici
(ad esempio la carta) moltiplica le capacità pervasive della protesta
on-line. A questi come ad altri fattori preminenti, se ne affiancano
altri quale ad esempio l’alto grado di complessità messo in moto da
questo media nel campo della comunicazione. Una complessità tale da
lasciare aperti un’infinità di nuove tattiche della protesta. La
rete, infine, potenzia un campo
del conflitto, quello mediatico, in cui il dissenso non implica il
sangue. Buona parte della forza del movimento di Seattle risiede,
si è visto ad esempio a Genova, nella capacità di informare l’opinione
pubblica in tempo reale, a cui si sovrappone la creazione di un “teatro
del conflitto” (le tute bianche), inteso come rappresentazione del
dramma all’interno del dramma stesso (un espediente per colpire più
efficacemente la mente degli spettatori). Tutto ciò attraverso strumenti
di comunicazione o di difesa (non di offesa). Le forze dell’Ordine
reagiscono riportando il conflitto sul piano fisico e rendendo il
sangue reale l’elemento simbolico soggetto del conflitto.
La
rete permette un tentativo di aggiramento di tali logiche riuscendo
(parzialmente) ad evitare la sussunzione da parte dei media governativi
dell’hacktivism nei termini “terrorismo” o “criminale”. Purtroppo
in uno scenario dell’informazione, da una parte anestetizzato dai
fatti sportivi e dai varietà e dall’altro terrorizzato dagli incubi
delle guerre reali o simulate, ricevere l’attenzione dell’opinione
pubblica per comunicargli le malefatte dei potenti diventa un’impresa
ardua. L’immaginazione e la creatività nelle pratiche hacktivist diventano
dunque elementi chiave per un loro successo. Il passa parola e il
dialogo diretto tipico delle comunità virtuali (oltreché naturalmente
reali) diventa un altro elemento chiave indispensabile.
La
creazione del teatro del conflitto richiede delle competenze non solo
politiche, ma anche di carattere tipicamente artistico. La creazione
di una drammaturgia, degli stessi elementi scenici e la stessa messa
in scena prevede una complessità di fasi in tempi e spazi differenti
in cui le tradizionali competenze artistiche possono fornire un valido
aiuto.
Ma
affermare questo significa non porre in questione il tradizionale
statuto artistico.
Una nuova concezione di opera d’arte.
Di
fatto nel Novecento si è progressivamente affermata una nuova concezione
dell’arte che non si riconosce all’interno degli schemi ontologici
tradizionali.
Arte
non significa arti applicate. Arte non significa un’indagine su aspetti
metafisici sviluppata attraverso i linguaggi artistici della tradizione.
Arte non è ciò che può essere riconoscibile all’interno del campo
della pittura, della musica, del teatro, della danza, della letteratura,
ecc.
Una
volta che all’arte è stato permesso il passo che ne ha autorizzato
l’esistenza nel ben più vasto campo della vita, alla tavolozza dei
colori ed ai pennelli si sostituiscono i processi e le relazioni sociali.
Lo spazio della rappresentazione scenica viene sostituito dai luoghi
della vita. Alla trasversalità dei linguaggi artistici si sostituisce
la disseminazione di tali linguaggi nei nuovi linguaggi della comunicazione.
Un’epigenesi che pur non annullando la reiterata esistenza dei tradizionali
linguaggi artistici, ne crea nuovi che risultano irriconoscibili all’interno
dei vecchi schemi dell’arte.
Per
fare un esempio, arte non è la realizzazione di un nuovo prodotto
visivo che può esistere esclusivamente all’interno dei nuovi media
telematici (la net art). Arte è quella coevoluzione spazio-temporale
di persone e cose che crea le premesse per l’esistenza di un nuovo
prodotto visivo che vive nei nuovi media telematici. Arte non è la
creazione dei costumi delle tute bianche, non è l’idea originale per
uno slogan politico efficace, arte è l’intero insieme di situazioni
che creano un processo di trasformazione verso un mondo migliore.
