Virtuale: ciò che non è attuale,
potenza e forza sospesi nelle infinite possibilità della loro
realizzazione.
Aristotele, e poi i filosofi della Scolastica, come
San Tommaso D’Aquino, avevano ben chiaro il senso preciso di un
concetto che oggi si tende a tradurre come realtà "fittizia",
parallela, se non alternativa, al mondo "concreto".Il termine
"virtuale" ha subito nell’uso comune una parabola semantica
discendente, analoga a quella accaduta alla nozione di "amore
platonico", che è passato dall’iniziale ricchezza filosofica ad
indicare il desiderio senza "consumazione" sessuale. Qualcosa,
insomma, che poco o nulla ha a che fare con la capacità di mostrare
ed attuare le nostre intenzioni nel tessuto dei rapporti di forza
individuali e sociali. Se questo accade, naturalmente, è possibile
perché corrisponde al modo di proporre ed usare la Rete che oggi si
vorrebbe dominante. Usiamo dunque l’etimologia come strumento per
ridefinire e riaprire la questione delle possibilità "politiche"
della Rete. Il polo dialettico del virtualis non è la realtà
materiale, ma l’attuazione materiale dell’imminente e del possibile
a partire dalla dimensione estrema dell’esplorazione concettuale dei
modelli e degli schemi del gioco.Il virtuale emerge dalle
strutture di energia- materia dello spazio- tempo, l’hardware del
mondo, non per costituirne un simulacro alternativo , ma per dare
voce e vita moltiplicata ed interattiva al pensiero del
mondo.
Il processo di virtualizzazione ha
accompagnato ogni passo significativo dell’umanità. Il linguaggio,
la cultura, la tecnologia ed i rapporti sociali sono tutti esempi di
entità virtuali. Ad esempio, quando un rapporto sociale è codificato
in qualche modo, esso funziona da norma astratta , da regolatore di
tutte quelle circostanze in cui è necessario disporre di una formula
definita da "implementare" in una situazione concreta.Il linguaggio
è una risorsa collettiva a cui tutti possiamo attingere per
comunicare e che, allo stesso tempo, definisce la nostra "sostanza"
sociale.Un libro è una narrazione in grado implementarsi
continuamente. Anche un manufatto "materiale" ha una componente di
"virtualità". L’atto del dissetarsi o del bere è virtualmente
fissato nella forma di un bicchiere, ad esempio. Possiamo dunque
definire il processo di virtualizzazione come quel
processo che
sottrae all’ "ora" ed all’ "adesso" un evento per renderlo
disponibile ad ogni "ora" ed ogni "adesso" possibile: possibilità
permanente.
La Rete oggi è il più potente strumento di
virtualizzazione che l’umanità abbia mai conosciuto.
Il Cyberspazio permette una condivisione
dell’informazione decentrata con tempi di trasferimento
trascurabili, praticamente vicini allo zero dal punto di vista
dell’utente. Se immaginiamo una topologia dello spazio delle
comunicazioni, la Rete realizza qualcosa di differente dagli altri
media, perché la sua natura tecnologica tende a modellarsi in
relazione alla propria vocazione di area attivamente condivisa.Pur
con tutti i suoi problemi irrisolti, l’Open Source ed il
peer-to-peer di Richard Stallman e Linus Torwald fanno parte della
fisionomia genetica della Rete. La televisione, ad esempio, è
un attrattore a punto-fisso che chiama gli utenti,
passivamente, ad un’ interfaccia cognitiva unica, che al
limite può offrire soltanto la possibilità del rifiuto. Essa è
ancora l’espressione di una forma centralizzata dell’autorità
e dell’autorevolezza, che si diffonde verso i recettori,
per il resto frammentati ed isolati. Non è un caso se i "salotti
dalla politica" sono televisivi per natura ed hanno un pessimo
rapporto con Internet. La Rete esprime invece la tendenza ad un
sistema complesso di auto-organizzazione dinamica centrata su
nuove possibilità di relazioni partecipatorie tra gli utenti.
