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CHIAMAMI HACKER by Reporters Online
Fino ad ora li hanno considerati pirati fuorilegge, spie della Rete. Loro si definiscono amanti della tecnologia e della libera circolazione delle idee. Le aziende cominciano ad assumerli per potenziare i loro sistemi informatici

(Ndr: ripreso da "D -la Repubblica delle Donne" del 8 settembre 1998)

"Io non ho particolari talenti. Sono solo appassionatamente curioso" (Albert Einstein).

"Il mio crimine è la curiosità" (The Mentor).

Notte fonda. I computer sono tutti spenti. Tutti, tranne uno. Da lì, qualcuno si intrufola via Internet nel sistema informatico e lascia un messaggio:
"Questa rete non è sicura".
Firmato: "Falange Armata".

L'incursione fa scalpore: si tratta della Banca d'Italia.
Lo stesso avviene nella rete dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). Si mobilita la Criminalpol. Due mesi e mezzo più tardi, con ore di appostamenti e centinaia di intercettazioni telefoniche, la polizia arresta i colpevoli e sequestra loro strumenti di lavoro: computer, memorie, modem, telefoni, dischetti.

Sono passati quasi tre anni dalla cosiddetta operazione "Ice-trap" - trappola di ghiaccio - perché partita dalla divisione surgelati della Unilever, dove era stata scoperta un'incursione nella rete in cui erano custoditi i progetti per un nuovo gelato: puntava a un'organizzazione internazionale di spionaggio industriale. E invece ha scoperto solo un gruppo di ragazzi appassionati di computer, sbattuti in prima pagina per una bravata di troppo.

Dopo "Ice-trap", ci sono state altre operazioni di polizia simili (hanno individuato un'intrusione sul sito dell'Università La Sapienza di Roma, l'utilizzo di un numero verde del Ministero degli Interni per collegarsi al fornitore Internet Italia On Line, un'incursione sulla pagina del GR1 Rai). Ma quella è rimasta la più eclatante e la più citata da tutte le parti in causa. Perché ha fatto emergere un fenomeno fino allora poco conosciuto in Italia: gli hacker.

"Da allora sono successe tante cose, ma ancora c'è molta confusione in materia", commenta Stefano Chiccarelli, esperto di telematica e autore, con il giurista Andrea Monti, di Spaghetti hacker (ed. Apogeo). A partire dal significato della parola hacker: "La traduzione più vicina al concetto originario non è pirata o scassinatore, ma è smaneffone, cioè un appassionato di informatica che ama capire le macchine nel loro profondo", sostiene Chiccarelli.

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Non esistono hacker buoni e hacker cattivi, secondo lui, ma esistono gli hacker e quelli che non lo sono e si spacciano per tali (spregiativamente, in gergo, lamer). Poi ci sono i delinquenti, ma quelli stanno ovunque, non solo in Rete.

L'accanimento giudiziario nei confronti degli hacker è legato al vuoto legislativo che ancora non è stato colmato intorno ai nuovi mezzi di comunicazione digitali. "Quando la percezione di un fenomeno non è chiara, la sua regolamentazione è confusa e contraddittoria", spiega Chiccarelli. Un esempio recente è la legge antipedofilia. "Non si capisce perché debba essere punita la diffusione di materiale osceno con la specificazione "anche per via telematica". Sarebbe come dire: chiunque uccide un uomo anche con una teiera" è punito. Che c'entra la teiera? Questa, come la Rete, è soltanto un mezzo", si infervora. "L'unica spiegazione è che nella mente del legislatore la Rete è un mezzo intrinsecamente pericoloso, la cui dannosità deve essere sbandierata in ogni occasione".

Gli hacker "bucano" i sistemi informatici come stile di vita, da quando questi hanno incominciato a esistere. E nel farlo, si sentono eroici. Il loro "gioco" è dimostrare la loro bravura, mettendo a nudo l'inaffidabilità della Rete allo stato attuale. Così, di fatto, contribuiscono a migliorarla di giorno in giorno.

Infatti sono gli stessi hacker che trovano i cosiddetti "bachi", a scoprire poi anche i rimedi. Le aziende lo sanno, tanto è vero che i sistemi di sicurezza aziendali migliori sono affidati a ex-hacker che sono riusciti a mettersi in luce per la loro bravura e a farsi assumere, passando dall'altra parte della barricata.

Oggi i due hacker leader di "Ice-trap", Matteo Del Mistro, 28 anni, di Venezia, alias "neXus", autore dell'incursione nella Banca d'Italia, e Raoul Chiesa, 25 anni, di Torino, alias "nobody", autore di quella nell'Infn e nell'Unilever, sono liberi e hanno fior di lavori.

Proprio in virtù delle loro profonde conoscenze tecniche, acquisite nel corso di anni di notti insonni a fare hacking. Sono riusciti a farsi ridimensionare i capi d'accusa, gravissimi: eversione, associazione per delinquere, ricettazione, oltre a tutti i reati informatici possibili e immaginabili, dalla duplicazione di software alla clonazione di carte telefoniche, all'utilizzo di numeri verdi per collegarsi gratuitamente su Internet. "Ce la siamo vista brutta", ammette Matteo, ancora traumatizzato per l'arresto (è stato incarcerato per un'intera settimana perché lo credevano il capo dell'organizzazione, che poi si è rivelata inesistente):

"Mi hanno tirato giù dal letto con i mitra spianati".
Insiste Raoul: "La mia motivazione non era il guadagno, ma la sfida: vincere sui computer, dimostrarmi più abile delle massime autorità sul campo", o meglio, citando La coscienza di un hacker, il manifesto di The Mentor, uno dei primi hacker americani, scritto in rete più di dieci anni fa: "Il mio crimine è la curiosità".