Sarebbe
dunque l’ora che si inizi a leggere recensioni d’arte che non per
forza parlano di mostre o eventi riconoscibili come tali. Sarebbe
l’ora che nei libri d’arte, nelle gallerie e nei musei non vengano
presentate come arte in rete solo quei lavori o situazioni che o presentano
degli elementi di continuità con i linguaggi artistici tradizionali
o sono comunque implicati in meccanismi di mercato artistici.
I
media e i luoghi istituzionali dell’arte italiana e non solo dovrebbero
assumersi l’onere, oltre che l’onore, di partecipare e contribuire
alla transizione socio-culturale ed antropologica in corso. Sarebbe
l’ora che lo Stato smettesse di considerare l’arte semplicemente come
uno specchio delle allodole per far entrare i soldi dei turisti nelle
proprie casse e si prodigasse per finanziare e promuovere quelle situazioni
che sebbene all’interno della cornice del conflitto sono in grado
di innestare meccanismi evolutivi di trasformazione indispensabili
per la società.
Come
dunque riconoscere e definire ciò che è arte da ciò che non lo è.
Un
problema minore, che serve solo a gestire il trasferimento della memoria
sociale.
Comunque
la soluzione è il sentimento, l’empatia, il senso di appartenenza.
Ci
si riconosce di appartenere all’interno di un determinato modello
e lo si definisce arte.
L’hacktivism
è un’attitudine. Tutto ciò che è hacker art ne determina la sua riconoscibilità.
[1] Nel 1976 M. Turoff scrisse: “Credo che lo scopo
ultimo delle teleconferenze sia consentire a gruppi umani di esercitare
l’“intelligenza collettiva”. Il computer, in quanto strumento che
consente ai gruppi umani di dimostrare intelligenza collettiva,
è una concezione nuova. In linea di principio un gruppo, se funzione,
dimostra un’intelligenza superiore a quella di cisacun suo membro.
Nei prossimi decenni i tentativi di progettare strutture di teleconferenze
che consentano di trattare un certo problema complesso con un unico
cervello collettivo possono dare all’umanità più vantaggi di tutti
gli esperimenti di intelligenza artificiale compiuti finora.
[2] L'intelligenza collettiva
non è semplicemente un modo di lavoro collettivo. È anche una modalità
operativa di conoscenza del mondo. Di fatto non sarebbe possibile
ritenere l'enorme quantità di informazioni significative che ogni
giorno, fin dalla nascita, percepiamo attraverso l'esperienza. Per
fronteggiare questo problema l'umanità ha creato nel suo procedere
storico un'enormità di artefatti cognitivi, disseminati negli oggetti,
nei testi, nei comportamenti e nella lingua in generale. Ovverosia
gli oggetti si danno alla nostra percezione fornendoci attraverso
forma e sostanza le tracce inerenti al loro senso ed uso. In pratica
il processo del nostro pensiero non si avvale esclusivamente degli
input che emergono dall'interno, ma si appoggia a una parte della
mente disseminata negli artefatti cognitivi di cui il mondo abbonda.
Il nostro pensiero, funziona grazie ad una parte della nostra mente
collettiva che risiede nelle cose che ci circondano e che sono il
prodotto delle molteplici culture che si sono susseguite, mescolate,
sussunte e rielaborate. Le interfacce digitali contengono oggetti
virtuali cui la nostra mente si appoggia per elaborare il pensiero,
così come per farci agire. Parte della nostra mente risiede dunque
fuori di noi, negli oggetti di uso quotidiano, nello spazio che
ci circonda, così come nelle interfacce digitali.
Questo
vuol dire che non possiamo fare a meno dell'intelligenza collettiva
per elaborare pensieri sensati. Che, dunque, qualsiasi cosa prodotta
da ognuno di noi è contemporaneamente anche il frutto dello sforzo
del resto della collettività nello spazio e nel tempo.