Questa Mente Globale lavora incessantemente e vive una propria
vita grazie all’attività interattiva dei milioni di
neuroni-utenti che la costituiscono. L’Essere
Collettivo che così viene ad esistere, "vive", "ricorda",
"pensa","immagina" e "sogna", mostra "comportamenti" e
"tendenze",esprime allo stesso tempo le regole,i codici e la loro
violazione, intelligenza e banalità. E’ mercato ed agorà
assieme.Non esistono "cinture di sicurezza" che non siano quelle
dell’interesse, dell’affinità e dell’accesso. Il modello
centralizzato è superato da una decentralizzazione dinamica, dunque
non-frammentaria, non identificabile con "particelle" dal ruolo
predefinito nel gioco dei flussi informativi. Il punto essenziale
qui è comprendere che il modello mediatico centralizzato è un
modello ad alta prevedibilità asintotica: l’informazione
viene creata alla sorgente per passare ad un livello massimo di
distribuzione, dove alla fine si logora e si degrada.La Rete è un
sistema amplificatore di informazioni, dove il
"messaggio" si modifica e si accresce ad ogni passaggio, ritorna
continuamente in circolo arricchito di connessioni che rappresentano
tanti modi di intenderlo e svilupparlo.E’ possibile un effetto
farfalla: l’informazione
può esplodere
esponenzialmente in un modo incontrollato e sconosciuto agli
altri media. Questo fatto è connesso direttamente alla possibilità
di mettere in gioco più interfacce cognitive contemporaneamente,
portando dentro la Rete la pluralità di connotazioni culturali,
estetiche ed emotive che prima erano proprie soltanto della
contiguità "reale" tra le persone, e quello che può andare perduto
in termini di comunicazione biologica
diretta, può essere
ritrovato come capacità di liberazione dal proprio ruolo sociale
immediato.Il Cyberspazio non è popolato da persone
unidimensionalmente "reali", confinate nello spazio-tempo che fu già
di Newton e di Einstein, ma è piuttosto attraversato da nuvole
cangianti di significati viventi. Come un astronauta,
un guerriero o un clown, il cybernauta deve indossare un
abito-maschera per le alte virtualità, il suo avatar,
la sua proiezione nel regno del possibile. Si tratta di creature
pluridimensionali, polimorfe, asessuate ed eroticamente pervasive,
capaci di ripensare e moltiplicare la loro comunicazione sociale e
sessuale in una molteplicità di ruoli che ribalta ogni categoria
tradizionale in uno spazio senza luoghi ed in un tempo senza limiti.
E proprio come l’identità personale, anche il concetto di "privato"
è destinato a subire in Rete delle profonde modificazioni ed
un’erosione dei significati tradizionali.
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Alan Turing aveva definito il suo modello di
computazione universale, la Macchina di Turing, come automa
polivalente su un nastro infinito di memoria. Spazio e tempo
infiniti, eterni, non-viventi dunque. Possibilità seducente
ed estrema, dunque pericolo : assenza di confini, di attriti,
esasperazione puramente mentale di ogni sensazione, assenza di
dolore concreto e diretto. Il problema dell’incorporeità del
cybernauta è anche il suo pericolo maggiore durante la navigazione.
Il filosofo Robert Nozick ha ipotizzato la "macchina dei desideri",
che può aiutarci a capire questo punto. Immaginiamo di poter entrare
in una macchina che crea la realtà come noi la vorremmo. Come
potremmo capire che questa "realtà" non è la Realtà? Semplice,
risponde Nozick: l’assenza di ogni tipo di "attrito" o "resistenza"
nelle situazioni, negli interlocutori, nei fatti. Mancherebbe non
soltanto la contraddizione, ma persino la sfortuna, le
malheur, il segno tangibile che ogni nostro piano deve fare i
conti con i piani degli altri, ed il loro intersecarsi in un mondo
complesso.
La Rete è sospesa oggi tra due scenari in equilibrio
instabile: da una parte la vitalità della risorsa collettiva,la
virtualità "virtuosa", la condivisione e lo sviluppo delle
conoscenze e dei progetti; dall’altra il "congelamento" della
virtualità come vita "artificiale", parallela, alternativa ed in sé
conclusa,la virtualità senza vitalità della macchina dei desideri.
Il futuro politico della Rete si decide proprio in rapporto al
prevalere o meno di una di queste due possibilità. O comunque dalla
misura in cui almeno una di esse riuscirà a restare una pratica
possibile.