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Anche a costo di violare la legge. E di peccare di ingenuità: "Non pensavamo che la polizia avrebbe saputo scoprirci", confida Raoul. A "tradirli", crede siano stati alcuni lamer, meno abili nel non lasciare tracce. Ma soprattutto una buona dose di incoscienza, come sostiene Maria Cristina Ascenzi, capo della sezione crimini informatici della Criminalpol: "Ci sottovalutavano, si parlavano al telefono e non pensavano minimamente di poter essere intercettati".

Osserva Raoul, considerato dagli addetti ai lavori il Kevin Mitnick (il "pirata" più famoso del mondo) italiano: "Li avrei stimati di più se, anziché usare le intercettazioni telefoniche, lo avessero fatto ad armi pari, con le capacità informatiche". Però, ci tiene a sottolineare, ha imparato la lezione.

Perito programmatore, oggi si è ritirato dalla scena e si è messo a lavorare in proprio: ha fondato una società, la "Media Service", per la sicurezza informatica ("Una delle prime a credere nel Linux come sistema operativo sicuro per le aziende" dichiara orgoglioso, perché oggi i maggiori esperti informatici gli danno ragione) e per la creazione di siti Internet aziendali. L'unico suo cruccio: "A tre anni di distanza, ancora non mi hanno restituito l'hard disk e un sacco di altro materiale di lavoro che mi avevano sequestrato e a cui tengo. Lì c'è tutta la mia storia".

Già: la più grande punizione per un hacker è togliergli gli strumenti di lavoro, senza quali rischiano di perdere la "manualità", quel tocco magico che apre tutte le porte, l'unica loro vera ricchezza.

Raoul e Matteo prima si conoscevano virtualmente, via modem. Si conoscono fisicamente solo da quando sono stati arrestati: "Abbiamo cominciato a smanettare sui computer più di dieci anni fa da adolescenti, con i videogiochi, e poi via modem sulla rete Itapac, molto prima che scoppiasse la moda di Internet" raccontano. "La Falange Armata ce la siamo inventata per farci pubblicità, in realtà la nostra unica vera attività illecita è stata quella di utilizzare numeri di carte di credito telefoniche che ci hanno passato altri amici hacker in America, per non pagare le bollette salate della Telecom". Oltre a Bankitalia e Unilever, nel corso degli anni dicono di aver "hackerato" tante tra le maggiori aziende italiane e straniere, tra cui molte informatiche e di telecomunicazioni. "D'altra parte era facilissimo, in alcune di queste aziende le password (parole chiave per entrare in un sistema) erano "prova", "Pippo" oppure "Maria", un vero scandalo", denunciano.

"Quando cercavo lavoro, mi sono proposto alla Fiat per curargli la sicurezza del sistema informatico", racconta poi Raoul. "Mi hanno detto che non ne avevano bisogno. Quella sera stessa ho verificato che non era così".

Ormai, con la diffusione di Internet, gli hacker hanno fatto proseliti. Sono centinaia. Per sfatare il mito di pirati fuori legge, sono usciti allo scoperto, organizzando incontri, e addirittura corsi aperti al pubblico, sulle nuove tecnologie. In Germania il "Caos Computer Club", considerato tra i migliori gruppi di hacker al mondo, organizza corsi di aggiornamenti tecnici riconosciuti dal governo, in Olanda e in America ci sono molti party e convention facilmente accessibili. In Italia - dove già da quattro anni a questa parte c'è l'incontro-scontro "L'hacker e il magistrato", organizzato quest'anno il 4 settembre a Pescara da Metro Olografics e Arci - il 5, 6 e 7 giugno scorsi a Firenze si è tenuta presso un centro sociale (il CPA, Centro Popolare Autogestito)" Hack-It '98", un raduno cui hanno partecipato non solo hacker, ma anche tanti amatori e ragazzini curiosi. "Per la prima volta in Italia gli organizzatori hanno avuto il coraggio di dichiarare la natura hacker dell'evento", commenta Chiccarelli. "Quello che non mi piace purtroppo è la tendenza tutta italiana di accomunare le realtà antagoniste (come i centri sociali) al mondo dell'hacking, che non è affatto politicizzato: è amore per la tecnologia e la libera circolazione delle informazioni, ma non è né di destra, nè di sinistra". Però, rileva, è un fatto che i centri sociali, forse perché rivolti alle realtà giovanili, sono stati molto attenti al fenomeno dell'hacking e hanno sempre offerto spazi per questo tema. Per esempio, Decoder (ed. Shake), un mensile molto attento alla realtà digitale, di cui Ermanno Guarneri alias "Gomma" è il fondatore insieme con Raffaele Scelsi detto "Valvola", è una rivista molto vicina al Centro Sociale Conchetta di Milano. Il quale recentemente ha ospitato illustri hacker d'oltreoceano, come il californiano Lee Felsenstein, considerato un pioniere, e oggi un intellettuale e uno scienziato molto apprezzato.

Ma la vita di un hacker è un'altra cosa. Come dice Raoul alias "nobody": "Non riusciamo a immaginarci una vita senza la Rete, ci fa sentire parte integrante di un mondo di pionieri. Un giorno avrò tante cose da raccontare a mio figlio, forse un po' come il figlio del minatore nella miniera di carbone inglese della rivoluzione industriale, o come il figlio del primo telegrafista italiano... Hacker ti senti dentro, e se lo eri sul serio, lo sarai sempre". Non sono certo tutti degli Einstein, ma se il loro crimine è la curiosità...


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