L’identità di un individuo, la sua possibilità di
realizzarsi come persona, dipende interamente dalle risorse sociali
da cui traiamo non soltanto nutrimento fisico ma soprattutto
culturale.Dobbiamo chiederci allora quale significato dare alla
dimensione "altra" e "parallela" del virtuale, ben sapendo che
questo processo non può avere più regole di quanto non ne tolleri
l’attività immaginativa stessa, ma consapevoli che bisognerebbe
almeno tentare la coniugazione disperata dell’immaginazione con il
progetto, e di questo con la realtà. Il Cyberspazio si pone in modo
naturale con le caratteristiche dell’ Utopia, il
non-luogo da cui osservare criticamente il mondo, parlarne
per metafore e modelli nella fiducia essenziale della nostra
capacità di volerlo cambiare. Ma tutte le utopie fino ad oggi
concepite, dalla Repubblica di Platone alla Città del Sole di
Campanella, dall’isola omonima di T.More alla Nuova Atlantide di F.
Bacon, fino ai progetti del socialismo "utopistico" dei primi
dell’800, contengono un rischio che potremmo definire
strutturale: quello di cristallizzare la visione critica ed
il progetto in sogno, fuga o prigione ideologica. E’ accaduto così
che le geniali intuizioni romantiche sulla "modernità" di Blake e di
Shelley, ricche di intenzionalità di cambiamento sociale, si
trasformassero nei compiacimenti egocentrici del dandismo; è
accaduto che progetti per nuovi modi di pensare il mondo si
tramutassero in gomitoli di filo spinato. La Parola del Libro si
fissava in un Progetto, mediato da esegeti e catalizzato da
realizzatori. Il risultato finale veniva poi confrontato con
il modello originario. Era sempre possibile un’interpretazione a
posteriori in grado di garantire la concordanza tra modello ed
implementazione. Lo schema hegeliano-marxista dell’utopia
presuppone infatti la "scientificità" del modello, stabilita una
volta per tutte attraverso un’epistemologia massimalista e
totalitaria che definisce i problemi e suggerisce le soluzioni con
uno schema fisso e lineare.In questo modo la conoscenza appare come
una produzione a-storica ed univoca, ed i modelli del mondo come
immagini perfette, scientifiche ed impossibili
di un mondo ineluttabilmente "imperfetto". Nel pensiero moderno
l’utopia ha conosciuto una nuova e più fertile accezione, legata
all’eredità di J.J.Rosseau e di I.Kant, e sviluppata, tra gli
altri, dalla dialettica negativa di T.Adorno, e dal "principio
speranza" di E. Bloch. Secondo questa concezione, la forza
dell’utopia non consiste nella sua "scientificità" ideale, ma
piuttosto nella capacità di suggerire contrasti ed assenze, desideri
e bisogni, stimolando l’attitudine critica e proponendo
continuamente la necessità di nuovi criteri di lettura del reale,
secondo un’epistemologia della complessità in grado di
costruire proposte intorno alla natura specifica del problema,
utilizzando in modo disinvolto una pluralità dinamica di modelli e
prospettive . L’utopia non è dunque qualcosa di definito una volta
per tutte, ma piuttosto un’attitudine del pensiero.La grande
opportunità della Rete consiste proprio in questa sua capacità di
essere strumento permanente di elaborazione utopica collettiva e
condivisa, in grado di rispondere in modo mirato ad un problema in
tempo "reale", che è poi l’unico tempo possibile per la libertà e
per la pace.
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L’attuale colonizzazione del Cyberspazio
procede però a grandi passi in direzione esattamente opposta, verso
la realizzazione dell’Impero Perfetto e Globale, un
sistema dove chi regola i parametri promette come bene supremo il
soddisfacimento virtuale dei bisogni immateriali dell’espansione non
della coscienza ma dell’Ego infinito dell’utente-consumatore.
Fatevi il vostro mondo parallelo, e dimenticate il reale,
sostituitelo con una realtà indolore e senza limiti. Nessuno si
accorgerà di niente, non ci sono effetti collaterali. In questo
modo l’utopia si trasforma nella più pura e raffinata droga
mentale, la droga totale invano cercata nei laboratori di chimica
criminale.Paradisi artificiali digitali come simulazioni della
macchina dei desideri.In questo scenario si punta sulla dicotomia
reale/virtuale, e si tenta di canalizzare in un
collettore-lager fantastico le risorse creative ed i bisogni
della gente. La logica di "simpatica" ed efficiente tecnologia
"friendly" dei grandi portali, il calderone "spirituale" della
new-age ed il paradiso perverso del pedofilo vengono così a
costituire le molte facce di una stessa medaglia, quella della nuova
"normalità" virtuale, la grande fiera di pubbliche mediatiche virtù
e dei vizi privati con codice d’accesso. Secondo questa visione,
naturalmente, la differenza tra pirateria informatica, attentato
all’ordine costituito, e movimento hacker è praticamente
nulla, e da qui al rifiuto di tutto ciò che non è regolato dagli
ordinatori globali c’è soltanto un piccolo passo. Si
tratta, in pratica, di una riproposizione del modello televisivo
culturalmente centralizzato, ma opportunamente "adattato" all’utente
.Gran parte della Rete, oggi, è già immobile e passiva, arto
paralizzato e possibilità perduta.
Non è questo che vogliamo.
Non creazione di mondi immaginari, nuvole distopiche di mondi dai
ruoli "concretamente" ancora più rigidi, ma immaginazione e
simulazione di possibilità per il mondo reale, crescita
delle anomalie e della coscienza, lotta creativa
all’appiattimento della comunicazione, laboratorio di progetti che
attendono un fare politico.Già oggi sappiamo che il tam-tam
della Rete contiene in nuce un diverso modello di lotta
politica e di contro-informazione, come hanno dimostrato le
esperienze del movimento no-global ed i fatti dell’ 11 settembre e
di Genova. Nell’ ex-URSS ed oggi in Cina, la diffusione del personal
computer e del numero di connessioni livella reticolarmente la
struttura del potere, rendendo impotenti le vecchie architetture
piramidali.Il "gruppo di affinità" anarchico trova in Rete la sua
espressione più naturale, favorendo la nascita di spazi di interesse
e d’intento al di là delle barriere geografiche e dei rapporti di
forza materiali. In questo senso, ancora tutto da esplorare,
l’utopia emerge dalla Rete per la natura stessa del suo
essere collettivo. La Rete è vocazionalmente luogo di produzione
utopica ed insieme di costante verifica, laboratorio di
democrazia connettiva in tempo reale. Ed il gesto
hacker è pratica zen di utopia connettiva,
manifestazione di una diversa percezione del potere. La Rete
promuove la Parola ed il Libro, ma gli toglie ogni inutile orpello
di sacralità: nella progettualità della Rete siamo tutti
chiamati ad essere teorici e sperimentatori, critici e partecipi
assieme. Complessità ed Utopia sono caratteristiche essenziali della
Rete, ne costituiscono rispettivamente la vita reale ed il destino
naturale.Non possono essere rimosse senza modificarne la natura
profonda. Per troppo tempo i cibernauti hanno navigato rotte per
mondi illusori. E’ tempo che portino il loro bagaglio e le loro
conoscenze verso approdi concreti di cambiamento reale. L’Utopia
Virtuale può essere, dunque deve essere, la creazione di nuove
strade neurali dove corrono le idee di quelle comunità che, dentro e
fuori la rete, cercano un modo diverso di produrre la conoscenza, di
superare le barriere, di partecipare al gioco delle regole del
mondo.
Ignazio Licata, fisico teorico ed epistemologo,
si occupa di Sistemi Complessi ed Intelligenza
Artificiale.
Bibliografia:
Pierre Lévy , L’Intelligenza Collettiva.Per
un’antropologia del cyberspazio, InterZone, Feltrinelli,
Milano,1996;
G. Minati, Esseri Collettivi, Apogeo,
Milano, 2001;
I. Licata, Verso un’Epistemologia della
Complessità,in Informazione & Complessità, Quaderni
di Filosofia Naturale, Andromeda, Bologna, 1998;
A. Negri & M.Hardt, Impero,
Rizzoli,Milano, 2002;
W. Burroughs, La Rivoluzione Elettronica,in
E’ Arrivato Ah Pook, SugarCo, Milano, 1980.